Angelo La Bella a vent’anni dalla morte

di Silvio Antonini

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Festa tesseramento Anpi, con Alessandro Bonucci

Tra Guerra, Resistenza e Ricostruzione

Angelo La Bella nasce il 6 dicembre 1918 a Roma, in via Arco della Ciambella, 12, vicino al Pantheon, da una numerosa famiglia di piccoli artigiani: il padre è un falegname-ebanista, professione che anch’egli inizia a svolgere da ragazzo. Durante l’apprendistato entra in contatto con gli ambienti antifascisti del quartiere, acquisendo la prima coscienza politica.

Il 24 agosto 1940, dopo aver conseguito la specializzazione di Tecnico in radiologia, La Bella è chiamato alla guerra sul Fronte albanese. Qui consegue i titoli di caporale e caporalmaggiore ed è assegnato alla 20a Ambulanza radiologica, sotto la responsabilità del prof. Alessandro Vallebona, inventore dello Stratigrafo, precursore del Tac (Tomografo assiale computerizzato), che lo vuole con sé all’Ospedale militare di Tirana.

La Bella
Angelo La Bella

Il 28 novembre dell’anno successivo La Bella segue la sua Unità radiologica sul Fronte francese, ove rimane per tutto il 1942. Quando si diffonde la notizia dell’Armistizio dell’8 Settembre, si trova a Savona, dove ha i primi contatti col Pci clandestino; scappa e ritorna a casa dopo dieci giorni di viaggio. A Roma si dà subito alla cospirazione, con lo spargimento dei chiodi a quattro punte in via Cavour e a S. Giovanni in Laterano e la diffusione dei volantini e della stampa. “Guai – avrebbe ricordato – se ti trovavano, metti caso, un volantino in tasca, ché te portavano a via Tasso insomma”[1].

La sera del 15 maggio 1944, appena sopraggiunto il coprifuoco, La Bella incappa in un rastrellamento in via Nazionale: una pattuglia tedesca lo ferma e lo invia al lavoro coatto a Terni per il ripristino della ferrovia danneggiata dai bombardamenti alleati. Fugge da qui e, percorrendo a piedi proprio la linea ferrata, torna a casa. È al Colosseo, tra la folla, quando nel giugno 1944 passano le camionette alleate.

Non appena liberata Roma, La Bella s’iscrive alla Sezione Pci del Celio, una delle più consistenti della Capitale,e ne diviene Segretario, incarico allora di grande autorità. La Sezione si trovava nei locali già della Casa del popolo di via Capo d’Africa, fondata il  6 ottobre 1906 dall’Unione emancipatrice tra gli operai d’arte muraria, luogo fondamentale per la storia del movimento operaio di Roma e del Lazio. Per fare un esempio, qui, nel luglio 1921, aveva trovato dimora il Direttorio nazionale degli Arditi del popolo, dopo lo sfratto da palazzo Venezia. Nel 1926, il Fascismo aveva assegnato i locali all’Opera nazionale dopolavoro. Con la Liberazione, i lavoratori se ne erano riappropriati situandoci le sezioni Pci e Psi. Lo stabile sarebbe stato poi assegnato all’Enal (Ente nazionale assistenza lavoratori) e, infine, alla Regione Lazio.

La Bella avrebbe raccontato d’un episodio notevole, accadutogli proprio da Segretario di questa Sezione, quando si era presentata una famiglia numerosa, sfollata da Cassino, in condizioni disastrose, con appresso un carrettino e una lettera del Prefetto a lui indirizzata, ove si raccomandava di rifocillare questi sfollati e di trovare loro un alloggio. Nella Casa del popolo c’era una stanza chiusa col lucchetto, di proprietà d’un alto funzionario del Ministero Africa italiana che, aderendo alla Repubblica di Salò, si era trasferito nel Settentrione. Con le tronchesi e con due testimoni, La Bella entrava in questo locale, inventariava mobilio e oggetti, che poi ammonticchiava in cantina, per far spazio alla famiglia. Passati mesi, il proprietario si presentava e lo denunciava per occupazione abusiva e violazione di domicilio. Il Pretore, forse sulla scia del sentimento di forte solidarietà che i tragici eventi appena trascorsi avevano fatto scaturire, avrebbe invece emesso una sentenza laudativa di assoluzione con formula piena, per il gesto encomiabile del quale il giovane segretario si era reso promotore.

