Agli inizi di novembre del lontano 1953 per Civita di Bagnoregio sembra davvero arrivato l’inizio della fine. Le prime tredici famiglie sono trasferite a “Civita Nuova”, fresca borgata realizzata dall’istituto Case Popolari “a monte dell’abitato di Bagnoregio”. Inizia così lo sfollamento delle dimore situate sulla fragile rupe, registrato sulla pagina del Messaggero dell’11 novembre. Il giornale però auspica che l’amministrazione comunale dia precise e rapide disposizioni perché vengano evitate possibili, seppur parziali demolizioni di case e che la civita magari si trasformi in una cava di materiali: “gli uomini non devono mostrarsi più spietati delle forze della natura”. Per fortuna di Civita e del mondo intero così non è andata.
Il 7 novembre u.s. ha segnato una data fondamentale nella vita e nella storia di Civita: una data che richiama alla memoria, inconfondibilmente, quelle che, precedute da una crocetta, spiccano sulle lapidi marmoree dei cimiteri. In tal giorno, l’Istituto delle Case Popolari di Viterbo ha consegnato alle prime tredici famiglie sfollate da Civita gli appartamenti costruiti, su progetto dell’architetto Salcini, nella borgata “Civita Nuova”, sorta negli ultimi due anni in amena e sicura località, a monte dell’abitato di Bagnoregio. Ha pertanto inizio, in questo momento, l’esodo degli abitanti da Civita, dopo che è stato fatto tutto quanto era umanamente possibile fare, ma invano, per sottrarre allo spopolamento e, forse, all’abbandono, la piccola patria del Serafico, che conta almeno ventisette secoli di vita e di glorie. L’avvenimento, se arreca agli amanti delle patrie memorie trafitture di angoscia e di rimpianto, rappresenta indubbiamente la realizzazione di quello che, dopo uno spietato alternarsi di speranze e di delusioni che durava da oltre un secolo, era diventato ormai il voto ardente di tutti: il voto che venisse finalmente consentita una esistenza più tranquilla, meno disagiata e meno irta di incertezze e di pericoli agli sfortunati abitanti di Civita, sia pure impedendo, nel contempo, che la vecchia borgata – la illustre antica città, divenuta, per suo avverso destino, villaggio piccolo ed umile, ma ancor tanto ricco di tesori e di ricordi storici, archeologici, artistici e sacri – sparisse dalla faccia della terra. Perciò, mentre si stanno già attuando opportuni provvedimenti per la costruzione di nuovi alloggi da destinare agli ultimi abitanti di Civita, si auspica, con immutato amore, da parte dei bagnoresi e dei civitonici, che particolare provvidenze vengano adottate a favore delle poche famiglie che rimarranno a custodia del borgo e del suo santuario, affinché anch’esse non siano costrette a rinunciare, con conseguenze irreparabili per tante bellezze, al loro proposito e al loro compito. Il trasferimento delle prime tredici famiglie avviene mentre sono in via di ultimazione i lavori eseguiti dal Genio Civile di Viterbo per dotare la nuova borgata dei pubblici servizi: strade, fognature, acquedotto e impianto elettrico. Ci risulta che lo stesso Genio Civile, nell’intento di completare l’impianto dei servizi e la costruzione delle case per l’intera popolazione sfollata, ha invitato le rimanenti famiglie di Civita (una venticinquina) a presentare subito domanda per l’assegnazione di area fabbricabile nella borgata “Nuova Civita”. Lo Stato concede agli sfollati, mq. 100 di area gratuita e, dietro la loro richiesta, altri mq. 200 di area al prezzo di costo. Vero è che gli stessi abitanti, pur grati per quanto si sta facendo per loro, chiedono un ulteriore beneficio: che cioè lo Stato si sostituisca a loro – laboriosi e fedeli agricoltori, ma estremamente indigenti – nella costruzione delle nuove case e che gli appartamenti vengano loro assegnati con la clausola del riscatto affinché essi, costretti ad abbandonare la casa dove sono nati e che costituiva tutta la loro ricchezza, siano messi in condizione di poter diventare, un giorno, proprietari dell’alloggio nel quale, per causa di forza maggiore e, diciamocelo pure a malincuore, debbono trasferirsi. Da parte nostra, resi edotti da antiche e recenti esperienze, facciamo voti perché a nessuno degli sfollati venga in mente di demolire, in tutto o in parte, le case che vengono abbandonate. Civita non deve diventare una cava di materiali; gli uomini non debbono mostrarsi più spietati delle stesse avverse forze naturali. In tal senso riteniamo che tempestive e precise disposizioni dell’Autorità comunale eviterebbero distruzione e sarebbero quanto mai indispensabili e bene accette.
*Luciano Costantini, giornalista professionista, ha lavorato in qualità di vice capo servizio presso la redazione centrale de Il Messaggero, occupandosi di sindacato ed economia. Rientrato in sede stabile a Viterbo, firma in qualità di direttore editoriale la testata TusciaUp. La sua grande passione per la storia è raccolta in due libri: Il giorno che accecai il Duce, Fuori le donne dal palazzo dei Priori. E’ prossima l’uscita del terzo libro, tutti editi da Sette Città. Echi di cronaca del secondo dopoguerra è una rubrica periodica su questa testata, che racconta aneddoti e fatti di quel periodo storico riportati proprio dal quotidiano romano in cui il giornalista ha vissuto il suo cammino professionale.
Documentazione tratta dalla ricerca d’archivio presso la Biblioteca di Viterbo sul periodo storico.
Foto cover di Domenico Terribili