Cristiano Morbidelli, la fotografia è la condivisione di uno sguardo

di Donatella Agostini

Cristiano Morbidelli

«Per me la fotografia è condivisione. Se scatti è perché probabilmente, ciò che scatti lo vuoi condividere con qualcuno». È nella parola condivisione che si riassume il pensiero di Cristiano Morbidelli, fotografo professionista e content creator, documentarista, docente di corsi di fotografia. Una condivisione che non si ferma alla voglia di veicolare all’esterno l’istante che siamo riusciti a fermare per sempre in uno scatto. A partire dal febbraio scorso infatti, Cristiano ha organizzato, insieme ad altre realtà del territorio e a cadenza mensile, incontri con celebri fotografi italiani, che si sono svolti nel foyer del Teatro Unione. «Incontri aperti a tutti, ad ingresso gratuito, incentrati sui lavori di grandi fotografi italiani. Durante queste talk abbiamo visto e commentato fotografie, ci siamo confrontati con gli autori, in un bel momento di scambio». L’incontro di febbraio ha visto la partecipazione di Tony Gentile, tra i più grandi fotografi italiani contemporanei, autore tra l’altro della più famosa immagine che ritrae Falcone e Borsellino. A marzo è venuto a Viterbo Massimiliano Faralli, street photographer che ha vinto il Miami Street Photography Festival. Nell’ultimo appuntamento del 21 aprile il pubblico viterbese si è confrontato con Lorenzo Cicconi Massi, regista e fotografo vincitore, tra l’altro, del prestigioso World Press Photo nel 2007. «La fotografia è trasversale e non ha bisogno di essere letta attraverso un bagaglio tecnico: ti trasmette qualcosa oppure no, senza tante spiegazioni». Ed ecco quindi che questi incontri hanno visto la partecipazione di tanti appassionati, professionisti, studenti, ma anche di persone che scattano semplicemente con lo smartphone. «Il fotogiornalismo di Gentile, la street photography a colori di Faralli, il reportage di Cicconi Massi… La macchina fotografica è la stessa per tutti, poi quello che racconta può essere completamente diverso. Il bello di questi incontri è stata la condivisione, l’ampliamento dello sguardo, l’imparare a non focalizzarsi esclusivamente sul genere che si ama, ma spaziare ed apprezzare anche altre modalità espressive».

Viterbese, classe 1982, Morbidelli ha iniziato la sua professione quasi per caso. «Nella vita uno si trova a viaggiare tra lidi diversi», racconta. «A un certo punto ti scocca quella coincidenza; l’illuminazione per me è arrivata dall’incontro con la macchina fotografica di mio padre. Ho capito che poteva fornirmi un linguaggio che mi riusciva naturale». La scoperta di un nuovo modo di esprimersi, unita al percorso di studi umanistico – con una tesi magistrale dedicata all’autoritratto fotografico – ha fatto il resto. Cristiano ha cominciato il suo percorso in modo amatoriale, realizzando lavori personali e confrontandosi con traguardi sempre più alti. «La ciliegina è stata nel 2016, quando sono arrivato in finale al Miami Street Photography Festival. Essere tra gli 80 finalisti di un importante concorso internazionale – di cui solo 5 italiani – mi fece capire che questa passione poteva diventare qualcosa di più. Da lì è partito l’insegnamento, sulla base dei lavori che avevo realizzato. Penso che per insegnare devi essere credibile, e la credibilità la ottieni attraverso le tue fotografie: si giudica un fotografo sulla base delle cose che fa». Oltre ad essere docente in corsi di fotografia base, intermedi e avanzati, Morbidelli collabora con l’agenzia di comunicazione Factory 121, e realizza servizi professionali per eventi.