Frattanto La Bella aveva fatto domanda, come combattente di guerra, presso la Direzione generale del catasto che lo nominava addetto alla ricomposizione catastale per i terreni del Viterbese. Si trasferisce quindi a Viterbo nel 1948 e subito si presenta al Pci locale per continuare a svolgere attività politica, in un momento intenso quanto delicato: il 14 luglio di quell’anno, Palmiro Togliatti viene gravemente ferito nell’attentato ad opera di Domenico Antonio Pallante. L’Italia è attraversata da un’ondata di agitazioni che riguardano anche il Viterbese. Avvengono difatti incidenti d’una certa gravità a Tuscania, mentre è a Civita Castellana che si registra l’episodio più drammatico: il 15 luglio, in circostanze mai ben definite (La Bella sarebbe tornato sull’argomento in diverse occasioni[2]), perde la vita il carabiniere Minolfo Masci. A questa morte segue una massiccia repressione nei confronti soprattutto degli operai ceramisti più combattivi, tratti in arresto, non senza il ricorso al pestaggio, mentre le rispettive famiglie sono lasciate in condizioni d’assoluta indigenza. In questo frangente La Bella, assieme ad altri dirigenti locali del Pci, si adopera per placare gli animi. Con la celebre Giardinetta della Cgil di Viterbo[3] compie il giro dei vari centri toccati dalle agitazioni, al fine di evitare azioni azzardate, in base al sospetto che l’attentato al Segretario nazionale del Pci rientrasse in un piano eversivo più generale, tendente a spingere le sinistre nell’illegalità per giustificare una soluzione reazionaria. La Bella qui si prodiga anche a costituire un Comitato di solidarietà con gli arrestati, al fine soprattutto di aiutarne le famiglie.

Il Tempo dell’invasione

È Pietro Ingrao che incarica La Bella di seguire per “l’Unità” il processo sui fatti di Civita Castellana e Tuscania al Tribunale di Viterbo, sancendo così l’inizio della corrispondenza da Viterbo per il quotidiano Pci durata dieci anni. Nella seduta del 23 marzo 1950, proprio mentre La Bella è al Tribunale in veste di cronista, gli si avvicina un poliziotto in borghese che lo invita ad uscire perché lo desiderava un tale che, sprovvisto di documenti, non aveva potuto far ingresso. Appena esce, trova però due carabinieri che lo ammanettano e lo traggono in arresto per avere offeso il Prefetto di Viterbo su “l’Unità”. Il riferimento era alle conseguenze di quanto accaduto a Lentella (Abruzzo) due giorni prima, durante le agitazioni dei disoccupati indette dalla Cgil, quando, sotto al Municipio, i carabinieri avevano sparato sulla folla, ferendo dieci manifestanti ed uccidendone due: Cosmo Mangiocco, 26 anni, e Nicola Mattia, 41. All’episodio, passato alla storia come Eccidio di Lentella, aveva fatto seguito una mobilitazione popolare diffusa che aveva toccato anche Viterbo. Qui, precisamente in via S. Lorenzo, sotto la Camera del lavoro (già sede del Pnf), durante il corteo si erano verificati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. I primi avevano innalzato barricate ed erano saliti sopra i tetti mentre le seconde, rimaste ingabbiate nella via, erano fatte segno di lanci di oggetti. Si era così arrivati a un compromesso con il Prefetto: i manifestanti avrebbero cessato le ostilità e si sarebbero dispersi, come avvenuto, a patto che non si effettuassero fermi, invece poi compiutisi. La Bella la sera aveva dettato la corrispondenza a “l’Unità”, che usciva così titolata: “I fascisti di Scelba [Mario, allora Ministro degli interni – nda] hanno avuto una dura lezione dai lavoratori di Viterbo”[4], firmato L. B.. Il caso aveva voluto che proprio il Capo di gabinetto del Prefetto fosse allora in affitto in una stanza presso la stessa casa dov’era in affitto La Bella, che così veniva facilmente identificato.

