Nel Medioevo la tassa sul focatico: guerra e pace tra Sisto IV e Viterbo

di Luciano Costantini

Evadere le tasse non è subdolo strumento esclusivamente italico. E’ astuzia antica come il mondo, e in tutto il mondo utilizzata per aggirare il pressing asfissiante della macchina fiscale. Espediente spesso necessario per sopravvivere. Ieri come oggi. In assenza di banche dati, anagrafi tributarie, agenzie delle entrate e altre diavolerie odierne, nel Medioevo si inventa il “focatico”. Che cos’è? Semplicemente una imposta diretta applicata per ciascun focolare e cioè per famiglia esistente all’interno di ogni abitazione. Se le famiglie sono due, il focatico si paga due volte. Ovvio. Uno stravolgimento rispetto al sistema fiscale vigente nei secoli precedenti nei quali le tasse vengono saldate in natura o in giornate lavorative o ancora attraverso le cosiddette “decime”, cioè la decima parte del raccolto da versare ai signori o alla Chiesa. A Viterbo il balzello sul focatico provoca prima lo scontento e poi l’inevitabile guerra: da una parte i cittadini, dall’altra papa Sisto IV°, nato Francesco della Rovere nel 1414 a Celle Ligure e da alcuni descritto come grande mecenate, ma pure bersaglio post mortem di velenose “pasquinate”: “… Sisto, sei morto alfine: obbrobrio e vitupero del papato, sei morto alfine, Sisto, è vero? Sisto, sei morto alfine: su, su, gettate a brani le scellerate membra in pasto ai lupi e ai cani”. Nel 1480 il pontefice è impegnato in uno scontro durissimo e dispendioso con i Turchi che hanno occupato Otranto e minacciano di invadere il Regno di Sicilia. Ha bisogno immediato di uomini e di risorse, mica di chiacchiere. E così il 27 novembre emana una bolla che impone il pagamento di un ducato d’oro, per ogni focolare, cioè per ogni nucleo familiare. Tassa impossibile da sostenere per i viterbesi, appena usciti da una devastante pestilenza che ha mietuto almeno tremila morti. La città è affamata e prostrata oltre tutto da precedenti gabelle, figurarsi se può pensare al papa e ai Turchi. Meglio “trarsene fuori con gli usati scaltrimenti”, scrive lo storico, Cesare Pinzi. In altre parole, ricorrendo all’innata furbizia nostrana. Una delegazione comunale, composta da due ambasciatori, viene inviata alla corte papale: “Santità, soldi al momento non ce ne sono, al più ci faccia uno sconto e ci allunghi i tempi di pagamento”. Intanto però gli stessi ambasciatori, messer Carolo Grugni e messer Rosato Di Matteo, uno sconto se lo sono già fatto da soli, all’insaputa del santo padre, presentando una lista di focolari dimezzata rispetto a quelli realmente esistenti. Una evasione privata di pubblico interesse. Ma per illuminazione divina o, più verosimilmente, dopo una approfondita indagine, il raggiro viene scoperto dagli 007 del pontefice. Sisto IV° va su tutte le furie, ordina innanzi tutto di tagliare le “grazie” cioè i benefici, presenti e futuri, per la città. Se non è una scomunica è una sanzione pesantissima per una Viterbo già in ginocchio, che evidentemente non è in grado e non intende pagare la tassa di famiglia. Il ritardo accentua l’irritazione del papa che ordina al suo Legato di arrestare e far rinchiudere nel carcere della Rocca tre degli otto priori che rappresentano il governo comunale. Per la cronaca sono Mariano di Angelo Gnazza, ser Antonio di Menicangelo e Lucido di Maestro Antonio. Un oltraggio che provoca immediatamente la reazione dei cittadini: nessuna rivolta per carità, nessuno spargimento di sangue, però l’irritazione è profonda, tangibile e il papa non può ignorarla. E’ guerra anche se le armi non compaiono. La tassa sul focatico, in un primo momento, viene confermata – un pontefice non può mica perdere la faccia – poi si arriva all’inevitabile compromesso: il focatico sarà pagato, attraverso un prestito forzoso, ma non prima che i tre priori vengano rimessi in libertà. Soluzione che in fondo non soddisfa nessuno: i viterbesi sono delusi e stizziti, Sisto IV° teme addirittura una rivolta alle porte di Roma. La storia, del resto, qualcosa gli aveva insegnato. Decide così di venire a Viterbo per riconciliarsi con la città: come prima mossa ritira le sanzioni e ripristina le preziose “grazie”. Poi l’entrata solenne, attraverso le mura castellane, che avviene l’8 ottobre del 1481: è trascorso quasi un anno dall’emanazione della bolla fiscale. Che, intanto, è stata cancellata. L’accoglienza è festosa, entusiasmante da parte di un “popolo così pronto alle effervescenze come a sbassar le creste”, osserva ancora e con rassegnazione il Pinzi. Il papa ne è tanto favorevolmente impressionato che ordina di prelevare 1.500 ducati d’oro dalla cassa delle ammende per i malefici e trasferirli al Comune per…ristrutturare casa. In effetti, quei soldi serviranno per rifare la facciata e innalzare di un piano palazzo dei Priori. Una somma, i 1.500 ducati aurei donati da Sisto IV°, sicuramente più alta di quella che sarebbe stata raccolta dalla tassa sul focatico e già messa in preventivo dallo staff finanziario del papa. Alla fine, una guerra inutile e una pace scontata. Il santo padre per farsi definitivamente perdonare dai viterbesi concederà ai priori il privilegio di indossare le toghe paonazze (abiti talari, lunghi ed eleganti) durante le cerimonie più solenni. Sorpresa, ma poi non tanto se restiamo alle italiche abitudini: nelle pieghe delle toghe, i priori scopriranno anche altri ducati….dono personale di sua santità.

Viterbo, quartiere medievale San Pellegrino | JuzaPhoto

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