“Ditelo con i fiori”. E chi meglio di lui può affermarlo? Lui che – infermiere professionale per una vita all’ospedale di Belcolle e oggi splendido 73enne – i fiori li ha amati sin da bambino, quando passeggiava per le vie dei quartieri San Pellegrino e Pianoscarano, quelli che lo hanno visto nascere e crescere. E che poi è diventato il vero e proprio genius loci, per ben 32 anni, di quella che è stata una manifestazione-orgoglio per il capoluogo della Tuscia, ovvero “San Pellegrino in fiore”.
Il suo nome? Armando Malè, nipote di quel Giggetto che negli anni ’40 menava pugni a tutti e che proprio nel 1949 – anno della nascita di Armando – divenne campione italiano di pugilato, nella categoria pesi leggeri.
Oggi Malè è un felice pensionato, ma la sua vita – oltre che dall’impegno per la sua professione – è stata caratterizzata soprattutto dall’amore per la sua città, alla quale ha dedicato gran parte della sua esistenza.
“E’ vero” esordisce. “Ho amato e amo ancora Viterbo perché è la mia terra e nella mia vita ho cercato sempre di fare qualcosa di utile per la mia città. Non solo ‘San Pellegrino in fiore’. Sono stato consigliere della Prima Circoscrizione e per 25 anni ho fatto parte della squadra di infermieri che seguiva la Macchina di Santa Rosa. Insomma, io Viterbo ce l’ho nel sangue”.
Si, ma parliamo di fiori…
“Quando ero bambino abitavo a Sa Pellegrino e, passeggiando per le strade del quartiere, mi capitava di vedere balconi pieni di fiori. Ero attratto da quello spettacolo e spesso mi fermavo a guardarli quasi estasiato”.
Va bene. Ma come è nata l’idea di allestire quella po’ po’ di mostra floreale?
“Era il 1986 ed ero andato ad abitare in via Cardinal La Fontaine. Don Angelo Gargiuli, prete della parrocchia di Santa Maria Nuova, mi volle presidente del comitato ‘Santissimo Salvatore’ e io accettai. Si organizzavano festeggiamenti e altre attività parrocchiali. Ma io in testa avevo sempre i fiori e volevo fare qualcosa con quelli”.
E allora?
“Io ero molto amico di Fabio Fontana, un funzionario che lavorava in Comune. E spesso lo andavo a trovare. Gli parlai di questa mia idea e lui mi consigliò di andare da Pino Genovese, che all’epoca era assessore allo Sviluppo Economico. Anzi, fu proprio lui e presentarmi”.
E che successe?
“Successe che Genovese sposò subito l’idea e organizzò altri incontri in breve tempo, coinvolgendo anche alcuni vivaisti. Serviva un comitato organizzatore e decidemmo di usare quello del ‘Santissimo Salvatore’, anche se poi si aggregarono altre persone. E scegliemmo il nome da dare alla manifestazione: ‘San Pellegrino in fiore’, appunto. Così partì l’iniziativa, con l’appoggio dei vivaisti, tra i quali si distinse Aldo Cannone”.
Il debutto?
“Nel giugno 1987. Fu una grande fatica, ma anche una grande soddisfazione, perché ci furono migliaia di visitatori. La manifestazione si svolgeva tutta dentro il quartiere San Pellegrino, a partire da piazza San Carluccio. Un successo incredibile, tanto che era difficile persino camminare. All’epoca si parlò di 40-50 mila presenze in tre giorni”.
E l’anno dopo?
“I vivaisti posero un problema: a giugno era difficile trovare fiori freschi. Così si decise di anticipare l’iniziativa nel week-end che comprendesse il 1° maggio”.
Bene. Andiamo avanti.
“La manifestazione stava crescendo di anno in anno. Così nel 1993 sopravvenne l’esigenza di creare un comitato organizzatore. Fu fatto con tanto di atto notarile. Il sindaco dell’epoca, Beppe Fiorini, ci dette una mano e così nacque l’ente autonomo ‘San Pellegrino in fiore’ e io fui eletto presidente”.
E avete cominciato ad allargarvi…
“Sì. In un primo momento abbiamo pensato a piazza della Morte. Poi fu fatto un pensierino anche su piazza San Lorenzo, anche se ci sembrava molto grande. Anche dal punto di vista economico. Perché reperire i finanziamenti non era facile. Facevamo la questua. E qualche commerciante ci disse chiaro e tondo che già ci faceva un favore a tenere il negozio aperto. Comunque trovammo alcuni sponsor e il Comune, oltre a dare un piccolo finanziamento, non ci faceva pagare il suolo pubblico. Poi però arrivò una legge nazionale e fummo costretti a pagarlo. Quanto a contributi, talvolta intervennero anche la Provincia e la Regione”.
Così sono cominciati i problemi…
“Vero. Anche perché anche i vivaisti cominciarono a battere cassa. Loro dissero che dovevano sostenere determinate spese e che avrebbero guadagnato di più rimanendo nel loro vivaio. Così un anno ci inventammo una specie di concorso e chi vinse si prese un premio in denaro”.
Insomma, sempre più difficile…
“La manifestazione era cresciuta, ma questo stava comportando sempre più problemi. Per fare i bilanci dovemmo rivolgerci a un commercialista. Poi ci si mise anche la burocrazia: serviva il servizio di sicurezza, quello di pronto soccorso con tanto di ambulanza, quello di vigilanza notturna e altro. Solo il servizio di sicurezza costava 15.000 euro. Insomma, per rientrare nel bilancio bisognava fare miracoli. Anche se l’Ente ha sempre pagato tutto e tutti”.
Finché?
“Siamo andati avanti tra mille difficoltà fino al 2019. Considerando che era sempre più difficile pareggiare il bilancio e che l’opera dei soci era del tutto volontaria. Anzi, talvolta è toccato tirar fuori i soldi di tasca propria. E allora fu presa una decisione unanime: quella di chiudere definitivamente bottega”.
Però?
“Però nel frattempo era arrivato il Covid. E questo ha evitato tutte le polemiche che ci sarebbero sicuramente state”.
Poi, ultimamente, è successo qualcos’altro…
“Abbiamo fatto sapere che l’Ente era disposto a cedere il nome della manifestazione. C’è stata qualche offerta anche da privati, ma l’abbiamo rifiutata. Finché non ci ha cercato l’assessore Silvio Franco e in quattro e quattr’otto ci siamo accordati. Loro volevano organizzare il tutto in un mese, ma noi gli abbiamo detto che la cosa sarebbe stata impossibile. Così quest’anno c’è stata solo una festa. La speranza è che un altr’anno ‘San Pellegrino in fiore’ torni a rifiorire”.