Inizia in questi tumultuosi frangenti, tra le piazze e il carcere, la carriera di La Bella nel Pci della Tuscia, Una carriera che lo avrebbe visto impegnato nei diversi settori del Partito, da quello dell’Organizzazione a quello della Stampa e propaganda, con importanti incarichi nel Comitato direttivo provinciale e nel Comitato regionale del Lazio[5].

Mentre è agli arresti, La Bella si vede recapitare un altro capo d’accusa: “istigazione a delinquere in concorso”. Durante i comizi a Canino e Farnese del 19 marzo 1950, il giovane attivista Pci aveva esortato gli ascoltatori ad occupare le terre incolte dei Guglielmi, dei Torlonia e dei Cavalieri di Malta, attraverso lo “sciopero alla rovescia”: anziché incrociare le braccia, i contadini lavoravano le terre per renderle produttive. La Bella – condannato così a mesi 8 e giorni 20 di detenzione –  viene recluso nel carcere di S. Maria in Gradi assieme agli occupanti delle terre e ad altri detenuti per motivi politici, coi quali organizza proteste, manifestazioni (come quella in occasione del I Maggio) ed attività culturali finalizzate alla formazione dei compagni. In quei mesi però trovava dimora nelle prigioni viterbesi anche una ventina di membri della banda di Salvatore Giuliano, sotto processo nel locale Tribunale, e personaggi singolari come il maestro Arnaldo Graziosi, uxoricida condannato a ventiquattro anni, che ha ottenuto il permesso di tenere in cella un pianoforte col quale intrattiene tutti i detenuti del suo braccio. Durante la detenzione La Bella s’improvvisa poeta e scrive un componimento sulla vita carceraria intitolato Quando vengono a battere ai nostri ferri[6]. All’uscita dal carcere si trova licenziato dal catasto per “assenza ingiustificata”. Avrebbe ironizzato in futuro sul fatto che per cercare lavoro agli altri avesse perso il proprio. Tuttavia, nel rievocare l’invasione delle terre, La Bella avrebbe anche scritto: “Molti di quei miseri braccianti sono diventati proprietari di un poderetto ed hanno potuto sfamare le famiglie e crescere i loro figli. È questa la gente di Maremma che è rimasta sempre l’orgoglio della mia vita”[7].

La Bella è stato, a tal proposito, tra i fondatori e dirigenti dell’Alleanza nazionale contadina (Anc): l’organismo di categoria nato nel 1945 per raccogliere, in contrapposizione alla democristiana Coldiretti, i coltivatori diretti vicini alle sinistre, rinominata poi Confederazione italiana agricoltori (Cia). Nel 1961 è quindi eletto Presidente per l’Alleanza provinciale di Viterbo, dirigendone anche l’organo d’informazione “Alleanza contadina”.

Nel Pci ha invece fondato e diretto “Rinnovamento dell’Alto Lazio”, organo della Federazione di Viterbo: tutta la stampa locale del Partito, compresi i ciclostilati delle singole sezioni, ne usciva come supplemento.

 

Il Sindaco forestiero

Il 10 giugno del 1951, a trentatré anni non ancora compiuti, La Bella, divenuto ormai celebre presso le masse contadine, è eletto sindaco di Civitella d’Agliano, scelto dalle sinistre a seguito della morte per incidente stradale del capolista Ivo Antonini. Il Parroco del paese aveva definito il candidato forestiero come uno “che andava a mettere idee strane nella testa dei contadini che già l’avevano assai strane per conto loro”[8]. Come avrebbero scritto Bruno Barbini e Attilio Carosi, “Il futuro parlamentare, invece, dimostrerà ampiamente, nel corso del suo lungo mandato, di saper amministrare nell’interesse di tutti, pur non venendo meno al suo credo politico”[9].

Difatti, il “futuro parlamentare” sarebbe stato Sindaco per trentanove anni, sino al 1990. La lunga sindacatura vede una breve interruzione per il 1956 – 60. Nel 1960, tra l’altro, La Bella è eletto anche Consigliere provinciale per il collegio Bagnoregio – Bolsena, optando però per il solo incarico di Sindaco.

Con l’Amministrazione comunale La Bella si registrano numerosi progressi per la cittadina. Sono risolti i problemi d’approvvigionamento idrico e di viabilità, con un particolare: Civitella d’Agliano avrebbe vantato il raro privilegio di non avere deficit e debiti fuori bilancio[10].

