Via Cesare Battisti: “E’ arrivata la Befana”

Maria Letizia Casciani

Le case della vita di Via Cesare Battisti, nelle memorie di Maria Letizia Casciani ritornano in un racconto che mette in luce l’infanzia, il piccolo grande mondo fatto di momenti indimenticabili che lasciano una vena di incommensurabile nostalgia.
Riappare lo stile di vita di un periodo oggi molto lontano,che ritorna con personaggi,come la Befana figura rimasta paura e fonte di gioia nei ricordi di una bimba.

Ho creduto all’esistenza della Befana fino alle soglie della scuola media. Un record nazionale di credulità!
In realtà, avevo già da tempo dei dubbi, per lo più ingenerati dai compagni di scuola, ma la fede restava salda. Ogni tanto chiedevo agli adulti.
“Mamma, dimmi la verità! Esiste davvero la Befana? A scuola i compagni dicono che in realtà siete voi grandi a fare i regali!”
“Certo che esiste! Anzi, se ora lei se ne sta sul tetto ad ascoltare quello che stai dicendo, stai pure certa che per te non ci sarà nessun regalo, quest’anno!”
Rassicurata da parole come queste, tornavo a scuola e dicevo ai compagni: “La mamma ha detto che la Befana esiste!”
Le mie parole erano accolte da risate, ma la verità era che non volevo smettere di credere alla Befana, perché, a casa mia, tutto ciò che aveva a che fare con lei, aveva un’aura magica, fatta di riti affascinanti, ai quali non intendevo rinunciare.
La mia famiglia e quella delle mie vicine, infatti, avevano messo in piedi una messinscena che andava avanti da anni.
Il “magister ludorum”, per così dire, era il genero di Lóla – che si chiamava Onorato – uno stimatissimo medico condotto in un paese vicino al nostro, un uomo divertente e capace di inventare gli scherzi più strani.
Credo che lui amasse molto più di noi bambini tenere vivo questo gioco, che ogni anno costituiva il rituale legato alla Befana, una questione che affascinava ed elettrizzava noi bambini.
Più o meno un mese prima del 6 gennaio si cominciava con lo scrivere una lettera contenente l’elenco dettagliato dei regali da noi desiderati.
“Mi raccomando!” – diceva Onorato, con aria solenne – “La lettera deve essere scritta su carta “extra-strong”, altrimenti la Befana non la legge nemmeno!”
Diventava dunque per noi urgentissimo trovare questa carta magica, questa misteriosissima “strastrong”!
Senza quella, addio regali!
Io ed i miei fratelli facevamo un pellegrinaggio continuo in tabaccheria, l’unico luogo in paese in cui si potessero trovare articoli di cartoleria, alla ricerca della fantomatica “strastrong”.
La tabaccheria non l’aveva e non era possibile ordinarla! Eravamo rovinati: addio regali!
Ad un certo punto, però, qualcuno – una manina misteriosa- l’aveva portata direttamente a casa.
Guardando quei fogli controluce, in effetti, si poteva leggere quella scritta (extrastrong) propiziatrice di regali e quindi le nostre richieste – mie e dei miei fratelli – furono, da quel momento in poi, affidate a quelle pagine.
La spedizione non poteva, però, essere affidata ai normali canali di comunicazione, cioè al postino: consegnavamo la busta, carica di tutte le nostre aspettative, direttamente nelle mani del dottore, che affermava di conoscere un punto nascosto, non lontano dalla via Cassia, in cui tutte le letterine dei bambini potevano essere lasciate. La Befana in persona avrebbe provveduto a raccoglierla.
La casa di Lóla e la nostra erano situate sul medesimo pianerottolo, le chiavi erano sempre sulle rispettive porte e tutti noi passavamo di continuo da un appartamento all’altro senza problemi: il tempo trascorso insieme dalle nostre famiglie era moltissimo.
La cucina di quella casa era molto grande: al centro c’era un enorme camino, tanto grande da poter ospitare senza problemi una persona in piedi.
