Quando Monica Saraca sorride, gli occhi le si illuminano come fari. Sarà per questo che il suo sorriso è impossibile da nascondere, anche dietro l’azzurro della mascherina chirurgica. Sorriso, ironia e leggerezza sono anche gli ingredienti con cui ha affrontato e sta affrontando le difficoltà lavorative insite nella pandemia: Monica infatti fa parte dell’esercito di cassiere e cassieri di supermercato che, all’indomani del lockdown, sono entrati letteralmente in trincea, quotidianamente alle prese con una clientela spesso collaborativa, ma talvolta bizzarra, ribelle e provocatoria. Dalla sua esperienza a contatto con il pubblico Monica ha tratto un libro, “Diario di una cassiera – Il sorriso dietro la mascherina”, per l’editore Dialoghi: cronaca semiseria, divertita e divertente di un periodo delicato e drammatico che, ancora per molti versi, stiamo ancora vivendo.
«Un’esperienza che non era nata certamente per diventare un libro», ci racconta Monica, nativa di Roma ma residente a Montefiascone. «Ricordo ancora con ansia quel primo giorno di lavoro al supermercato, il nove marzo, quando tutta l’Italia era diventata “zona rossa” e si poteva uscire di casa soltanto per fare la spesa. L’assalto di quei primi giorni, quando i clienti in preda ad una psicosi collettiva facevano incetta di scorte alimentari per paura di rimanerne privi. E quelli che pur di uscire di casa venivano anche quattro o cinque volte al giorno. Ricordo la paura al lavoro, la mascherina che mordeva il naso, gli occhiali che si appannavano, l’apprensione nel toccare i soldi… una volta tornata a casa lasciavo le scarpe fuori della porta, i vestiti per terra da lavare, e mi facevo velocemente la doccia. Avevo paura di portare a casa il virus, di essere un veicolo di contagio per la mia famiglia». Dal suo posto di lavoro dietro la cassa del supermercato, Monica si è imbattuta nelle più svariate tipologie di clienti, con diversi gradi di responsabilità. «All’inizio vigeva una sorta di anarchia, mi sembrava di essere un vigile nell’incrocio più caotico del mondo: “Signore un passo indietro, per favore,” “Lei aspetti un momento”, “Si copra il naso”, “Tiri su la mascherina”,” Guardi che l’ha messa storta, ha la bocca mezza fuori”: era estremamente frustrante e faticoso. C’erano quelli ligi al dovere, distanziamento e mascherina. “Signora Monica, mi sembra di vivere un film”, mi dicevano sconsolati. E quando viaggiavo in auto per le vie deserte, lo pensavo un po’ anch’io. C’erano altri a cui non importava proprio niente, come quella signora anziana che mi parlava a pochi centimetri dal viso – prima che mettessero il plexiglas di protezione: “Signora ma si tiri indietro! “Ma io sono vecchia, che me frega a me, io ho fatto pure la guerra, posso pure morì!”. C’era un tale che era venuto la sera prima per fare la spesa, e la mattina successiva si era ripresentato. “Buongiorno, ma anche oggi è qui?” “Beh, ho da magna’ ” ” Poteva comprare il necessario ieri” “A me non me ne frega niente de li decreti”. Non riuscivo a capire certi comportamenti così scellerati e poco intelligenti. Mi dicevo, è o non è il tempo della pazienza? Come dice Erri De Luca, è bella la “pacienza” in napoletano, perché mette un po’ della parola pace nella pazienza». A casa Monica riversava su un quaderno tutto ciò che le succedeva durante la giornata: impressioni, sensazioni, incontri belli e meno belli, la tristezza per il distacco dagli affetti più cari, in un flusso quasi di coscienza: dal corpo a corpo mattutino con la sveglia implacabile, al traffico che si andava rarefacendo, ai clienti abituali che diventavano personaggi tipici, alle canzoni alla radio che l’accompagnavano nel tragitto per recarsi al lavoro a Viterbo da Montefiascone. «Associavo sempre il pezzo che ascoltavo al periodo che stavo vivendo. Come “Victims” dei Culture Club. Pensavo a quei camion che portavano via le salme dei deceduti in Lombardia: gente morta da sola, in silenzio e nel silenzio. Vittime, appunto». Scrivere per esorcizzare, scrivere per ricordare in futuro i giorni che stavamo vivendo. «Attingevo dai miei appunti per scrivere post su Facebook. Ad un certo punto hanno cominciato a commentare sotto: “Ehi Monica, ieri non hai scritto nulla, cos’è successo?”. Sono rimasta stupita del fatto che la gente mi seguisse. Poi diverse persone mi hanno suggerito di farne un libro». Un po’ per scherzo, Monica Saraca ha contattato una casa editrice locale, e il resto è storia. «Mi hanno risposto dicendo di essere interessati alla pubblicazione, perché parlavo del periodo importantissimo e delicatissimo che stavamo vivendo, ma in modo ironico e leggero. E di leggerezza avevamo tanto bisogno! È cominciata questa avventura, e il libro sta andando bene, grazie anche al passaparola. Non mi aspettavo una cosa del genere!», afferma di nuovo con un sorriso. «E’ bellissimo sapere che le persone si riconoscono nelle situazioni che io vivo. C’è gente che mi confessa che quando viene a fare la spesa, mi cerca in cassa sperando di trovarmi, e per me questo è una carezza sul cuore». La mascherina tenta ancora – invano – di celare il sorriso di Monica Saraca, come sempre al suo posto, dietro la cassa del supermercato. «Respiro affannata, ma continuo a portarla, per voi e per me. Dobbiamo essere forti, determinati, per poter poi alzare gli occhi al cielo e dire di avercela fatta».
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“Diario di una cassiera” il lockdown raccontato da Monica Saraca
di Donatella Agostini