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Viterbo, palazzo dei Priori, 1960: con Luigi Petroselli

Sul finire degli anni Ottanta del Novecento, il sindaco La Bella s’impegna con lungimiranza sul fronte del ripopolamento d’un centro storico sempre più degradato e disabitato a causa di una progressiva emigrazione degli autoctoni: la crisi dell’agricoltura aveva portato a un dimezzamento della popolazione civitellese. Col Piano di recupero del centro storico si avviavano il completo restauro della torre dei Monaldeschi e la creazione, nei vari edifici restaurati, di laboratori di arte e restauro per favorire un ripopolamento qualitativamente alto. Per far ciò si organizzavano eventi artistici annuali in cui ospitare artisti stranieri, con particolare riferimento a quelli dei paesi dell’Est. Nasceva così il Progetto Civitella, con la pubblicazione di un catalogo per le opere degli artisti ospitati[11].

 

L’Onorevole Angelino

Nelle elezioni politiche del 1963, il Partito candida La Bella alla Camera dei deputati per la circoscrizione Roma – Frosinone – Latina – Viterbo. Con 12.304 preferenze risulta il primo dei non eletti ma il 21 agosto dell’anno successivo, a Yalta, muore Togliatti e La Bella gli subentra. Rieletto nel 1968 con 17.384 voti e nel 1972, con 22.748, nel 1976 decide spontaneamente di non ricandidarsi. Deputato quindi per tre legislature (IV, V e VI), ha fatto parte delle commissioni Trasporti, Interni, Sanità e, per alcune questioni, viste i meriti conseguiti sul campo, Agricoltura.

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Un comizio del 1974

Durante l’attività legislativa La Bella si è fatto promotore di alcune leggi fondamentali per il Paese. Per gli Interni, è firmatario delle leggi per la smilitarizzazione del corpo degli agenti di Pubblica sicurezza, che ha consentito ai poliziotti il diritto all’organizzazione sindacale, e per il riordino delle carriere degli ufficiali di Polizia, bloccate dal tempo di Guerra. Nella Commissione sanità ha fatto parte del Comitato ristretto per la redazione del primo testo unificato delle proposte di legge per l’istituzione del Servizio sanitario nazionale. Sempre qui, è stato autore di importanti leggi, come quella riguardante i malati di lebbra, ove viene stabilito che, nella legislazione, debbano esser chiamati hanseniani e che abbiano il raddoppio del sussidio giornaliero, e quella per l’equo riconoscimento dei diritti economici a favore dei medici igienisti e dei vigili sanitari. Da segnalare, infine, una circostanza di certo in anticipo sui tempi, in una società ancora letteralmente affamata, vale a dire la sensibilità e l’interessamento per i diritti degli animali.

Per la commissione Agricoltura La Bella si è a lungo occupato dell’affrancamento delle colonie miglioratarie a favore dei coltivatori, problema molto sentito nel Lazio, facendosi promotore d’una legge sul riscatto delle colonie considerata avanzatissima.

Sul versante enti locali, è stato presentatore d’una proposta di legge per la ricostruzione di Tuscania, Arlena di Castro e Tessennano, paesi colpiti dal terremoto del 1971.

Dopo il 1976 La Bella ha aderito all’Associazione ex parlamentari, facendo anche parte della commissione che ha redatto il testo del nuovo statuto. Ha partecipato assiduamente all’attività di tale Associazione, ricoprendovi diversi incarichi.

 

Tra riflusso e Rifondazione

Nel maggio 1980, in base alle competenze in materia sanitaria acquisite durante l’attività parlamentare, La Bella è eletto presidente del Comitato di gestione per l’Unità sanitaria locale Viterbo 1 (Usl Vt/1), comprendente il circondario di Montefiascone: 3 ospedali per sessantamila abitanti. Si dimette nel 1985, a seguito di dissidi avuti con i consiglieri Psi in merito ad alcune nomine.

Nel 1990 La Bella decide spontaneamente di non ricandidarsi a sindaco di Civitella d’Agliano.

