Sicuramente si può definire un’enciclopedia vivente del cinema italiano. Soprattutto di quello girato a Viterbo e dintorni. Il suo nome? Franco Grattarola, 60 anni, nato a Bari ma viterbese da sempre. Con un breve passaggio in politica e con una grande passione per il 35 millimetri, tanto è vero che sull’argomento ha scritto un libro dal titolo “Tuscia, terra di cinema”, uscito nel 2008 e aggiornato con una seconda edizione nel 2022.
“Sì – esordisce – in questo libro c’è la storia del cinema viterbese, che si intreccia fortemente con quella del cinema italiano. A cominciare dal 1911 con Filoteo Alberini, uno dei fondatori del cinema mondiale. Lui era nato a Orte e col suo kinetoscopio precedette addirittura i fratelli Lumière. Proprio nel 1911 girò un film dal titolo ‘La bella Galliana’, ispirato alla leggenda viterbese. Ma la censura dell’epoca lo fece uscire solo nel 1914”.
Come nasce questa sua passione?
“Mio padre era uno storico del Risorgimento. Ma soprattutto mia madre era un’appassionata di cinema. I miei primi film li ho visti con lei. Anzi, ricordo che il primo film che vidi fu quello di Pasolini, ‘Il Vangelo secondo Matteo’ e lo vidi all’Auditorium, quello che all’epoca tutti chiamavano il ‘Pidocchietto’. Tanto è vero che proprio su Pasolini ho scritto il mio primo libro”.
Quando è cominciato questo lavoro?
“Negli anni ’90. Cominciai con compilare una serie di schede sui film girati nella Tuscia. Ho fatto molta ricerca d’archivio, oltre alle cose che già avevo. In biblioteca ho consultato centinaia di pagine del Messaggero e del Tempo, tanto è vero che il libro è dedicato a Peppe Mascolo (per decenni giornalista del Tempo). Altro materiale l’ho ottenuto dalla visione diretta dei film. Ne parlai con Mauro Galeotti e fu proprio lui il primo a consigliarmi di farci un libro. Infine, nel 2007, venne a sapere della cosa anche Mauro Morucci (storico organizzatore del Tuscia Film Fest, ndr) e così nel 2008 uscì la prima edizione”.
Insomma, dentro c’è un po’ di tutto…
“Nell’edizione del 2008 sono citati circa 300 film; in quella del 2022 ce ne sono quasi il doppio. Giacché, oltre ai film più noti, come ‘I vitelloni’ ‘Il vigile’ o ‘L’armata Brancaleone’, ho voluto inserire anche piccole location, dove magari è stata girata soltanto una singola scena. Cito, tanto per fare qualche esempio, palazzo Farnese di Caprarola o villa Lante di Bagnaia, che spesso sullo schermo sono diventate il Vaticano”.
E il libro come è andato?
“Quello del 2008 ha avuto un discreto successo, molto più a livello nazionale che locale. E’ stato recensito da molte testate. Per l’edizione aggiornata siamo ancora in fase di presentazione”.
Viterbo e il cinema: un connubio quasi indissolubile…
“Sì, anche se l’impulso grosso c’è stato grazie a Giorgio Capitani e al suo ‘Maresciallo Rocca’. Lui capitò a Viterbo per caso una sera in cui pioveva a dirotto e faticò a prendere un caffè, perché i bar erano quasi tutti chiusi. Ma notò subito che la città si adattava perfettamente alla tipologia di storia che lui voleva raccontare, in un’ambientazione prettamente provinciale. Poi si innamorò di Viterbo, tanto è vero che subito dopo girò, nel vecchio carcere di Gradi, ‘Un prete tra noi’, con Massimo Dapporto. Poi si è talmente legato alla Tuscia e a Santa Rosa che comprò una casa proprio sulla salita. E, per scaramanzia, almeno una scena dei suoi successivi lavori ha voluto sempre girarla a Viterbo”.
Lei ha conosciuto Capitani?
