Tuscia in pillole. Calcata

di Vincenzo Ceniti*

Calcata

Si resta a bocca aperta quando t’appare, all’improvviso, dalla strada in arrivo da Mazzano nel versante sud della Tuscia viterbese ai confini con la provincia di Roma. Il borgo di Calcata, bandiera arancione del Touring Club Italiano, che sta in piedi per miracolo e da secoli, con case a strapiombo sulla forra del Treja, non ha l’eguale al mondo.

Si entra nel paese vecchio (quello nuovo è ad un paio di chilometri) da un arco di pietra segnalato da un laboratorio di falegnami (la Ciarla) e percorso  da un selciato (via degli Anguillara) che sale alle due piazzette principali ancora affezionate  a casa Savoia, visti i loro nomi: Umberto I e Vittorio Emanuele II. Due spazi in perenne sussulto, con scene dal vivo su copioni imprevedibili e improvvisati, spesso presidiati da un singolare personaggio barbuto dall’aspetto sacrale, una sorta di santone,  che spia gli avventori, racconta e intrattiene.  I personaggi sono bottegai, artisti e turisti di ogni faccia e paese che nei fine settimana si fanno numerosi in un chiacchiericcio gradevole a dar voce al silenzio.

Su una parete si fa vedere una targa che non legge nessuno e che ricorda i bombardamenti del 1944, quando alcuni abitanti della vicina Civita Castellana trovarono rifugio e ausilio a Calcata. Di qua la chiesetta dei santi patroni Cornelio e Cipriano festeggiati a Settembre (aperta la domenica), dai sani fondamentali  trecenteschi. Il parroco è un nigeriano, don Agostino, che si fa in due tra il paese vecchio e il nuovo. Di  là quanto resta del castello degli Anguillara un tempo signori della zona. Di fianco l’ex palazzo civico preceduto  da tre poltrone di tufo, unici nel loro genere, scolpiti molti anni fa da un artista locale.

Da un lato è appiccato allo spigolo di una casa uno strano arnese di ferro che accenna a due funzioni, come ci racconta il bottegaio di nocciole e marmellate. Secondo la leggenda avrebbe sostenuto  nel Medioevo la gabbia della gogna occupata dal mariuolo o malfattore di turno per essere sbeffeggiato dal popolo. Più concretamente, visto anche l’anno di costruzione 1924, reggeva la mega stadera destinata alla pesa del grano che veniva ammassato nel vicino Granaio d’impianto seicentesco, trasformato alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso in cenacolo culturale da Marijcke van der Maden, un’artista olandese ben nota  per le sue statuine del presepio confezionate a mano con volti di vari abitanti del posto. Anche bamboline e pupazzi di ogni forma e di raro pregio. Gli sta accanto l’antica chiesa di San Giovanni dove è allestito un piccolo museo della civiltà contadina con oggetti e attrezzi di lavoro pazientemente  recuperati alcuni anni fa da cultori di storia locale.

Sa tutto e di tutti la signora Marina che staziona con il banchetto artigianale di fronte al suo piccolo laboratorio dove modella e dipinge. In  un cartello posto all’interno della bottega si legge “… con le mani ella crea anche la più pazza idea e ogni cosa che lei produce brilla di una propria luce”. Sta a Calcata da mezzo secolo, come molti altri artisti che dalla metà degli anni Settanta, dopo il trasferimento della popolazione in altro sito, hanno preso a frequentare e ripopolare il borgo vecchio restaurando le vecchie abitazioni, aprendo piccoli atelier, vivacizzando l’abitato che altrimenti sarebbe scomparso.

Si viene a Calcata soprattutto per gustare la cucina laziale specialmente romana. In ogni angolo del vecchio paese, tra pertugi e vie strette su acciottolati senza tempo,  si fanno largo  ristoranti, trattorie, ristori a vari livelli, tutti annunciati  da cartelli con richiami allettanti  per suscitare curiosità e acquolina in bocca. “L’Opera Ristorante” (ne prendiamo uno a caso) tratta il menù come lo spartito di un melodramma lirico: Preludio (antipasti), Atto 1° (primi piatti), Atto 2° (secondi piatti) e Applausi (dessert). Fuori dell’abitato si fa notare il ristorante “Il Caraponzolo” stavolta non preso a caso, dal momento che lo conduce  lo chef stellato Carlo Tonnarini, peraltro molto amico dei vegetariani.

Dicevamo degli intellettuali arrivati a Calcata dopo l’esodo degli abitanti in altro sito. Tra questi, ci fu anche Paolo Portoghesi che creò in un vasto terreno di circa duemila ettari poco fuori l’abitato il “Giardino letterario” tuttora visitabile (info. cell.335.6382297) le cui strutture narrano secoli di storia. Nei padiglioni è sistemata, tra l’altro, una vasta biblioteca dell’architettura. Tutt’intorno giardini con piante rare, opere d’arte, tempietto, teatro all’aperto, vasche con piante acquatiche, uccelliere, colture specializzate, roseti, ricoveri per animali (anche asini bianchi), viottoli tra  la natura ed  altro.

Nel parco regionale Valle del Treja di un migliaio di ettari, sottostante  il vecchio abitato di Calcata, si trova il museo en plein air “Opera Bosco” che propone  una serie originale di composizioni naturalistiche con l’utilizzazione di materiali arborei. A monte Gelato,  una vecchia mola alimentata dal fiume Treja, raro esempio di archeologia industriale, dà vita ad un cascata tra rocce tufacee.

Calcata vecchio
Un barbuto personaggio amico di tutti

Nella foto cover, l’abitato di Calcata vecchia

 

L’autore*  

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

 

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