Clausi Cum Clave di Piko Cordis: premio Città di Viterbo Tuscia Libris migliore ricerca storica

Terra Santa, fine ottobre 1271.

Alle prime parole del Pater Noster, recitato da Tebaldo Visconti, tutti i presenti si inginocchiarono in raccoglimento tra lo scricchiolio del cuoio e il tintinnio delle armature. I due messi del Sacro Collegio, posti ai lati di Tebaldo, ripetevano in coro i passaggi della preghiera pronunciandola con intonazione monotona. Mentre i dieci soldati, deposti i caschi dai bordi ribattuti, chinavano il capo in segno di ossequio, rimanendo però a protezione dei religiosi.
Davanti all’altare della Crocefissione, nella cappella del Calvario, la Preghiera del Signore risuonò con tutta la gravità delle sue sante parole. L’aria immota del luogo, pervasa dall’odore d’incenso e di cera colata, contribuiva alla spiritualità di tutto il contesto.
Il raccoglimento di Tebaldo era devoto, il trasporto estremamente sincero; l’uomo, inginocchiato davanti al martirio della crocifissione di Gesù chiedeva a Dio la forza per sostenerlo nel gravoso compito per cui era stato scelto. Lì, sotto guglie e risalti e quella volta a crociera decorata a mosaico, un sofferente Gesù sulla croce fu testimone del suo sì incondizionato. Tebaldo Visconti, arcidiacono di Liegi, con in dosso una tunica bianca imbottita e la cappa di maglia ad anelli di ferro, accettò il sŏlium pontifĭcĭus.
La blasonata croce rossa sulla sua tunica all’altezza del petto, aveva rappresentato fin a quel momento la sua devozione a Dio nella nona crociata in Terrasanta. Quando era partito lo aveva fatto per servire il Signore in guerra e ora era stato richiamato a Roma per servirlo in altro modo.
Davanti a Tebaldo, sull’altare, alla luce di miriade di candele colate, tremolava il profilo ligneo del Cristo sulla croce. La suggestione di quel movimento lo ispirò.
«La scelta è penetrata nel mio spirito dimorandovi come in un santuario» disse questi alzandosi in piedi, «sarò lo strumento di Dio nella Sancta Romana Ecclesia».

