La Casa di via San Sebastiano. L’uomo coi baffi (I° parte)

di Maria Letizia Casciani

LA CASA DI VIA SAN SEBASTIANO
L’UOMO COI BAFFI (PRIMA PARTE)

Negli anni dell’università trascorrevo i primi giorni della settimana nella capitale e tornavo in paese nel fine settimana. Per molti mesi ritornare a casa significò passare da sola il tempo libero, dal momento che avevo interrotto i rapporti con i vecchi amici. Verso la primavera del secondo anno le cose cominciarono a cambiare.
Quasi per caso iniziai a frequentare un nuovo gruppo.
Un’amica conosciuta da poco tempo mi trascinò a forza a casa di una sua cugina, una mezza artista parecchio svitata, che in paese era diventata il punto di incontro di un’umanità estremamente variegata: fricchettoni, musicisti, pittori, che arrivavano quasi sempre dalla Capitale; c’erano anche molti ragazzi del paese, di varia provenienza.
Quella casa era un porto di mare: dalla mattina presto a notte fonda, c’era sempre qualcuno che passava a fare due chiacchiere, che si fermava a pranzo o a cena, che dormiva lì.
La chiave sulla porta era per tutti il segnale che si poteva entrare. Altrimenti, meglio girare alla larga, in quanto si sarebbe trattato o di una giornata storta della padrona di casa, evento che accadeva piuttosto di frequente e che era meglio non sfidare, o di un incontro che doveva restare lontano da occhi indiscreti.
Era un luogo davvero affascinante: le persone che gravitavano intorno a quella abitazione, si trascinavano dietro quasi sempre storie molto interessanti. Quell’ambiente era quanto di più eterogeneo e stimolante si potesse sperare di incontrare, in un paese ancora piuttosto pigro e poco aperto alle novità. In breve tempo conobbi tante persone e ancora una volta mi riconciliai con la vita.
Questa casa si trovava nel cuore del quartiere medievale, uno sperone di roccia che dalle colline circostanti, quasi come una terrazza, si affaccia sul paese. Tutto il blocco domina quella parte che tutti chiamano “il Borgo”, situato più a valle, intorno ai viali che portano al lago.
Da qualche tempo, il quartiere medievale, chiamato “il Castello”, poiché si è raggruppato nei secoli intorno ad una antica rocca, era rinato a nuova vita perché molti – dalla città – avevano acquistato e restaurato case in cui avevano intenzione di trascorrere le vacanze.
Quella mia nuova amica stava terminando gli studi di architettura ed aiutava il padre, geometra, nelle ristrutturazioni delle abitazioni. In virtù del suo lavoro e di un carattere piuttosto istrionico, conosceva un milione di persone, molto diverse tra loro ed amava mescolarle, non senza un modo di operare da capricciosa accentratrice.
Per me, varcare quelle mura, rappresentò una non piccola rivoluzione: passai in poco tempo dalla condizione di eremita, alla gestione di molti nuovi conoscenti. Il Paguro Bernardo si avventurava di nuovo alla scoperta del mondo.
Appena si entrava in quella casa, ci si trovava di fronte ad una grandissima cucina. Su un lato della stanza si inerpicava una ripida scala, che portava alla camera-studio del piano di sopra, divisa da un soppalco. Le pareti avevano le pietre a vista, con un effetto molto suggestivo. Il disordine regnava dappertutto: gatti, cibo, ciotole, piatti e bicchieri, abiti, libri, disegni, pennelli, colori: un caleidoscopio di cose e profumi, perché in cucina c’era sempre qualcosa a cuocere in pentola sul fornello della cucina.
La casa in sé corrispondeva a chi ci viveva ed al suo entourage di amici.
Cominciai a frequentarli e questo significò partecipare a magnifici pomeriggi di chiacchiere davanti ad un the, a cene con musica, giochi e divertimenti. La mia innata timidezza cominciò un po’ a sciogliersi dentro quel posto incredibile, con una vista sul lago che ancora oggi è una delle più belle del paese.
Affacciandosi dalle finestre, infatti, si poteva osservare per intero quell’immenso, emozionante lago ed abbassando lo sguardo si potevano contare uno ad uno i tetti del borgo, vedere i comignoli che fumavano, le siepi fiorite, le terrazze private con i panni stesi.
Quella mia nuova amica, proprietaria di questa abitazione tanto particolare, aveva un carattere molto forte e reazioni a volte imprevedibili: poteva passare in un attimo da un modo di fare amabile ed accogliente, ad uno provocatorio e quasi aggressivo. Questo poteva renderla temibile. Amava moltissimo trovarsi al centro dell’attenzione e spesso, pur di apparire spiritosa ed originale, non esitava a mettere in imbarazzo le persone, con considerazioni sui tic o sulle piccole manie che esse possedevano, senza curarsi delle loro reazioni, di ferirle. Molti la detestavano, proprio per questo modo di fare.
Se sospettava di avere di fronte una persona fragile o timida, non esitava a sfidarla, a metterla alla prova, in imbarazzo, anche in presenza di decine di persone. O forse, proprio per questo: sopra ogni altra cosa, amava essere al centro dell’attenzione.
Con me ebbe spesso partita facile, perché in quella fase della mia vita odiavo apparire e mostrarmi sulla scena. Con ogni probabilità aveva colto questo mio punto debole e mi stuzzicava spesso; questa sua aggressività, a volte, mi faceva arrabbiare. Fu per me una bella palestra di pazienza e di tolleranza.
Gli aspetti positivi di questa amicizia, tuttavia, erano superiori rispetto a quelli negativi e per molto tempo riuscii a tollerare bene anche certe scaramucce.
Fu proprio lì che incontrai l’uomo coi baffi.

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