In questa stanza – nella notte tra il 5 e il 6 gennaio – veniva organizzata, solo per far felici noi bambini, una rappresentazione meravigliosa.
La sera del 5 gennaio eravamo costretti ad andare a letto prestissimo.
“Altrimenti, la Befana non vi porterà nulla! Se, quando arriva, si accorge che i bambini sono ancora svegli, risale su per il camino e se ne va via!”
Argomenti inoppugnabili per noi. E allora, a letto presto!
Prima di coricarci, tuttavia, dovevamo portare a termine, tutti e tre insieme, un rito importante: c’era da lasciare uno spuntino per quella vecchietta: dolcetti, mandarini, caffè – perché a lei piaceva molto bere il caffè – preparato con una caffettiera speciale, da utilizzare solo in quell’occasione.
Si lasciava la cena e via, di corsa a letto!
Dormivamo pochissimo: trascorrevamo una notte praticamente insonne, perché l’attesa delle sorprese che avremmo trovato la mattina successiva scatenava in noi adrenalina a non finire.
All’alba, saltavamo giù dal letto nella nostra casa e correvamo a svegliare il babbo e la mamma, pregandoli con insistenza di portarci di là, da Lóla, per vedere se la Befana fosse passata.
I miei prendevano tempo, ma, ad un certo punto, vista la nostra insistenza, acconsentivano ad andare a vedere nell’altra casa, bussavamo alla porta.
Lóla e sua figlia aprivano, mostrando facce assonnate. Subito iniziavano a lamentarsi:
“Quella vecchiaccia non ci ha fatto mai dormire, stanotte! Un rumore infernale! Una gran maleducata! Chissà che avrà combinato!!”
Gli adulti, poi, ci invitavano ad entrare nella cucina, dove era il grande camino. La paura, però, ci paralizzava.
La stanza era al buio e noi tre ci stringevamo gli uni agli altri, combattuti tra il desiderio di vedere ed il timore di quello che avremmo potuto trovare, accendendo la luce.
Ricordo – con molta nettezza – una mattina in cui dalla cucina provenivano degli strani rumori, come di qualcosa che si muovesse al buio.
Nessuno di noi aveva il coraggio di avvicinarsi, ci nascondemmo dietro gli adulti. Per quella volta entrarono prima di noi.
La luce fu accesa e, meraviglia!
I rumori provenivano da un trenino elettrico, che scorreva sui suoi binari e quella fu la gioia di mio fratello.
Nella stanza poi – come sempre, ogni anno – erano sparsi giochi, libri, dolci.
Sul camino, le tracce del passaggio della Befana: la tazzina con gli avanzi del caffè, rovesciata da una parte, bucce di mandarini, briciole sparse ovunque.
Lo spettacolo era sempre così esaltante e così irresistibile che nessuno di noi poteva pensare, neppure lontanamente, a mettere in dubbio l’esistenza della Befana.
A scuola, i compagni, però, continuavano a far arrivare qualche brandello di verità, che mi rifiutavo di prendere in considerazione. Nell’ilarità generale.
“Questa è una che crede ancora alla Befana!” – dicevano, dandosi delle gomitate ed allontanandosi ridendo, mentre io mi sentivo umiliata, ma forte nella fede.
Anche il credente più fervido – tuttavia – viene colto dai dubbi. Io portavo a casa questi dubbi.
“Ma certo, che esiste!” – continuavano a dire gli adulti. Una sera accadde un fatto straordinario: noi bambini fummo radunati sotto il camino ed incitati a chiamare la Befana, sporgendoci sotto l’imboccatura.
“Befana, Befana, ci sei?”
Incredibile! Cominciarono a piovere dal camino tante caramelle, ad ogni nostro richiamo!
Poteva non esistere la Befana!? Era lì, tutta per noi!
Non potevamo sapere che quella sera il dottore si era arrampicato sul tetto, mettendosi vicino al comignolo ed era rimasto lì, in attesa di noi bambini, dei nostri richiami, pronto a far cadere giù le caramelle appena avessimo chiamato.
Come fare a meno di quella magia?

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