Confesso.
Confesso di appartenere a quel qualche milione di Italiani per cui il 25 aprile era sopratutto un giorno di festa a cui attaccare uno o due giorni di ferie, se capitava vicino alla domenica, per il fare il ponte.
Quindi è più legato a qualche momento di piacevole breve vacanza e a qualche discussione con i colleghi per la contesa dei giorni di ferie limitrofi. Ce n’erano di quelli che studiavano i ponti ad inizio anno!
Ma oggi, in questo strano momento epocale, con la preoccupazione dei ritorni storici, l’incertezza del presente, la sensazione di abbandono e di essere diventati orfani di questi giorni, con le polemiche cominciate da lontano, ho voluto esserci e partecipare, “sobriamente”, alla cerimonia di deposizione della corona di alloro ai Caduti della Patria in questo piccolo paese della Calabria in cui mi trovo in questi giorni. Con tanto di corteo dal Municipio al monumento dei Caduti e Sindaco in fascia tricolore ed essenziale e sentito discorso, che con le parole si Calamandrei ha ricordato che “La libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare.” Niente di più vero, per questo forse non festeggiamo così tanto questa ricorrenza, perché noi alla libertà ci siamo abituati.
Ce l’hanno donata ottanta anni fa, gratuitamente per noi, ma a caro prezzo per chi ce l’ha regalata e non dobbiamo dimenticarlo.
L’ altra volta che l’avevo festeggiata era stato durante il COVID: con tanto tempo a disposizione per leggere di più le chat sui social, sollecitata dai post che ne enfatizzavano l’importanza, entusiamata da tutti quei festosi “Buon 25 aprile”, urtata da quelli negazionisti e contrari e oltretutto incomprensibili, cantai a squarciagola un liberatorio ” O bella ciao” nel mio giardino, contenta che altri lo cantassero, in quello stesso momento, in una condivisione spirituale.
Ecco, più criticano questa ricorrenza e fanno sarcasmo sul suo significato e l’ importanza che giustamente gli si dà, più ci fanno convinti della sua rilevanza, del suo valore, e rafforzano la voglia di ricordarla, per dire grazie a chi si è sacrificato per noi. Per chi ha difeso la libertà. Perché di questo si tratta. Che siamo stati liberarti alcuni sì e altri no? A sentire come parla certa gente pare che gli hanno fatto un dispetto. Se gli fa tanto schifo questa festa ci rinunciassero e andassero a lavorare, mi verrebbe da dire.
In questi giorni mi ha colpito un passo del libro “I mandarini” di Simone De Beauvoir, ambientato nei primi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale: Anne, una delle protagoniste, parigina che ha vissuto tutto il periodo della guerra a Parigi e c’era anche nell’agosto del 44 quando gli americani erano entrati per liberarla, a un certo punto si ritrova in America, tra un gruppo di nuovi conoscenti, americani, mentre spaesata ascolta le loro chiacchiere.
“I visi dei tre guerrieri brillavano d’animazione, parlavano fitto, si strappavano la parola. La loro simpatia per la Francia era indubbia, non c’era in loro alcuna indulgenza per il proprio paese, eppure non potevo ascoltarli senza imbarazzo: era la loro guerra che si raccontavano, una guerra di cui non eravamo stati che il pretesto un po’ ridicolo, i loro scrupoli a nostro riguardo somigliavano a quelli che un uomo può provare per una debole donna o per una bestia indifesa, e già, con la nostra storia, fabbricavamo leggende di cera”.
Se non ci fosse stata la Resistenza,questi sentimenti dei liberatori sarebbero stati più che mai giustificati. E gli italiani, come si sarebbero sentiti a non partecipare attivamente, a non collaborare, a non preparare il terreno per la liberazione?
Si può essere di destra e simpatizzanti per il movimento fascista ma non si può negare che eravamo un popolo occupato militarmente dai tedeschi nazisti e la liberazione è stata per tutti, ma proprio per tutti.
A noi sembra lontana la passata guerra, solo un soffio per chi l’ha vissuta ed è tornato. Rispettiamoli.