Con questo rifiuto terminano gli impegni istituzionali ma non quelli politici. Nel novembre dell’anno prima, il Segretario nazionale Pci Achille Occhetto aveva pronunciato il celebre Discorso della Bolognina: il gruppo dirigente del Partito stava evidentemente preparando la svolta, “la Cosa”, che nel febbraio 1991 avrebbe portato alla nascita Partito democratico della sinistra (Pds). La Bella si oppone alla liquidazione della formazione politica cui aveva dedicato la vita e si fa perciò promotore del Movimento per la rifondazione comunista, divenuto Partito della rifondazione comunista (Prc) nel dicembre del 1991, per cui è eletto Presidente per la Federazione di Viterbo, incarico ricoperto fino alla fine dei suoi giorni.

Non è però solo l’impegno strettamente politico che adesso lo riguarda: già a partire dagli anni Settanta, sui fogli locali vicini al Pci, come “Viterbo oggi”, aveva iniziato a manifestare interessi per la storia, in particolare per quella della Tuscia.

Quest’interesse si sviluppa ulteriormente tra gli anni Ottanta e Novanta, con la pubblicazione di contributi presso la stampa periodica locale: “Il Corriere”, i “Quaderni viterbesi” e “Sottovoce”, il celebre settimanale di controinformazione sul malgoverno locale, ove cura la rubrica Rosso di sera. Tra le riviste locali va annoverato il mensile “Comunità”, nato nel 1985 come periodico del Comune di Civitella d’Agliano e diffuso anche presso gli emigrati civitellesi, riconosciuto esempio per la cura e l’efficacia nell’ambito della stampa minore e per la conservazione e la divulgazione della cultura popolare dell’Alto Lazio[12].

C’è poi a ospitare i suoi articoli sul piano nazionale “Il Calendario del popolo”, la storica rivista di divulgazione comunista nata nel 1944, che La Bella sosteneva da diverso tempo.

Si tratta di contributi di vario tipo, anche se col passare degli anni si fa sempre più pressante la necessità di fronteggiare le letture strumentali del passato più o meno recente.

 

Cronache, storie e leggende

Negli anni Novanta gli interessi di respiro storiografico prendono difatti la forma di monografie che La Bella scrive con l’ausilio di Rosa Mecarolo, insegnante elementare in pensione e sua compagna di vita. Vedono così la luce diverse pubblicazioni riguardanti in prevalenza le cronache, le storie e le leggende della Tuscia. Con La Venere papale (1995) si ricostruisce la vicenda umana e politica di Giulia Farnese, denunciando la corruzione e il malcostume imperanti nella dinastia, altrove invece incensata, dei Farnese. Proprio su quest’argomento, agli inizi degli anni Settanta, La Bella aveva promosso una campagna contro l’intestazione a Paolo III della Scuola media statale di Canino, considerando l’esempio del Pontefice diseducativo per i ragazzi, e proponendo in alternativa il latinista Concetto Marchesi[13].

Sempre del 1995 è la pubblicazione di Tiburzi senza leggenda, storia del più celebre brigante della Maremma nettata, appunto, dalla leggenda cresciuta attorno allo stesso, e contestualizzata nella realtà sociale e politica dell’Alto Lazio alla fine del XIX secolo. Queste monografie, basate su una notevole ricerca sia bibliografica sia archivistica, assurgono a rango di veri e propri saggi di storiografia locale e non solo.

Vi sono poi pubblicazioni di dimensione minore, uscite per l’editore Scipioni. Si tratta di libriccini su Ernesto Che Guevara, sui “castrati di Dio”, vale a dire sulle voci bianche ottenute previa evirazione, e su altri argomenti come l’origine dei nomi e la memorialistica locale.

Il saggio che ha ottenuto più successo al di fuori del Viterbese, è stato indubbiamente Portella della Ginestra (Milano, Teti, 2003), sula strage di contadini avvenuta il I Maggio 1947 nella località siciliana. È una pubblicazione che s’avvale della nuova documentazione acquisita: quella degli archivi Cia man mano desecretati e, soprattutto, quella d’un armadio dimenticato e rinvenuto nel maggio 1994 nei locali della Procura militare generale a Roma, contenente centinaia di fascicoli relativi alle stragi nazifasciste avvenute in Italia, chiamato dal giornalista Franco Giustolisi l’Armadio della vergogna.

