Leggendo il lungo articolo a firma di Gian Filippo Chiaravalli (21 aprile ’63) si ha netta l’impressione di entrare in un mondo diverso. Una Viterbo che si fa fatica soltanto ad immaginare, quando erano ancora scooter e carri agricoli a scorrazzare per le anguste stradine della città. In sessanta anni tutto è cambiato: il tessuto urbano è stato stravolto a beneficio sostanziale dei motori, della mobilità. Nell’interessante reportage dal Salone dell’Auto di Ginevra del ‘63, Chiaravalli, ricorda che soltanto nel ’58 i viterbesi avevano acquistato 800 vetture nuove, cinque anni dopo oltre 2.000, a testimonianza di una escalation inarrestabile, sulla scia di un mutamento economico e sociale. Chiamato boom.(Dal 1957 iniziò la produzione della vera e propria 500 che inizialmente costava 465 mila lire il che equivaleva a tredici stipendi medi). Ovviamente le auto italiane sono le più richieste da sempre: 600, 500, 1100 in rigorosa classifica, però sul mercato si affacciano anche le francesi e le tedesche. Tutto secondo i pronostici anche se a fine ’62 la 500 riesce a superare la 600. Comunque sempre roba di casa Fiat.
Da Il Messaggero del 21 aprile 1963
I “forestieri” che giungono a Viterbo dalle grandi città non possono fare a meno di lamentarsi della circolazione intensissima, che va via via aumentando, esistente nella nostra medievale tranquilla cittadina. Gli imponenti monumenti storici, che fino a pochi anni fa erano avvolti da una pesante cappa di silenzio, vengono ora trasformati dall’incessante rombare dei motori che sfrecciano veloci. Ed anche nel suggestivo splendore del quartiere S. Pellegrino, l’eco delle antiche cavalcate si perde coperta dal fragore, reso più cupo dall’angustia delle viuzze, di una piccola utilitaria che avanza “a tutta birra” con le sue brave strisce asimmetriche multicolori e l’immancabile scappamento “Abarth”.
Il boom economico, il tanto decantato “miracolo” economico, sembra proprio aver toccato anche i viterbesi che comprano, che comprano sempre di più, autovetture di ogni genere, sia nazionali che estere: nel ’62 spesi un miliardo e settecento milioni.
Domenica 24 marzo si è chiuso a Ginevra il Salone dell’Auto. Ha chiuso: i suoi battenti dopo aver non indifferentemente contribuito, con la sua caratteristica di vera e propria rassegna automobilistica dell’anno, a sottolineare quello che rappresenterà il 1963 per i motori. Presenti le più quotate Case costruttrici con una vasta gamma di modelli che permettono una possibilità di scelta su vasta scala e presenti anche i tecnici i quali hanno dichiarato che le richieste aumentano e le grandi industrie motoristiche non riescono a tenere il ritmo di assorbimento del mercato per cui debbono aumentare la produzione ed ampliare la conseguenza le catene di montaggio.
Ciò vuol dire che nel 1963 vi sarà ancora un aumento delle vendite; vuol dire inoltre che si potrebbe giungere ad immatricolare in un anno circa un milione di automezzi che vanno ad aggiungersi a quelli già circolanti in Italia.
Viterbo, nel suo piccolo, segue le scale dei valori nazionali. La circolazione delle auto in provincia cresce, cresce smisuratamente. E pensare che nel 1958, parliamo di soli cinque anni fa, Viterbo aveva immatricolato soltanto 800 vetture! Nel 1962 invece i viterbesi hanno comperato 2222 auto nuove, 2020 autovetture e 202 tra autocarri e furgoni vari. Come si può ben vedere l’immatricolazione degli autoveicoli “nuovi di fabbrica” è quasi triplicata.
Il dinamismo della vita moderna richiede celerità di movimenti e improvvisi spostamenti; che cosa quindi può essere più utile dell’auto? Ma il fatto è che mentre il sogno di un padre di famiglia di discrete possibilità era, parlo di non molto tempo fa, la modesta “600”, ed una “Lancia” o una “Alfa” rappresentavano per i più l’irragiungibile, ora non ci si contenta più. Sembriamo davvero tutti compresi in questo risveglio dell’economia italiana. Eppure le emigrazioni aumentano, la disoccupazione e la sottoccupazione esistono ancora. Ma queste cose non interessano il campo dei motori: le macchine aumentano ed il loro numero è destinato a salire ancora.
