“Sono nato a Viterbo il 19 aprile 1923. A Viterbo, è chiaro. Mio padre, di stirpe socialista, era socialista ma lui siccome con quattro fiji, e de quelli tempi, nun cercava rogne, perché, se se manifestava, le rogne le trovava co’ la pala…”.
Così aveva detto Nello Marignoli, nel luglio 2006, per il documentario – intervista Mio fratello Gojko, riguardo al padre, Giuseppe. La rivendicazione dell’appartenenza ad una stirpe, quella socialista, con radici nella Viterbo postunitaria, accanto alla paura di compromettere la propria famiglia e comunque, sotteso, il desiderio di non rassegnarsi al Fascismo che, a suo modo, il padre comunicava ai figli. A Nello che, da bambino, si apprestava a partecipare alle manifestazioni e alle adunate di Regime diceva: “Do’ vai? A alza’ la zampetta?”.
Giuseppe Marignoli ha un esercizio di benzinaio e gommista, in viale Raniero Capocci, e abita con la famiglia in via delle Piagge, nella zona di San Faustino. Una famiglia che vive nelle ristrettezze che riguardano tutto il quartiere popolare. Nei cosiddetti anni del consenso, gli anni Trenta, il Nello bambino ed adolescente assiste ad episodi, invece, di insubordinazione che si verificano nel rione e che sarebbero rimasti impressi nella sua memoria, come gli arresti e le persecuzioni a danno del marmista repubblicano Duilio Mainella, di bottega nella vicina via dei Magliatori.

Negli stessi anni, in Nello maturano interesse e passione per la radiotelegrafia, in particolare in Italia associata ovviamente alla figura di Guglielmo Marconi. A tal proposito, Nello aveva partecipato ad un concorso all’Istituto Don Bosco di Roma, classificandosi primo e vincendo, avrebbe ricordato, ben 150 lire, subito portate felicemente alla madre, Lucia.
Arriva la Seconda guerra mondiale. A quasi due anni dall’ingresso dell’Italia fascista, il 26 gennaio 1942, Nello è arruolato nella Regia marina militare italiana, proprio in qualità di radiotelegrafista, detto anche marconista e, nel gergo dei marinai, La Signorina.

Nel maggio dell’anno successivo, Nello è inviato sul Fronte greco – albanese, a bordo del dragamine Rovigno, per cui ha compiuto cinque missioni. L’Armistizio dell’8 Settembre 1943 lo sorprende al porto di Valona. Proprio in qualità di marconista, aveva captato la notizia dalle emissioni ad onde corte di Radio Cairo. Portata l’informazione in plancia, il Comandante in seconda gli aveva puntato la pistola intimandogli di non divulgare quello che considerava solo un falso della propaganda nemica.

Il 12 settembre i tedeschi salgono direttamente sulla nave e chiedono ai marinai chi vuole passare immediatamente a combattere per il Terzo Reich. Solo uno aderisce; gli altri sono fatti prigionieri. Marignoli è internato in Bosnia, nei campi di concentramento di Dubrovnik, Zitomislici e Citluk, dove, tra sofferenze, soprusi e privazioni d’ogni tipo, svolge la professione di vulcanizzatore, cioè riparatore di gomme. Nel Natale 1943, assieme ad altri commilitoni internati, si rifiuta di mangiare, nonostante la fame, la pastasciutta condita con la marmellata offerta, non si sa se per ignoranza o per scherno, dal Comandante del campo.
Nell’agosto 1944, grazie ad uno stratagemma organizzato dall’Esercito popolare di liberazione jugoslavo (Eplj) tramite infiltrazioni nel campo di concentramento, Marignoli riesce ad evadere. A Mostar, gli ufficiali jugoslavi gli propongono di entrare nella Lotta di liberazione. Proprio nel passaggio alla Resistenza, si ritrova in un accampamento con diverse migliaia di alpini della Divisione Tuarinense, in procinto di diventare la Taurinense – Garibaldi. Così, in un esercito che per le comunicazioni si serviva ancora delle staffette, Marignoli diviene radiotelegrafista presso la X Brigata Herzegovaska dell’Eplj. Prende parte a diverse battaglie sul fronte di Bileca, Dubrovnik, Mostar e Sarajevo, sino a raggiungere Trieste, la città contesa, nel maggio 1945.