Sul versante personale invece, da tempo realizza reportage fotografici di feste e manifestazioni popolari in tutta Italia. Cristiano è anche, dal 2016, fotografo ufficiale del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa. «L’Italia è ricca di feste popolari, soprattutto nel centro sud. Penso ad esempio al nostro trasporto della Macchina di Santa Rosa, o alla bellissima Processione del Cristo Morto di Orte. Sono anni che seguo questi riti secolari fatti di sacrificio, preghiere, peccati da espiare o grazie da richiedere sottovoce, alla luce di una fiamma viva. Ogni paese ha la sua festa, la sua tradizione, cose stupende che vanno documentate anno per anno e preservate, specialmente in un mondo che cambia così velocemente. Trovo una festa che mi interessa, parto e la fotografo». Nel 2019 Cristiano ha realizzato una pubblicazione, “Nero Barbagia”, il reportage fotografico del Carnevale di Lula (NU). Un’opera editoriale elegante, rilegata artigianalmente, in cui spiccano foto in bianco e nero di volti e paesaggi che sembrano provenire da un’altra dimensione. «Il Carnevale di Lula mi aveva colpito in modo particolare. È un rito sanguigno, pagano, denso di significato, vissuto in modo atavico. Il personaggio principale, Su Battileddu, è vestito di pelli, ha il volto tinto di nero e grandi corna di caprone fissate sulla testa. È la vittima sacrificale, verrà simbolicamente ucciso per poi risorgere in un rituale dedicato alla fertilità della terra, la morte che dà la vita. Il mio obiettivo era andare in Sardegna, girarla senza una meta precisa, riuscire ad entrare in casa di qualcuno e raccontarla dal di dentro, al di là della festa». Il libro infatti è diviso in tre parti: una prima più paesaggistica, la seconda dedicata al Carnevale, la terza incentrata sulle persone. Foto essenziali, suggestive, dove il bianco e nero suggerisce i colori delle emozioni che giungono dirette al cuore. «Utilizzare il bianco e nero è stato difficile, però rispetto al colore secondo me “arriva di più”. Volevo rendere al meglio quella realtà, completamente diversa dalla nostra, il loro essere in rapporto viscerale con la terra e la natura, qualcosa che noi al di qua del Tirreno forse non siamo più». Il materiale che Cristiano ha raccolto sulle feste popolari negli ultimi anni è diventato corposo, tanto da suggerire la realizzazione di una mostra personale. «Il problema è che sono lavori che non finiscono mai, è come se mancasse sempre qualcosa».

Qualcosa che c’è, che avviene, e che aspetta di essere scoperto dalla sensibilità e dall’occhio di un fotografo. «Il fotografo deve capire il momento buono, la parte tecnica comunque ci deve essere, ma non è fondamentale». Discorso quanto mai attuale in questi tempi di estrema democratizzazione del mezzo fotografico. «La diffusione del digitale è stata una cosa positivissima, perché ha permesso a tutti di scattare. Secondo me però ci sarebbe dovuta essere in parallelo anche una diffusione di cultura fotografica. E invece siamo analfabeti visivi». Questa mancanza di cultura fotografica rende sostanzialmente omogenea e piatta la massa sterminata di immagini che quotidianamente produciamo. «Basta vedere i profili social, l’autoritratto ha una omogeneità allucinante: le pose sono le stesse, i filtri appiattiscono tutto… in tanti lo usano allo stesso modo, senza originalità». La cultura fotografica si insegna, e soprattutto si condivide, nelle scuole e nell’organizzazione di corsi fotografici o incontri come quelli da poco avvenuti a Viterbo. «Un’iniziativa nata totalmente per caso. Partecipando a diversi festival fotografici, entrando in contatto con fotografi importanti, mi sono trovato immerso in realtà valide che trasmettono fotografia, trasmettono dunque cultura. Mi sono chiesto: perché non farlo anche a Viterbo? Qui la domanda di cultura c’è sempre stata. Da lì è venuta l’idea di sfruttare una bella location come il foyer del Teatro Unione per far venire autori di livello internazionale, che volessero condividere il loro pensiero e le loro opere con gli appassionati. Grazie alla collaborazione di ATCL, al patrocinio del Comune di Viterbo – Assessorato alla Cultura, di Massimiliano Capo di Medioera e di Benedetta Lomoni di Factory 121, abbiamo realizzato tre eventi di livello e avuto una risposta entusiastica, con oltre duecento presenze complessive. L’ultimo incontro è in programma per maggio. La volontà è ora di fare in futuro un piccolo salto: rendere coerente una serie di appuntamenti a cadenza mensile, attraverso una rassegna strutturata». Dare vita a qualcosa di fotograficamente interessante a Viterbo, nell’epoca in cui l’immagine ha un peso specifico e autonomo importante, che sia statica o spalmata nel flusso di suoni e movimenti di un video. Educare ad allineare occhio, testa e cuore, per fermare momenti irripetibili. Imparare ad esprimersi in un linguaggio che permetta di aggirare la bidimensionalità delle parole. «Visto che la città merita, che ha tutte le potenzialità per emergere dal punto di vista culturale, ho pensato di organizzare qualcosa di bello e positivo per la collettività e per i tanti appassionati. E come direbbe Annibale, “o c’è una strada, o ce ne costruiremo una”, ne ho costruita una, grazie al supporto di ottime realtà locali. Spero che porti tanti altri momenti di bellezza e di scambio nella nostra Viterbo».

www.cristianomorbidelli.com

 

 

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI