Gianluca Grazini torna sul grande schermo con “Gli elefanti”

di Paola Maruzzi

Gianluca Grazini

“Gli elefanti”, il corto di Antonio Maria Castaldo, ha debuttato con successo alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, tenutasi dal 14 al 22 giugno. A distanza di quasi un anno da “La campanella”, il docu-film premiato alla sezione parallela dell’80esima Mostra del Cinema di Venezia, assistiamo al ritorno sul grande schermo di Gianluca Grazini, attore viterbese e questa volta impegnato anche nell’inedito ruolo di co-sceneggiatore.

Realizzata nell’ambito dell’attività del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, la pellicola mette al centro il delicato mondo del soccorso e i suoi fragili equilibri umani che si snodano a partire da un drammatico incidente d’auto: in tredici minuti il regista scandisce l’azione narrativa di una quotidiana emergenza, resistendo alla facile (e fallace) tentazione fare degli uomini in divisa degli eroi senza macchia e senza paura.

“Il merito del corto sta nell’aver spogliato il vigile del fuoco della veste di super eroe impermeabile alle emozioni, incapace di mettersi in discussione e di accettare il fallimento – spiega Grazini che, oltre a recitare, nella vita fa il pompiere presso il Comando di Viterbo –. Al contrario di ciò che accadeva in passato, oggi si tende sempre più a rimarcare la preparazione tecnica più che il gesto eroico di per sé. Un bravo soccorritore, per essere tale, deve conoscere i rischi a cui va incontro e saperli gestire. Deve, inoltre, saper fare i conti con la propria empatia, come fanno gli elefanti”. Ecco, dunque, chiarito il titolo: in comune con i grandi pachidermi i vigili del fuoco hanno la capacità di empatizzare con l’altro, “un richiamo naturale e inspiegabile, un passaggio di sensibilità essenziale per il nostro lavoro”.

Per l’attore in divisa l’intelligenza emotiva è, infine, il patto non verbale che sigla la complicità di una squadra collaudata: “Nel corto emerge quanto siano importanti i segnali di intesa che i due colleghi si scambiano senza neanche aver bisogno di parlare. Accade la stessa cosa anche nella realtà. Le dodici ore di turno ti mettono a nudo e, per me, è un po’ come fare teatro”.

 

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