Da qui, il ritorno a piedi e in autostop sino a Roma, per giungere a Viterbo in agosto, con il treno della Roma nord. Al posto però della casa, dentro porta Romana, in via Garibaldi, dove la famiglia si era trasferita, trova un cumulo di macerie, in una città semidistrutta dai bombardamenti alleati. A riconoscerlo, un cugino di secondo grado, Domenico Morelli, che lo accompagna dalla madre, sfollata con tutta la famiglia in via delle Piagge.
Dopo l’abbraccio con la madre, l’ingresso in casa e l’ultimo ricordo di quella giornata è di lui supino sul tavolino della cucina che prende sonno, mentre sente la madre e la zia parlare tra loro nella stanza accanto.
Il reinserimento nella vita civile non si presenta certo facile, in una città in macerie e di fronte ad un’infinità di ostacoli ed indigenze di ogni tipo, sebbene con quell’ottimismo di fondo per cui le cose non avrebbero potuto comunque che migliorare. È di questi anni un documento conservato nel suo fascicolo presso l’Archivio della Federazione provinciale dell’Associazione nazionale combattenti e reduci: una lettera in cui Nello chiede non del denaro, un lavoro, una raccomandazione, vantaggi o prebende ma un paio di pantaloni. Perché Nello aveva immediatamente ripreso il lavoro di gommista, lasciato alla partenza per il Fronte. La radiotelegrafia era rimasta nel cuore. Avrebbe ricordato del suono del telegrafo della Prefettura che sentiva quotidianamente in piazza del Comune, di ritorno a casa, nel silenzio dell’ora di pranzo.
Si era subito associato all’Anpi, senza intraprendere una carriera politica, sindacale o militare che fosse, restando di idee socialiste fino alla fine. Per la sua apprezzata attività di gommista, avrebbe ottenuto da pensionato il Leone del Comune di Viterbo per l’impegno nell’imprenditoria.
Per i meriti di guerra, riconosciuto con il grado di Maresciallo, Nello ha conseguito la Medaglia di bronzo, la Croce di guerra e la Qualifica di Partigiano combattente all’estero, dal Ministero degli interni. Nel 1964, dal Presidente della Repubblica federativa socialista jugoslava, Josip Broz Tito, avrebbe ricevuto la “Spomen medalju”, la Medaglia commemorativa in ricordo della Lotta partigiana nel territorio jugoslavo.
Pur prendendo assiduamente parte a tutte le cerimonie e le manifestazioni pubbliche di Arma, con l’Associazione nazionale marinai italiani (Anmi), combattentistiche, con l’Anpi, e pur avendo continuato ad intrattenere rapporti con i combattenti partigiani in Jugoslavia, anche recandocisi direttamente, Nello ha per decenni tenuto la sua storia individuale per sé.
Solo sotto l’impulso dei figli, in particolare di Massimo, ha iniziato a trascrivere la sua esperienza su un’agenda; e siamo ormai negli anni Duemila. Qui subentra Angelo La Bella che riceve il manoscritto e ne cura un’edizione, uscita con il titolo di Diario di guerra di Nello Marignoli, Radiotelegrafista della Marina Militare, Partigiano combattente all’estero (Viterbo, Anpi Comitato provinciale, 2004), presentata esatti vent’anni fa, nel novembre 2004, presso l’ex chiesa di S. Orsola. Per quelle coincidenze della storia, che forse non sono tali, il 30 marzo di quell’anno era stata approvata la Legge per l’istituzione del Giorno del ricordo, “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Ecco, in quest’ultima parte, “più complessa vicenda del confine orientale”, entra a pieno titolo la storia di Nello Marignoli, testimone dei crimini commessi dal nazifascismo contro le popolazioni balcaniche e contro i soldati italiani stessi, dopo l’8 Settembre. Una testimonianza utile per la contestualizzazione e per combattere vulgate strumentali sull’argomento.