“Sì, quando ancora non abitava a Viterbo. Presentai un suo libro autobiografico dove raccontava che aveva cominciato nel cinema non come regista, ma facendo altre cose. Poi, negli anni ’50, girò ‘Il pescatore di Posillipo’, un film prodotto da Fortunato Misiano. Un uomo che produsse molti film girati nella Tuscia, giacché la figlia aveva sposato un possidente terriero della zona, che aveva realizzato una piccola Cinecittà tra Ronciglione e Nepi, nella cosiddetta tenuta Pazzielli. Venivano realizzati soprattutto film in costume, che raccontavano storie di pirati. Le scene di terra si giravano in questa location, quelle di mare sul lago di Garda, dove c’erano i galeoni. Capitani incontrò Misiano e subito nacque un bel sodalizio, con molti film popolari. Uno degli ultimi fu ‘Il figlio di Aquila nera’, dove esordì una giovanissima Edvige Fenech”.
Un film sexy?
“No, no. Era vestitissima. Quello era un film in costume…”.
Altri registi che hanno girato a Viterbo…
“Tanti. I più famosi sono senza dubbio Fellini, Pasolini, Monicelli, Rossellini. Fino ad arrivare a Checco Zalone col suo ‘Quo vado’ campione di incassi, con alcune scene girate a Faleria”.
Viterbo dunque è un set naturale?
“Sì, è proprio così. Sia per i paesaggi che per le architetture fa molta concorrenza a Roma. Anche perché in provincia ci sono molte meno difficoltà ad allestire un set. Mi raccontava proprio Giorgio Capitani che spostarsi a Roma da un quartiere all’altro è tutt’altro che facile. A Viterbo si fa molto prima: basta bloccare una strada per un paio d’ore per girare una scena. Anche Monicelli aveva identificato la Tuscia per una serie di film perché – a differenza della Toscana – gli ambienti naturali sono ancora incontaminati. Anche Tinto Brass ha girato nella Tuscia: a Soriano, sia ‘Caligola’, che ‘Capriccio’, il film che lanciò Francesca Dellera”.
E durante il periodo fascista?
“Il primo film importante girato a Viterbo è ‘Vecchia guardia’, di Alessandro Blasetti. Uno dei pochi film apologetici sul fascismo. Narra i prodromi che portarono alla marcia su Roma. Fu girato negli anni ‘30 e sarebbe dovuto uscire per celebrare il decennale dell’evento. Ma ebbe problemi di censura perché Mussolini non voleva che si facessero film di propaganda fascista. E a Luigi Freddi, all’epoca uno dei massimi responsabili della politica cinematografica italiana, la pellicola non piacque”.
E allora?
“Blasetti ricorse a un escamotage. Fece vedere il film al duce nella sala di proiezione privata di villa Torlonia. Mussolini si commosse e l’opera uscì con qualche anno di ritardo. Poi Blasetti tornò nella Tuscia qualche anno dopo, a Civita Castellana, per girare ‘La corona di ferro’, con un giovane Gino Cervi. Poi a Sutri un film apologetico sui partigiani. I tempi erano cambiati…”.
Torniamo al libro…
“La nuova edizione ha una suddivisione blandamente cronologica, ma anche rispetto ai vari generi, compresi quelli più leggeri”.
Tanto per capirci, quelli in voga negli anni ’70 e ’80?
“Sì proprio quelli, che seguirono a ruota il ‘Decameron’ di Pasolini. Tutte le imitazioni (a cominciare dal film cult ‘Quel gran pezzo dell’Ubalda’) furono girate a San Pellegrino con esterni a Tarquinia. Il regista, che purtroppo è morto, si chiamava Mariano Laurenti. Aveva iniziato a fare cinema con Steno e poi si era buttato su questo filone. Mi diceva che i costi erano bassi e le rendite cospicue. Si girava in meno di un mese con guadagni altissimi”.
Per concludere?
“Il nuovo libro è già stato presentato a Soriano, nell’ambito del progetto ‘Tuscia terra di cinema’. Un’iniziativa che prevede anche cartelli con foto e testo, sia in italiano che in inglese. Alcuni già sono presenti, altri verranno inaugurati in molti comuni della provincia a ridosso del ‘Tuscia film fest’, in corso a Viterbo dallo scorso 7 luglio. Il progetto vuole coniugare cinema e turismo”.


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