Alfonso Antoniozzi. Priore dei Baritoni

di Vincenzo Ceniti

Alfonso-Antoniozzi

“Vincerò, ma anche no!”. E’ l’agile manuale (ed. Janus 2021) di Alfonso Antoniozzi  basso-baritono  di Viterbo con sottotitolo “Tutto quello che nessuno ha mai detto sull’opera lirica”. Si parte dal presupposto che in Italia, regina del Belcanto (lo dice anche l’Unesco), la maggior parte delle persone conosce a malapena (spesso con parole inesatte) una decina di arie operistiche, le più famose ed orecchiabili. Poi buio completo su trame, autori, contesti, voci, date ed altro. L’idea di Antoniozzi è stata quella di partire da qui per raccontare, guidare e aiutare all’ascolto e lo fa col mestiere di uomo di teatro, qualità che ha sempre ostentato e anteposto a quella di cantante, da quando ebbe i primi contatti con Sesto Bruscantini, il mentore che lo ha svezzato intorno a vent’anni, dopo le esperienze giovanili nel coretto parrocchiale di Santa Maria della Verità a Viterbo.

Antoniozzi ha avuto la fortuna (lo ammette) di aver cominciato presto, a vent’anni, e incontrato fin da subito buoni registi e maestri che lo hanno arricchito di sane esperienze, covate poi nel tempo per riaffiorare nei momenti giusti. Il primo sussulto? Con il don Pasquale: voce di basso, di difficile esecuzione, cornetano (io son possidente di Corneto) e buffo, in cui ha ritrovato gli umori che andava cercando. Il suo primo vero successo sarà nel 1986 a Genova con il “buffo” per eccellenza, don Bartolo del Barbiere di Rossini. “Di lui si ride, ma non fa ridere” continua a dire, criticando la comicità di facile presa.

Buffo sì, ma di classe, con moderazione e religiosa adesione a spartiti e copioni, senza atteggiamenti sopra le righe e gratuite trovate per accattivare il pubblico. Una prova di sobrietà è ancora fresca di stampa, quando alla Scala nella “prima” del 2019 Antoniozzi s’è calato nel sagrestano di Tosca con elegante compostezza, sia di scena che di voce. Se vai a frugare nel suo io, si scopre però una voglia di Verdi, di  Falstaff (“scritto così bene per la voce”) e di Jago, mai saziata, se non in episodi marginali:  Germont (Traviata) o Fra’ Melitone (Forza del Destino).

La carriera è gratificante  in teatri di tutto il mondo dove si è esibito in oltre trent’anni di carriera, dal Metropolitan di New York,  allo Staatsoper di Vienna, al Colòn di Buenos Aires,  passando per decine di teatri europei, con cantanti e direttori da champions. Non solo melodramma, ma anche operette  (Lehàr e compagnia). Ne ha cantate  tante (nostalgia per i soggiorni di Palermo) dove la recitazione è più articolata e impegnativa. Ma anche opere contemporanee per mettersi in gioco e  sfidare nuove modalità vocali.

C’è anche Antoniozzi regista.  Ai viterbesi ricordiamo un Barbiere all’Unione di qualche anno fa di cui ha curato l’allestimento. La regia più recente è quella di Anna Bolena a Genova nel febbraio scorso. “E’ sempre questione di budget – ammette -. Più soldi ci sono e più la regia può trovare nuove soluzioni e soddisfazioni. In ogni caso mai tradire l’autore”. Nel febbraio scorso ha curato l’allestimento di Anna Bolena a Genova. Resta per ora nel cassetto il  desiderio di guidare il Trittico di Puccini dove  l’imbroglione Gianni Schicchi convive con la tragedia del Tabarro sulla Senna e il dramma claustrale di Suor Angelica.

E c’è anche Antoniozzi insegnante di masterclass, utile approdo in vista degli anta. Dice di  appagarsi quando mette un tassello sulla crescita dei giovani.  “Se un cantante che ho accudito artisticamente sfonda, il successo è anche mio e questo mi tiene alla larga da invidie e gelosie”.                               Ma nell’insegnamento torna l’antica passione: non lezioni di vocalità, ma di arte scenica, di come si sta sul palcoscenico coi tempi giusti, la mimica, i silenzi. Se gli si chiede quale è il segreto dell’opera lirica, risponde senza esitare “La sospensione dell’incredulità”.

Non finisce qui. Il 24 e 26 novembre prossimo Alfonso Antoniozzi sarà il “basso buffo” Tobia Mill ne “La Cambiale di matrimonio” di un giovanissimo Rossini al Royal Opera House di Muscat nell’Oman, con la direzione di Alessandro Bonato e la regia di Laurence Dale.           Dopo 38 anni di carriera è una bella soddisfazione anche per  Viterbo.

L’autore*

ceniti

Console di Viterbo del Touring Club Italiano. Direttore per oltre trent’anni dell’Ente Provinciale per il Turismo di Viterbo (poi Apt). È autore di varie monografie sul turismo e di articoli per riviste e quotidiani. Collabora con organismi e associazioni per iniziative promo-culturali. Un grande conoscitore della Tuscia.

 

 

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