Così, tre anni dopo, usciva il documentario, Mio fratello Gojko, intervista a Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente in Jugoslavia (Dvd_Italia_2007_60’).
Nel 2008, su iniziativa del Comitato provinciale Arci, le vicende di Marignoli si inserivano in un progetto per la salvaguardia della memoria partigiana locale. Ne sortivano uno spettacolo teatrale – musicale, La Cerimonia, di Ferdinando Vaselli, e una mostra audiofotografica, Morale della favola, a cura di Daniele Vita, insignita del premio Epson – Le Logge, completate dalla monografia Morale della favola, Raccontare la Resistenza oggi, a cura di Marco Trulli (Roma, Purple Press, 2009).
Al Congresso provinciale del gennaio 2011, il Comitato provinciale Anpi di Viterbo eleggeva Nello Presidente onorario. Anni dopo gli sarebbe stata intestata alla memoria la Sezione cittadina di Viterbo.
È del 2012, invece, il debutto dello spettacolo Drug Gojko, di e con Pietro Benedetti, per la regia di Elena Mozzetta, il cui testo è stato pubblicato presso l’editore Ghaleb. Un monologo teatrale basatosi perlopiù sul documentario Mio fratello Gojko, su cui Benedetti ha man mano impresso un’interpretazione personale della testimonianza narrata, con all’attivo ormai centinaia di repliche e migliaia di spettatori in giro per l’Italia e in Bosnia.
Sempre nel 2012, i trascorsi resistenziali di Marignoli sono inseriti in un volume collettaneo di respiro nazionale con le testimonianze dei partigiani ancora in vita (Io Sono l’ultimo, Lettere di partigiani italiani, a cura di Stefano Faure, Andrea Liparoto e Giacomo Papi, Torino, Einaudi, 2012, pp. 214-219).
Veniamo quindi agli ultimi anni di vita di Nello, la cui abitazione, in via Leonardo Da Vinci, n. 7, nel quartiere Pilastro, era diventata punto di riferimento per chi intendesse salvaguardare la nostra memoria storica, civile, politica, militare ed umana. Bastava passeggiare magari per qualche centinaio di metri, entrare nel portone e salire una rampa di scale, con Nello che ti accoglieva e, ad un tratto, ci si trovava catapultati a Patrasso, sulla baia di Valona, sui monti della Bosnia, a Trieste, o al capolinea della Roma nord, con mille racconti ed aneddoti. Ogni volta un nuovo elemento, un nuovo spunto. Nello restava sempre pacato, senza mai alzare la voce, attaccare o criticare direttamente qualcuno, senza alcun piagnisteo ma anzi con un forte senso dell’umorismo e un’incisività nel dialogo che forse proprio l’apparente disincanto formale faceva arrivare più potenti.
Poco prima di venire a mancare, un sogno premonitore di cui aveva raccontato, alla fine del quale aveva aperto gli occhi e si era trovato dinanzi il medico che gli sorrideva dicendo che l’aveva scampata.
In fine il ricovero, all’ospedale di Belcolle, per insufficienza renale, quando, alle 4.30 del mattino del 23 novembre 2014, veniva a mancare, all’età di 91 anni, l’ultimo Combattente partigiano di Viterbo.
Al mattino dopo, lunedì 24, i funerali, presso la chiesa del Sacro Cuore, al quartiere Pilastro. Giungevano frattanto decine e decine di messaggi di condoglianze da persone, organizzazioni ed istituzioni che avevano avuto modo di conoscere ed apprezzare la persona e la, discreta, riservata, opera di Nello, giunta in fine all’epoca dei social.

Quella di Marignoli è infatti la biografia partigiana più documentata in vita della Tuscia, anche grazie alla possibilità di adoperare le innovazioni tecnologiche in campo audiovisivo e comunicativo. “E poi.., quello che te dico è poco”.