In base a questa pubblicazione, la Strage di Portella non figura più soltanto come vendetta della banda Giuliano commissionata dagli agrari contro le agitazioni contadine ma come parte di quel disegno reazionario, voluto dagli Stati Uniti in collaborazione con servizi segreti deviati ed ex appartenenti alla Repubblica di Salò e finalizzato a mettere al bando le forze progressiste in Italia. A questo disegno si ascrive anche l’attentato a Togliatti, che avviene 14 mesi dopo Portella con cui presenta delle coincidenze. Il I Maggio 1947 segnerebbe per cui l’avvio della serie di stragi, poi dette “di stato”, che avrebbero insanguinato il Paese nei decenni a venire. La tesi, sebbene da altri autori reputata debole e di carattere cospirazionista, è comunque supportata da una mole consistente di documentazione accumulata in diversi anni di ricerche ed ha còlto l’attenzione del regista Paolo Benvenuti che ne ha tratto a sua volta il film Segreti di Stato (2004).

 

La Storia e la memoria

A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, La Bella è stato responsabile per Viterbo dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti (Anppia), l’organismo, tuttora esistente, che raccoglieva i confinati, i detenuti e gli esiliati dal Regime fascista. Per quanto riguarda invece l’Associazione nazionale partigiani d’Italia (Anpi), La Bella è eletto Presidente onorario del Comitato provinciale di Viterbo nel 1986, incarico condiviso con altri due parlamentari del Viterbese, sino al 1994, quando ne diveniva l’unico. Siamo nell’anno della Discesa in campo di Silvio Berlusconi e della sua vittoria alle Elezioni politiche, e La Bella è ormai da tempo impegnato in prima linea contro le tesi del revisionismo strumentale, che trovavano sempre più agio nella vita politica ed istituzionale del Paese.

È infatti dell’anno successivo la pubblicazione di Martiri viterbesi alle fosse Ardeatine, scritta a sei mani con Rosa Mecarolo e Luigi Amadori, allora Presidente provinciale Anpi, ed uscita nel pieno del caso Erich Priebke: occorreva una ricostruzione storica corretta degli eventi che avevano portato all’azione gappista di via Rasella e alla Strage delle Ardeatine. Gli autori la fanno attraverso le vicende dei Caduti nella Strage facenti riferimento alla Tuscia, con la documentazione archivistica e libraria e le testimonianze dei parenti. Da Sindaco di Civitella d’Agliano, La Bella si era già occupato di uno di loro: Angelo Galafati, civitellese, Partigiano a Roma presso il Movimento comunista d’Italia – Bandiera rossa. Il 28 ottobre 1984, l’Amministrazione comunale aveva inaugurato un monumento in sua memoria nel parco che porta il suo nome.

Gli ultimi dieci anni della vita di La Bella sono stati quindi occupati prevalentemente dalla ricerca storica al fine di combattere le mistificazioni soprattutto in merito all’Antifascismo e alla Resistenza. Questa ricerca è sfociata in numerosi interventi pubblici: conferenze, convegni e pubblicazioni. Nel 2004 escono a riguardo due pamphlet. Uno, di cui La Bella è autore, intitolato Chi tradì Mariano Buratti, sulle circostanze misteriose che avevano portato all’arresto Partigiano azionista, Martire di Forte Bravetta. Se si vuole, una sorta di appendice di Portella della Ginestra. L’altro, dove La Bella è invece curatore, è Diario di guerra, un memoriale autobiografico delle vicende belliche di Nello Marignoli, Partigiano viterbese combattente in Jugoslavia: una pubblicazione che s’inserisce nella polemica su foibe, Confine orientale italiano e occupazione nazifascista dei Balcani.

Angelo La Bella muore a ottantasei anni, colpito da emorragia cerebrale, la mattina di sabato 26 febbraio 2005. Contemporaneamente, la Federazione provinciale del Prc stava tenendo il suo Congresso in vista di quello nazionale di Venezia, il VI, ove si sarebbe sancita l’adesione alla coalizione di centrosinistra L’Unione, spianando conseguentemente la strada all’ingresso nel Secondo governo Prodi. Nelle pieghe di quella stessa assise si sarebbero caldeggiate le ipotesi di superamento del partito comunista. Si parlava stavolta de “La Cosa rossa”, concretizzatasi tre anni dopo nella fallimentare esperienza de La Sinistra – l’arcobaleno: una deriva nuovamente liquidazionista che La Bella stava energicamente contrastando.

