Roccalvecce “Paese dei torchi” recuperati. Dalla cultura contadina a complemento di arredo

Nomini Roccalvecce e abbini il nome della minuscola frazione di Viterbo allo storico palazzo Costaguti. Inevitabilmente. Perché il palazzo, che fu un turrito castello e prima ancora un sito etrusco, è un autentico gigante che si erge in mezzo ad una corte di abitazioni datate che gli fanno da corona. Una frazione suggestiva a poche centinaia di metri dal Paese Fantasma di Celleno e dal Borgo delle Fiabe di Sant’Angelo. Roccalvecce “Paese dei torchi”, antichi contenitori cilindrici in legno e ferro utilizzati per trasformare l’uva in profumato mosto che diventerà vino. A Roccalvecce la realtà storica si allea con la fantasia invitando il visitatore a tornare ai tempi che furono, quando le cantine sprigionavano dolci effluvi per l’olfatto e si riempivano del vociare degli addetti alla spremitura delle uve. I torchi fumavano a colavano nettare. Poi il silenzio, progressivo ma rapido, la chiusura delle cantine, l’abbandono dei vecchi tini, l’accantonamento dei torchi che però con il tempo si sono ripresi una parziale rivincita tornando a riguadagnare il sole se non i grappoli dispensati dalle viti. A Roccalvecce più di qualcuno (i residenti non arrivano a un centinaio) ha cominciato a sottrarre al buio e all’abbandono quelle antiche macchine che adesso fanno bella mostra magari dinanzi ad una porta di casa, in un angolo di un vicolo, all’interno di un giardinetto. Il torchio dei torchi, grosso e brunito, è ospitato in una saletta del palazzo Costaguti. Quelli, più modesti ma con una lunga attività alle spalle, sono stati adornati e ingentiliti dalle sensibili mani di alcuni abitanti della frazione: fiori di campagna, verdure, frutta, piccoli tralci di viti, a ricordare un passato…glorioso. “Al momento – assicura Marco Piazza, una guida del posto – sono almeno una dozzina i pezzi recuperati. Ma altri ne arriveranno. Roccalvecce certo non ha molti abitanti, ma di torchi ce ne sono. Eccome”. (L. C.)

    

   

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