Anno 1470, Viterbo: il mistero della confraternita della Misericordia e i Frati Neri

di Luciano Costantini

Il mistero della morte e dell’al di là ha sempre affascinato. In particolare nel Medioevo e nel primo Rinascimento, tempi nei quali è più coinvolgente e suggestivo è il legame tra Uomo e Dio, tra realtà e fede. La morte è passaggio fondamentale tra le due entità e sollecita la fantasia anche nell’ambito, assolutamente terreno, dell’amministrazione giudiziaria e degli strumenti di sua applicazione. La pena capitale può essere inflitta non soltanto in caso di omicidio, ma anche per reati più lievi come la rapina, il furto, lo stupro, l’eresia. Si può essere giustiziati per impiccagione, per decapitazione, per annegamento, per impalamento. Si può essere arsi sul rogo o squartati. A Viterbo la gamma dei supplizi, in realtà, non è così ampia e quasi sempre il condannato finisce con la corda al collo o sotto la mannaia del boia. C’è però grandissimo rispetto per il morituro e per il rituale ante e post mortem. Anche perché chi è chiamato a presenziare all’estrema funzione e a svolgere il ruolo di accompagnatore spera di guadagnare un trattamento di riguardo da parte del Padreterno allorché si troverà al suo cospetto per essere giudicato sul comportamento tenuto in vita. Insomma, assistere un condannato fino all’ultimo respiro può valere un bonus per meritare il paradiso o almeno il purgatorio. Del resto la compravendita delle indulgenze è commercio tra i più fiorenti e redditizi del tempo. A Viterbo fin dal 1479 c’è una confraternita, detta della Misericordia, che si occupa di seguire fino alla morte e poi alla sepoltura il condannato. Gli affiliati sono conosciuti come Fratelli Neri o Negri semplicemente perché vestono una tunica lunga fino ai piedi e nera come la notte. Non è facile entrarne a far parte: essenziali sono una discreta agiatezza economica e soprattutto un robusto sponsor. Insomma, come sempre, servono soldi e raccomandazioni. La confraternita ha anche una sua sede fin dalla nascita nella chiesa/ospedale di Santo Spirito, posta all’inizio della valle di Faul scendendo da via valle Piatta. Oggi un cadente manufatto su cui svetta un campanile a forma triangolare. Mezzo secolo più tardi il trasferimento nella chiesa di Santa Maria della Ginestra, meglio conosciuta come chiesa di San Giovanni Decollato. Ha anche uno statuto che fissa, nei dettagli, tempi e compiti degli affiliati: dall’assistenza del condannato a morte, all’esecuzione, alla sepoltura. Un cerimoniale da seguire scrupolosamente, mica una faccenda da poco. Due o tre membri della confraternita la sera precedente alla condanna si recano nella cella del morituro cercando di confortarlo e, se del caso, riavvicinarlo a Dio. Allo scoccare della mezzanotte arrivano altri due Frati Neri, accompagnati da un sacerdote, i quali danno il cambio ai confratelli. La presenza del prete serve ad offrire la possibilità al condannato di confessarsi e prendere la comunione. Alle prime luci dell’alba altro cambio di confratelli che si trattengono nella cella “fino allo terzo sono della campana del Comune”. Il sacerdote allora celebra la santa messa. Subito dopo l’amen arrivano altri due Frati Neri, guidati dal camerlengo della confraternita che, con una croce in mano, invita il condannato a raccomandarsi a Dio. Porta con sé zucchero, biscotti, vino e altri generi di conforto. Chissà che non possano aiutare. Rilegge la sentenza capitale, poi l’intera confraternita si muove salmodiando in processione per raggiungere il luogo del supplizio. Infine lo stesso camerlengo porge il crocefisso al condannato e glielo fa baciare mentre pronuncia la parola “misericordia”, dalla quale prende il nome il sodalizio. Il corteo si arresta a poche decine di metri da dove il boia ha eretto il patibolo e ora è pronto a stringere la corda o a far cadere la tagliente lama della scure sul collo del condannato. All’ultimissimo atto assistono soltanto quattro confratelli e un sacerdote che curano anche le operazioni di sepoltura. Il protocollo prevede qualche variante, seppure non significativa, in base al luogo dell’esecuzione: per esempio, se essa avvenga entro o fuori le mura della città. Rituale evidentemente consentito, anzi benedetto dalla Chiesa se è vero che nel 1641, quindi a quasi due secoli dalla fondazione, papa Paolo V° concede alla Misericordia di liberare ogni anno un condannato a morte. Non si conosce né il numero dei disgraziati che salirono sul patibolo né di coloro che furono graziati, certo però la confraternita dei Fratelli Neri è stata in Italia tra le primissime che si dedicarono all’assistenza dei morituri e opererà al meglio, tant’è che una compagnia gemella verrà creata a Roma sotto il pontificato di Innocenzo VIII°. Ma soltanto a nove anni di distanza dalla nascita di quella viterbese.

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI