Visita straordinaria al cantiere di restauro della chiesa di Santa Maria in Gradi

di Luciano Costantini

chiesa S. Maria in Gradi - cantiere

Una visita straordinaria a un monumento straordinario. Una dozzina di persone che di sabato mattina si dà appuntamento per entrare nel “cantiere” – perché tale è al momento e chissà per quanto tempo ancora – della chiesa di Santa Maria in Gradi. Prestigioso per quanto prezioso complesso storico di Viterbo, che ha attraversato vicende, talvolta al limite dell’inverosimile, e che da decenni aspetta di essere salvato e restituito alla città. Una visita organizzata dalla Soprintendenza ABAP per la Provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale (a fare da guide l’architetto Federica Cerroni e l’archeologa Beatrice Casocavallo) e a numero rigorosamente chiuso. Perfino alle macchine fotografiche autorizzate a riprendere esclusivamente gli esterni della basilica. Perché l’interno non garantirebbe il massimo della sicurezza, tanto è vero che i visitatori sono invitati a indossare gli elmetti.

La struttura ha subito nel corso dei secoli (le prime notizie risalgono al tredicesimo secolo) evidenti e in qualche caso discutibili rifacimenti, rispetto al primario edificio voluto e consegnato ai conventuali domenicani dal cardinale Raniero Capocci. Fu devastato dai barbari durante il cosiddetto “Sacco di Roma”, fu restaurato nel ‘700 da Nicola Salvi, l’architetto di Fontana di Trevi. Nel 1874 la chiesa fu chiusa al culto, tre anni dopo il complesso divenne un penitenziario. Fu bombardato nel ’44. Poi officina del carcere, fino alla chiusura definitiva nel ’93 e la progressiva rovina. Nei primi anni Duemila l’intervento del ministero dei Beni Culturali. In seguito – siamo alla penultima tappa – lo stop ai lavori di recupero per mancanza di fondi. Otto anni di fermo, durante i quali la basilica, che avrebbe dovuto ospitare l’aula magna dell’Università della Tuscia, ha subito stravolgimenti indicibili: per l’incuria collettiva, per l’inevitabile incidenza degli agenti atmosferici, per la presenza sempre più invasiva di stormi di volatili. Non per niente per aprire spazi ai ponteggi gli operai hanno dovuto spalare un metro di guano in altezza. Il che la dice lunga sullo stato del manufatto.

A ottobre di quest’anno l’ultimo step, con la consegna del “cantiere” alla impresa MDM di Soriano nel Cimino: 135 milioni di euro che rientrano nel milione e mezzo già stanziato dal Mibac. Risorse che evidentemente non possono permettere di riportare il monumento alla sua originale bellezza, ma che servono almeno a riprendere i lavori.

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All’interno oggi lo spettacolo è un gigantesco e scuro spettro, le navate ingabbiate da tralicci, il pavimento in cemento (per permettere l’utilizzo delle macchine) che si apre soltanto in due punti delle navate laterali dove sono state scavate altrettante fosse. “E abbiamo avuto due sorprese – spiega l’architetto Emanuele Giannini – su un lato a sinistra del presbiterio tante ossa umane, ma stranamente di donne. A sinistra un lungo cunicolo di due metri e cinquanta di altezza che molto probabilmente raccoglieva le acque che arrivavano dai Cimini e venivano convogliate verso Fontana Grande, all’interno delle mura della città. Certo siamo soltanto agli inizi delle ricerche, che sono fiducioso offriranno altre scoperte”. Il primissimo intervento riguarda la resistenza del manufatto ai test sismici e la bonifica delle scoperte, compresa la messa in sicurezza delle finestre e delle altre aperture per impedire l’entrata degli uccelli e una più efficace protezione dalle intemperie. Successivamente si dovrebbe passare al recupero e al restauro dell’abside, una parte della quale è tuttora a cielo aperto. Chiaramente il tutto è legato alla disponibilità delle risorse. Risorse che Soprintendenza e Unitus sollecitano da tempo e in misura più congrua. Nel frattempo la collettività dovrà accontentarsi di vedere quel che di Santa Maria in Gradi resta, prenotando nuove visite straordinarie. Che ci saranno. Il cantiere è aperto, ma niente foto. Per favore.

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