Non è una fredda intervista, più semplicemente un colloquio quasi intimo nella penombra della Sala Regia di palazzo dei Priori, dove fino al 7 gennaio (ma probabilmente si arriverà al 4 febbraio) saranno esposti dipinti e bozzetti in bronzo dorato del Maestro. Un’antologia di una intera vita professionale. A ottanta anni, Alessio Paternesi è legittimato a tirare un bilancio. Senza false ipocrisie e patetici amarcord. Quel che è stato, è stato.
Cominciamo dal banale: cos’è per lei l’arte?
Cercherò di rispondere con un ricordo, magari altrettanto banale. Il mio amico, pittore cileno, Sebastian Matta, mi spronava spesso con una battuta “leonardando vinci”. Voleva dire che in un’opera puoi trovare sempre ispirazione. Ovviamente, se qualcosa dentro ce l’hai. Leggendo la Divina Commedia puoi scoprire, per esempio, il personaggio da dipingere o da scolpire. L’immaginazione ti porta e vedere la scena, quasi per magia. Questo è il processo dell’arte. Viterbo e la Tuscia costituiscono un territorio magico, attraversato nei secoli da etruschi, romani, papi e imperatori. Anche la mia arte ha trovato ispirazione proprio da questa terra. Non si può non innamorarsene e non restarne innamorato per tutta la vita. Io sono un esempio vivente di questo amore, nonostante…
Il Maestro alza gli occhi al cielo e sospira.
Nonostante cosa?
Un piccolo, ma significativo esempio. Negli anni Sessanta spesso raggiungevo Roma con il treno. Tempi di percorrenza un’ora e mezza. Con me viaggiavano Gigi Petroselli, che sarà poi sindaco della Capitale e il consigliere comunale del Pci Oreste Massolo. Chiedevo: ma perché è così difficile andare e tornare? Il caro Gigi rispondeva, anzi non rispondeva, allargava le braccia….”Siamo pochi… La provincia è piccola… Non contiamo”. Purtroppo continuiamo a non contare: treni al minimo indispensabili e tempi biblici. L’Autostrada è stata fatta passare da un’altra parte e sappiamo tutti perché. A distanza di oltre mezzo secolo il tragitto Roma-Viterbo si compie in due ore e mezza, quando va bene. Cioè va ancora peggio e ho detto tutto. Va bene così. Anzi, no. La verità è che il nostro territorio è da sempre il serbatoio dei politici. Siamo burini che comunque vanno a votare. C’è un clientelismo mafioso che si è sviluppato e solidificato sul sistema dei clan. Io non ho mai fatto parte di alcun clan ed è questo che forse ha fatto la differenza. In altre parole, quello che mi ha fregato, ma va bene così. Qui per cinquanta voti si può fare tutto. Non è una opinione personale, ma anche quella di un magistrato che ho conosciuto e di cui non voglio fare il nome. “Sì, la mafia c’è”, confermava.
Una dolorosa constatazione…
E pure un retaggio del passato che sopravvive alla morte delle ideologie. Quella di destra che ha creato tanti guai e quella di sinistra con Stalin e Mao che al solo nominarli mi scattano gli scongiuri.
Eppure lei con la politica ha collaborato.
Sì, ai tempi della Giunta Vetere a Roma. Da collaboratore mi era stato chiesto di redigere un piano per la riqualificazione delle periferie. Tanto champagne e niente soldi. Poi non se e fece più nulla e tornai a Viterbo, anche a causa dello sfratto dalla casa in cui vivevo a via del Babbuino. Quella fu l’occasione, ma, in fondo, volevo tornare a Viterbo, in campagna.
E come andò il ritorno?
Mi fu proposto, Giunta Meroi, di studiare un piano per Prato Giardino e uno per il cimitero monumentale di san Lazzaro. Il primo non so che fine abbia fatto, mentre il cimitero si è ampliato ma di monumenti neanche a parlarne. Più che un camposanto oggi mi sembra un garage per morti
E come si spiega questo oggettivo ostracismo?
Non ho mai fatto parte organicamente di un partito. Certo non sono mai stato di destra. Direi che sono un illuminato di sinistra. Per farla breve, dopo quella esperienza con l’amministrazione comunale, a destra non ho più avuto contatti e, a sinistra, venni snobbato perché con la destra avevo collaborato.
Questo è passato. E il futuro?
Servirebbe un salto di qualità culturale, oltre che un potenziamento delle infrastrutture viarie. Ricordo che anni addietro, per le festività di santa Rosa, accompagnai un notissimo uomo politico lungo le vie del centro. Alla fine mi disse: “Ma voi siete seduti su un pozzo di petrolio”, alludendo alle bellezze e dunque alle potenzialità della città. Da una parte quell’affermazione mi riempì di orgoglio, dall’altra fu una ventata di tristezza.
Se le chiedessero di collaborare con palazzo dei Priori, cosa risponderebbe?
Risponderei che dipende. Certamente collaborerei con un sindaco come Michelini che ha fatto fare un salto di qualità alla città. Il “giardiniere” è un uomo colto e si vede. Se si coltiva un giardino si dà sempre l’idea che qualcosa di bello si stia facendo.
Dia un nome al suo più grande rammarico, come se fosse il titolo di un libro.
Viterbo ovvero la cultura dimenticata.