I funerali, con rito laico e in forma privata, si sono tenuti al Cimitero di S. Michele in Teverina, frazione di Civitella d’Agliano, il lunedì successivo al decesso. La notizia, secondo volontà del defunto, era stata divulgata soltanto dopo le esequie. E sulla stampa locale e non, nei giorni e nelle settimane successivi, sarebbe stato un susseguirsi di necrologi, ricordi e commossi attestati di stima e affetto, per omaggiare uno degli esponenti politici che più avevano dato alla Tuscia.

On.le La Bella con la moglie
Con la moglie Rosa Mecarolo

Negli ultimi mesi La Bella stava lavorando per due raccolte uscite postume, nel 2007, con un giro di presentazioni in vari centri della Provincia: una riguardante gli editoriali di Rosso di sera usciti su “Sottovoce” e l’altra gli articoli a carattere storico pubblicati nei vari periodici locali e nazionali, poi intitolata Cronache, storie e leggende del Viterbese e dintorni. Qui La Bella aveva inserito una piccola autobiografia che terminava con queste parole: “La sorte è stata benevola nei miei confronti e mi ha riservato anche soddisfazioni intense: un matrimonio rimasto saldo e felice, due figli affettuosi, due graziose nipotine. Ora, ad ottantacinque anni, non mi resta che sperare nella buona salute perché, come disse il poeta: la strada è lunga, ma er de più l’ho fatta!”[14].

 

Il “Passaggio del ricordo”

Vent’anni fa veniva così a mancare la personalità politica più completa che abbia avuto la sinistra nella Tuscia; poiché alla militanza politica e sindacale La Bella aveva saputo difatti affiancare, col passare degli anni, un impegno intellettuale a tutto campo che lo aveva portato, dapprima come giornalista e poi come saggista, ad approfondire i temi più svariati: tra politica nazionale ed internazionale, storia locale e non, folklore e autobiografia, con risultati indubbiamente ragguardevoli.

Un punto di riferimento per chi lo conosceva e poteva recarsi nella sua casa, in via Piave, 15, per avere informazioni e scambi di vedute senza escludere, viste le involuzioni del sistema politico, istituzionale e culturale del Paese, una certa consolazione. Una figura che, detto volgarmente, non è stata rimpiazzata.

Quanto è rimasto dell’eredità di un uomo indiscutibilmente fedele al concetto di Democrazia progressiva ma assieme sincero assertore dell’idea che si dovesse comunque arrivare ad una trasformazione rivoluzionaria della società? Quel mondo in cui aveva operato La Bella è ovviamente scomparso; dei benefici e dei vantaggi che ha portato la sua opera si è ormai inesorabilmente persa la memoria, per le trasformazioni economiche, sociali e quindi politico – culturali del territorio, pur trattandosi di un attivista estremamente popolare e rispettato.

In termini strettamente, appunto, politici, il Partito che egli aveva contribuito a creare e a consolidare, il Prc, è formalmente ancora in vita ma tra mille difficoltà, una serie infinita di scissioni e coalizioni elettorali, tutte rivelatesi fallimentari, che hanno nei fatti spinto il partito fuori dal campo istituzionale e dall’opinione pubblica, sorretto da un circuito sempre più ristretto di generosi militanti chiamati puntualmente allo sforzo per scadenze elettorali da cui, almeno a livello nazionale, non si ottengono soddisfazioni di sorta. Lì, il portato di La Bella è stato solo sporadicamente ricordato e su iniziativa dei singoli. Tra l’altro, è stata vanificata anche l’intestazione fattagli della Federazione provinciale, per quel che può valere, poiché questa ormai ha fisicamente sede nella Casa del popolo dedicata a Rosa Luxemburg, in via della Molinella. Non sono state, infine, istituite finora fondazioni o centri di documentazione per una persona che avrebbe inconfutabilmente meritato.

Dopo tutto, basta leggere anche solo la raccolta degli editoriali Rosso di sera per realizzare come nessuna delle questioni toccate da La Bella abbia smarrito la sua attualità o, comunque, la sua validità nel presente.