Fuori dalla basilica del Santo Sepolcro, un silenzio irreale caratterizzava un tramonto scenografico. Sulla linea dell’orizzonte di Gerusalemme delicati ciuffi di nubi rosa disegnavano svariate forme come isolotti appena emersi, addolcendo l’imminente imbrunire. Tebaldo vide sorgere la prima stella nel cielo e lo interpretò come un buon auspicio per lui e per il suo papato.
Il grassoccio messo pontificio, ruppe l’incanto del momento.
«È giunta l’ora» disse questi incoraggiandolo ad avviarsi verso i cavalli. Davanti a loro c’era molta strada da fare, almeno una notte e un giorno intero.
Al porto di San Giovanni d’Acri, nella Galilea occidentale, ad attenderli trovarono una piccola flotta messa a disposizione da Edoardo I d’Inghilterra. Il viaggio che li attendeva era lungo e non privo di inconvenienti, ma anche istruttivo per il nuovo pontefice che altri non era che un normalissimo arcidiacono.
Nella Galea di Tebaldo, i messi del Sacro Collegio avevano il compito di istruire il neoeletto pontefice sul gravoso compito che lo attendeva. I due, giunti in Galilea appena pochi giorni prima, gli avevano dato l’inaspettata notizia. Lui, figlio del podestà di Piacenza, ma da sempre a servizio della Chiesa, si ritrovò a ricoprire la più alta carica religiosa riconosciuta, così, d’emblée. E ancora più rapidamente, questi dovevano scortarlo con una milizia armata a Viterbo.
Per giungere alla sua elezione, si era dovuto addivenire ad un punto critico della riunione plenaria dei cardinali: minacce agli stessi prelati, scomuniche contro il capitano del popolo di Viterbo e pressanti abusi dei re Carlo d’Angiò e Filippo III di Francia.
«Stanotte ho fatto un sogno» esordì Tebaldo rivolgendosi ai messi pontifici catturando la loro attenzione. «Ero negli Horti neroniani, nel luogo dove l’apostolo Pietro subì il martirio. Sulla sua tomba officiavo messa e tendendo l’ostia sopra la testa promettevo a Dio di riunire la Chiesa di Roma a quella di Bisanzio».
«Ottimo proposito, Santità», affermò Foulques de Lettres, uno dei due messi del Sacro Collegio con un tono in cui la cortesia non riusciva a nascondere lo scetticismo.
«Il Signore destina agli uomini migliori le sue grandi imprese» disse il neoeletto arrossendo. «D’altronde il sogno è inequivocabile e io sono stato scelto».
De Lettres annuì assorto.
«Santità, a voi si chiede anche di continuare a combattere i musulmani per liberare la Terrasanta» aggiunse Etienne de Sissy, l’altro messo pontificio.
«Ogni papa ha questo compito» puntualizzò Tebaldo quasi indispettito.
L’arcidiacono Visconti era noto per la sua purezza di intenti, ma anche per quella rettitudine di temperamento che gli conferiva un’assoluta onestà di pensiero.
«Non è trascorso nemmeno un mese dalla mia investitura; gli avvenimenti successivi all’annuncio e i preparativi sbrigativi non ci hanno dato modo di chiarire gli eventi che hanno portato alla mia nomina» disse Tebaldo interessato, «la navigazione è quieta, desidero parlarne».
I due messaggeri si guardarono per un istante, poi de Lettres gli rispose.
«La durata della vostra elezione è stata lunga e perigliosa. Sul finire di novembre di tre anni orsono, alla morte di papa Clemente IV, a Viterbo è iniziato l’estenuante cammino per giungere al vostro nome».
Tebaldo, curioso, lo guardò in volto, fissando i lineamenti grassocci gli parve di scorgere l’accenno di un sorriso.
«I diciannove cardinali, per la loro estrema flemma vennero vessati fino all’esasperazione. All’inizio furono tollerati e capiti, la decisione andava ben ponderata, ma superati i diciotto mesi, la pazienza svanì». Il messo pontificio de Lettres, nel raccontare gli eventi, continuava a mantenere un sorrisino sardonico quasi ne fosse esaltato. «Il Podestà di Viterbo Alberto Montebuono e il Capitano del Popolo Raniero Gatti, interpretando lo sdegno della gente, rinchiusero i cardinali nella grande sala del palazzo della Curia per giungere ad un nome».
«Un abuso intollerabile» esclamò Tebaldo sentendo una fitta d’inquietudine.
«Ma questo espediente non sortì il risultato sperato» continuò de Sissy rubando la parola all’altro messaggero. «Così, dopo pochi giorni, per mostrarsi ancora più decisi, ridussero le porzioni di cibo e acqua, ma anche questo non bastò. Allora venne scoperchiata buona parte del tetto dell’aula dei porporati, ma questi resistettero per tanto altro tempo nonostante le intemperie».
De Lettres ci tenne ad aggiungere altri dettagli: «I continui veti dei casati reali: angioini e svevi, peggiorarono la situazione fino ad arrivare a tragiche conseguenze. Il cardinale vescovo di Palestrina e il cardinale diacono dei Santi Cosma e Damiano perirono di malattia e di stenti costringendo così i prelati a prendere una decisione drastica: ridurre a sei i cardinali».
«E lo Spirito Santo penetrò in loro e la decisione fu presa», disse Tebaldo pensando alla conclusione del racconto.
I due messi pontifici incrociarono i loro sguardi senza emettere fiato, costringendo così il neoeletto a supporre che la storia non fosse finita.
«In verità, voi siete stato ritenuto un candidato di compromesso» confessò de Lettres che non aveva peli sulla lingua. «Re Carlo I d’Angiò per la vostra elezione ha versato la somma di 480 libbre, 5 soldi e 10 tornesi». Il messo si stupì egli stesso dell’audacia della sua risposta. Ma Tebaldo non parve essersi offeso.
«Il mio regno non è di questo mondo» disse questi citando San Giovanni. «Come arcidiacono ho maturato una grande esperienza politico-diplomatica, quindi so benissimo che gli uomini decidono per conto dello Spirito Santo».
Il nobile Visconti volle concedersi una pausa, quindi prese a fissare il mare. Il sole incombeva su di loro, tondo e caldo; scintillava sulle creste schiumose delle onde odorose di salsedine e nonostante il cielo fosse limpido e con poche nubi, c’era nell’aria qualcosa di opaco.
Il mare aperto, lontano dalla terra ferma in balia delle correnti superficiali e profonde, gli provocava una strana sensazione: un’immensa solitudine. Mentre il mistero dell’acqua e le sue profondità marine, con le sue mitiche creature lo incuriosiva.
«Appena sbarchiamo a Brindisi, desidero pregare sulle reliquie di san Nicola» disse Tebaldo con tono autoritario.
De Sissy prese la parola anticipando il suo pari.
«Come desiderate, Santità. Ma il viaggio deve essere ripreso quanto prima» si impose l’uomo. «Il re vi attende a Benevento».
«Carlo d’Angiò di sicuro pretenderà qualcosa».
«Gratus debet esse qui accepit beneficium» de Lettres declamò una citazione che reputò conveniente.
«Ritenete che il riferimento a Marco Tullio Cicerone sia appropriato?» domandò Tebaldo seccato.
«Per l’oratore romano, “Chi ebbe un beneficio dev’esser grato” è un consiglio» precisò l’ardimentoso de Lettres. «Ricordatevi che al momento siete dotato solo di ordini minori».
«A Ceprano incontrerete la rappresentanza del Sacro Collegio» s’intromise de Sissy per attenuare i toni della schermaglia che si era venuta a creare tra il pontefice e l’altro messaggero.
«Molto bene» annuì Tebaldo.
«A Viterbo, invece, si procederà con l’ordinazione sacerdotale e sarete consacrato vescovo» continuò de Sissy. «Infine a Roma sarete incoronato papa».
«I viterbesi vi accoglieranno trionfalmente» riprese la parola de Lettres. «È da tanto che aspettano un papa e anche se non potrete benedirli al vostro arrivo, attenderanno pazientemente».
Ancora una volta, lo sguardo schietto di de Lettres gli parve sentirlo nell’anima. Quello che diceva l’arcigno messo pontificio era vero, sarebbe diventato sacerdote e vescovo a Viterbo, anche se sarebbe stato intronizzato a San Pietro.
«Avete scelto un nome?» chiese de Sissy interessato.
«Alla chiamata di Nostro Signore ho risposto subito e quindi ho pensato che Gregorio sia il nome più rappresentativo».
«Avete pienamente ragione, Santità» si complimentò l’accomodante de Sissy, «il significato di Gregorio è di fatto “Pronto nella fede”».
Tebaldo accordò a questa osservazione un lungo minuto di riflessione, poi riconsiderando tutta la situazione, replicò: «Voi de Sissy siete un uomo dai modi cortesi, quello che dovevate dirmi lo avete fatto con un garbo che ho molto apprezzato. Voi, invece, de Lettres siete stato molto schietto, oserei dire anche troppo». Mentre il cuore impazzito del nobile Visconti batteva a intervalli sordi e irregolari, il suo sguardo passava scaltro dall’uno all’altro. «Sono un semplice arcidiacono, da sempre ho servito gli ecclesiastici e ho impugnato la spada per difendere la Chiesa. La mia elezione ha meravigliato tutti, compreso me; ha offeso molti e la divina provvidenza non ha agito illuminando i cardinali, ma nonostante tutto la mia infinita fede compenserà le mie mancanze».
«Avere fede significa credere, confidare e obbedire» affermò de Sissy in tono solenne. «Voi Santità siete l’uomo giusto».
La mente di Tebaldo restò ferma su quella affermazione con una sensazione positiva avvertita ai margini della coscienza.
«Si è fatto scuro, dovremmo metterci al riparo per la notte» disse il messo pontificio.
«Andate, io rimango ancora qualche minuto».
I due messaggeri si congedarono con un profondo inchino.
Rimasto solo emise un sospiro lunghissimo, il respiro dell’aria umida inalata gli rimase incollata in gola.
L’imbarcazione beccheggiava senza scosse, fendeva l’onda di un mare appena increspato, mentre una leggera brezza spirava fresca e salata. In piedi a prua, avvolto nella mantella, Tebaldo guardava l’orizzonte illuminato da una luna chiara e splendente. Tra le stelle balenò la Via Lattea. Quello spazio smisurato, come un’altitudine per il cuore, lo aveva rapito dal mondo e perso in un dialogo privo di parole. Rifletteva pensando che aveva avuto una bella vita e nessun rimpianto lo poteva opprimere, neanche i ricordi più nostalgici. Due lacrime gli sgorgarono attraverso le palpebre chiuse, lente gli scesero sulle guance. Pianse, ma non di tristezza né per sconforto, ma per compassione e gratitudine. L’uomo che era partito per una crociata, armato soprattutto di una fede incondizionata, non c’era più; al suo posto un cristiano con una grande responsabilità che non poteva attendersi di essere amato, ma amare per primo.