Inquadrato il fenomeno generale, parliamo dell’argomento che più ci interessa: indichiamo cioè quali sono le macchine che i viterbesi preferiscono e, per meglio renderci conto dei cambiamenti del loro gusto, le metteremo in confronto con auto vendute nel 1961. Per fornire ai nostri lettori un quadro esatto delle preferenze dei nostri concittadini, abbiamo raccolto i dati (che si riferiscono agli autoveicoli nuovi di fabbrica) relativi agli anni ’61 e ’62.
Nel 1961 la Fiat tiene il primato delle vendite per le case nazionali con la “600”, di cui ne sono stati venduti 311 esemplari, seguita dalla “500” (227) e dalla “1100” che deve accontentarsi del terzo posto con 136 preferenze.
E’ necessario far presente che la vendita delle macchine italiane rispetto al ’60 subì allora una leggera flessione scendendo da quota 1254 a 1107. Le straniere invece rafforzarono la loro posizione, sempre rispetto al 1960, triplicando le vendite, portandole cioè da 32 unità a 120, con la Volkswagen in testa alla classifica delle importazioni (47 autovetture) seguita dalla DKW e dalla Simca rispettivamente con 25 e 12 auto vendute.
Alla fine del 1962 le posizioni della nostra classifica mutano radicalmente. Tra le italiane è sempre la Fiat che detta legge con 1264 auto immatricolate, ma questa volta è in testa la “500” (41) che è riuscita finalmente a superare la “600” (411), mentre terza è ancora la “1100” (196) incalzata a sua volta dalla “1330” che conta però soltanto 130 vetture vendute.
Come si vede la produzione italiana, dopo una leggera defaillance subita nel ’60, si è prontamente ripresa; anzi ha anche aumentato l’indice di vendite rispetto all’anno in cui aveva subito la diminuzione.
Dopo la Fiat viene – grazie ai prodotti Renault che con il lancio dei suoi tre tipi, Ondine, R-4 ed R-8, ha ripreso quota – la Alfa Romeo (145), mentre la terza è la Bianchi (116) seguita dalla Innocenti (72) e dalla Lancia (52).
Ma le sorprese più grosse ci vengono dalle straniere, ancora una volta esse hanno triplicato il numero delle loro vetture nuove circolanti in Italia: infatti dai 120 esemplari venduti nel ’61 sono passate ai 363 del ’62. E la novità più grande è che la Ford ha superato, seppure di misura, la Volkswagen, finora incontrastata dominatrice del mercato italiano; infatti oggi circolano 107 Ford, dei tipi Anglia, Cortina, Taunus, Consul 315, ecc., contro le 106 “1200” e “1500” della casa tedesca. Al terzo posto è balzata la Simca, che con il lancio della “1000” sembra avviata verso mete più alte, con 57 auto vendute, mentre incalzano la Opel (22), la Nsu Prinz e la BMW, quest’ultime entrambe con 17 presenze.
Le auto, quindi, dilagano sulle nostre strade – per lo meno questo ci dicono le cifre – ed il loro incremento tende ad aumentare con i primi mesi del 1963, mentre sempre più numerose vediamo, tra le varie “500” e “600” le vetture straniere. Questo ci fa pensare che oggi le “utilitarie” si avviano sempre più a diventare la seconda macchina, la macchina da città cioè, dal minimo ingombro. E bisogna anche non dimenticare che nessuna di queste macchine che abbiamo nominato è un “bidone”, perché una Casa, al giorno d’oggi, per mettere in produzione un nuovo modello di vettura, deve investire decine di miliardi e non può, rischio il fallimento, permettersi errori. Sicuri di questo i viterbesi continuano a scegliere e ad acquistare, mentre i più tradizionalisti confermano la loro fiducia alla “500”.
*Luciano Costantini, giornalista professionista, ha lavorato in qualità di vice capo servizio presso la redazione centrale de Il Messaggero, occupandosi di sindacato ed economia. Rientrato a Viterbo, firma in qualità di direttore editoriale la testata TusciaUp. La sua grande passione per la storia è raccolta in tre libri: Il giorno che accecai il Duce, Fuori le donne dal palazzo dei Priori, l’ultimo pubblicato“O Dio con Noi o tutti in cenere”, tutti editi da Sette Città. Echi di cronaca del secondo dopoguerra è la rubrica periodica su questa testata, in cui racconta aneddoti e fatti di quel periodo storico riportati proprio dal quotidiano romano in cui ha vissuto il suo cammino professionale.