C’è però, tangibile, un’eredità materiale ed intellettuale assieme, che chiunque può fortunatamente consultare. La Bella, infatti, poco prima di venire a mancare, si era impegnato per donare all’Archivio di Stato di Viterbo il suo patrimonio archivistico, e anche librario ed emerotecario, al fine di istituirne un fondo da inserire formalmente nell’Archivio storico della Federazione provinciale del Pci. La donazione sarebbe stata poi curata da Rosa Mecarolo che, colpita da ictus nel 2006, sarebbe venuta a mancare quattro anni dopo.

Il Fondo archivistico è stato inventariato tra il 2008 ed il 2009 e consta di 104 buste, per gli estremi cronologici 1922-2005, contenenti atti parlamentari, bozze di articoli, canovacci di discorsi, corrispondenze, foto, illustrazioni, manifesti, volantini, rassegna stampa, verbali di riunioni e di congressi e quanto altro abbia visto impegnata questa eccezionale ed irripetibile personalità.

 

[1] L’Onorevole Angelino, Intervista ad Angelo La Bella, documentario_30’_DVD_Italia_2007.

 

[2] Cfr. Archivio di Stato di Viterbo (Asvt), fondo Angelo La Bella, busta 14, fascicolo 218, sottofascicolo: Polemica con Bruno Barbini su fatti di Civita Castellana del 1948…

[3] Cfr. Costantino Bernardini. La Memoria del futuro, Viterbo, Spi Cgil, Il Libro, 1999, p. 51.

[4] In: L’Onorevole Angelino…

[5] Cfr. Asvt, fondo La Bella, b. 5, fasc. 62, f.: Biografia del deputato ANGELO LA BELLA del Gruppo Comunista (maiuscolo nel testo). Per le vicende riguardanti la nascita della Federazione Pci nel Viterbese e dei suoi protagonisti, vedi anche: Quirino Galli (a cura di), Storia della Federazione di Viterbo, Viterbo, Federazione Pci, 1984; Giacomo Zolla, 30 anni di storia e di lotte dei comunisti di Soriano nel Cimino, Soriano nel Cimino, La Commerciale, 1972

[6] “La notte d’estate ci porta/ l’abbaiare di un cane lontano/ lo stormire lieve delle foglie/ il canto ostinato delle cicale/ Qualche volta l’eco di una serenata/ o un fischio ci fanno compagnia/ nella tristezza/ Quando la cicala tace/ anche la serenata è finita/ e l’uomo più non fischia/ Viene il sonno/ Allora la chiave stride, il cancello cigola/ Dormiamo non vedete?/ Perché ci avete destati?/ Stavamo sognando i baci delle nostre donne/ era così bello il sonno!/ Perché ci avete destati?”. Angelo La Bella, Cronache, storie e leggende del Viterbese e dintorni, Grotte di Castro, Tipografia Ceccarelli, 2007, p. 139.

[7]Ivi, pp. 141-142. Su questi fatti, vedere anche: Luigi Daga, Il tempo dell’invasione, Maremma 1944: i contadini occupano la terra. Una storia dimenticata, Roma, Il Pavone, 1995.

[8]  La Bella, Cronache, storie…, p. 156.

[9] Bruno Barbini, Attilio Carosi, Viterbo e la Tuscia, Dall’istituzione della Provincia al decentramento regionale, (1927-1970), Viterbo, Cassa di risparmio della Provincia di Viterbo, Associazione della stampa viterbese, 1988, p. 250.

[10] Asvt, fondo La Bella, b. 68, fasc. “Storie – cronache e/ leggende del/ Viterbese e dintorni”, f.: Angelo La Bella.

[11] Progetto Civitella d’Agliano 1989, a cura di Carla Zickfeld e Stefan Karkow, Bolsena, 1990.

[12] Si vedano a tal proposito gli articoli di Rosa Mecarolo per “Comunità” citati in: Quirino Galli, Bibliografia della cultura popolare dell’alto Lazio, 1945-2000, Viterbo, Consorzio per la gestione delle biblioteche comunali degli Ardenti e Provinciali  Anselmi, 2001, pp. 75-79.

[13] Cfr. Asvt, fondo La Bella, b. 35, fasc. “12bis. Canino/ II”.

[14]  La Bella, Cronache, storie…, p. 185.

 

 

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