L’Autore:

Piko Cordis, pseudonimo di Roberto Sospetti, ascolano di nascita, sin dall’infanzia sente l’esigenza di conoscere il mondo, di uscire fuori dalla sua città. Si trasferisce per lavoro in Svizzera, a Londra e in altre parti d’Italia, mantenendo viva sempre la passione per una ricerca spirituale. In Asia entra in contatto con il Buddismo e l’Induismo, trovando una riflessiva misura costruttiva, ma restando sempre nella sua dimensione Cattolica. Appassionato di lettura, storica in special modo, si cimenta nella scrittura: sia di racconti che di romanzi, prediligendo ambientazioni medievali e rinascimentali.
All’inizio del 2016, portata a termine la stesura del manoscritto “Veneficus – il gabbamondo”, Roberto adotta lo pseudonimo di Piko Cordis, mostrando così un attaccamento alle sue radici: Piko da cui ha origine Picus in stretta relazione con l’etnonimo latino Picentes (i Piceni); Cordis, in latino cuore. Cuore Piceno.

Clausi Cum Clave di Piko Cordis:incluso nella Antologia del Premio TUSCIA LIBRIS edita da Della Rocca Editore acquistabile sul sul sitowww.tusciaapezzetti.it/prodotto/tuscia-libris-antologia/

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