Quel Corpus Domini di 559 anni or sono che richiamò a Viterbo 150.000 presenze

Di Luciano Costantini

“Il più imponente spettacolo in ogni tempo tra noi”. Così Cesare Pinzi descrive il Corpus Domini del 17 giugno 1462. Ovviamente lo storico viterbese non poteva esserne stato testimone, ma per lui lavorò Papa Pio II° Piccolomini che fu l’organizzatore, lo sponsor e pure il cronista della fantastica giornata dedicata alla figura di Gesù e alla Sacra Famiglia. Il pontefice tratteggia fin nei minimi particolari coreografie e colori della solenne processione nei suoi Commentari. Improponibile ripetere la narrazione nella sua interezza ed allora – scusandoci comunque per l’inevitabile lunghezza – cercheremo di fare sintesi di quell’irripetibile Corpus Domini di 559 anni or sono che richiamò a Viterbo decine di cardinali, centinaia di vescovi, migliaia di preti e monache, fino a raccogliere 150.000 presenze, secondo lo storico Niccolò Della Tuccia. Una folla eccezionale anche perché era l’occasione per guadagnare preziose indulgenze che il pontefice avrebbe sicuramente dispensato al termine della festa. Essa scatta nel pomeriggio del 16 giugno con Pio II° che esce dalla rocca Albornoz per raggiungere l’imbocco di corso Regina Margherita (oggi via Matteotti) e quindi il sagrato della chiesa di san Francesco seguendo una guida fatta di tappeti e fiori profumati. Il tragitto è stato preventivamente sgomberato dai profferli, dalle tettoie, dai portici che strozzano il robusto corteo. Fuori la chiesa è stato allestito un tempio di legno lungo 55 e largo 35 piedi; di fronte una folla strabocchevole che si assiepa al calar del sole sotto una luminaria di stelle artificiali. La giornata clou è però la seguente. Si apre di buon mattino con il pontefice che preleva l’ostia consacrata dal tabernacolo di San Francesco e, insieme a 17 cardinali e 22 vescovi, intraprende il cammino verso la cattedrale. Le scenografie delle tappe sono state affidate ai vari gruppi cardinalizi che fanno a gara per stupire il Papa e la folla di fedeli che si accalca lungo il percorso. Aprono i porporati della Gallia che addobbano il tragitto sino alla chiesa di San Luca (dirimpetto alla sede Inps e rasa al suolo dai bombardamenti dell’ultima guerra) con arazzi e altari sui quali evaporano incensi. Seguono gli stand dei tavernieri e degli albergatori dove un giovane Salvatore versa il proprio sangue in un calice, attorniato da fanciulli che levano lodi al Signore. Il padiglione del cardinale di San Sisto occupa il tratto iniziale dell’odierno Corso Italia con la rievocazione dell’Ultima Cena. Il cardinale di Mantova riveste di arazzi e opere d’arte il passaggio sino alla chiesa del Suffragio. Il cardinale di Sant’Angelo vi fa comparire un drago e una schiera di demoni che all’approssimarsi del Papa vengono affrontati da San Michele: l’orribile bestia è decapitata e i diavoli precipitati nel sottosuolo mentre dal cielo piovono fiori color d’oro. Poi, fino a piazza delle Erbe (già Vittorio Emanuele) ancora addobbi, arazzi, fiori. Il cardinale Rodrigo Borgia, che diventerà pontefice Alessandro VI°, attorno alla fontana (che butta acqua e vino) fa allestire un suggestivo quadro: due giovanetti al sopraggiungere del Santo Padre, si genuflettono dinanzi all’Ostia Sacra e si allontano innalzando soavi melodie mentre entrano in scena cinque re che si uniscono ai cori accompagnati da trombe e organi. Dall’uscita di piazza delle Erbe e fino all’arrivo in piazza del Comune è un corridoio di arazzi multicolori arricchiti dagli stemmi cardinalizi e da quelli delle corporazioni più varie. Dinanzi alla chiesa di Sant’Angelo in Spatha il cardinale di Santa Susanna ha fatto tendere un telo che vuol simulare un cielo stellato; sul sagrato una fontana dalla quale sgorga vino bianco. Il restante spazio della piazza, ombreggiato da un gigantesco telo bianco e celeste, ospita il quadro più fantastico, pensato dal cardinale di Teano: ventidue colonne sotto le quali sono assisi altrettanti angeli, al centro il sepolcro di Cristo, intorno ad esso guardie addormentate. All’arrivo di Pio II° un fanciullo dischiude le ali e,  lungo una fune, spicca il volo annunciando la resurrezione del Redentore, biondo, bellissimo con in mano il vessillo di Cristo. Fino a piazza San Tommaso, oggi della Morte, è un autentico tripudio di fiori, di archi verdeggianti, di incensi, di fanciulli che lodano il signore con i ceri in mano. Dal ponte di San Lorenzo al Duomo è una esplosione di parati fatti venire da Firenze, di fiori, di canti, di suoni che si confondono con gli applausi e gli osanna della gente. L’allestimento della piazza dinanzi alla cattedrale è stato affidato al cardinale dei Quattro Santi Coronati. Il cielo viene fatto ombreggiare a notevole altezza con un gigantesco telo; un altare su un lato (con a destra il pontefice e i cardinali, a sinistra i vescovi, i protonotari e gli abati); in un angolo il sepolcro della Vergine sopra il quale, oltre i tetti, si staglia la figura di Dio seduto in trono nella gloria degli angeli e dei santi. Segue la messa solenne in Duomo, al termine della quale una splendida Vergine sboccia dal sepolcro sorretta da una nuvola di angeli. E’ la coreografia dell’Assunzione. Terminata la festa religiosa, migliaia di fedeli si riversano lungo i prati scoscesi che al tempo dal Palazzo Papale declinano verso quella stessa valle di Faul che nel mese di maggio del 1984 ospiterà Papa Wojtyla. Da una dei finestroni della sua residenza Pio II° impartisce la benedizione e la “remissione plenaria di colpa e di pena” come nei solenni giubilei. Poi si ritrae nel palazzo per una assise “ad una mensa regale risplendente per vasi d’oro e d’argento di gran peso e allietata da canti e suoni” insieme a una corte di cardinali. All’ora del vespro la festa è finita e Pio II° ha già fatto ritorno nella sua dimora della Rocca Albornoz.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI