Echi di cronaca del secondo dopoguerra: il veglione del martedì grasso a Palazzo dei Priori

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Duecento anni fa Palazzo dei Priori è il fulcro del Carnevale viterbese anche se i festeggiamenti si svolgono un po’ ovunque, seppure con tradizioni e partecipazione diverse. Lo storico e giornalista, Giovanni Mazzaroni, racconta sul Messaggero del 10 febbraio ’54 il veglione del martedì grasso di un secolo prima. La casa comunale è un autentico sfoggio di eleganza, di luci, di balli, con la partecipazione dell’intera nobiltà cittadina che arriva in carrozza. Famiglie d’alto rango e ufficiali francesi e papalini festeggiano nella sala Regia. Quadriglie, valzer, vini pregiati. Fuori i passanti si inginocchiano e si fanno il segno della croce. Qualche raro contestatore finisce in gattabuia. Al terzo rintocco del campanone della piazza tutti a casa. Subito dopo sarà già Quaresima. 

L’articolo di Giovanni Mazzaroni

Viterbo papale era dotata di ben cinquantadue lampade ad olio che il “lumaro” non accendeva nelle notti di plenilunio; ad illuminare i vicoli bastavano le fioche lampade accese davanti alle madonnelle e gli uomini giravano, dopo la mezz’ora di notte, con lanterne e lanternoni: guardinghi…perché “chi gira di notte cerca la morte”. Allora al Palazzo dei Priori si svolgeva il Grande Veglione. Passavano per piazza d’Erba landeaux, coupées, vittorie e imboccavano la Strada della Calzoleria, quella strada che si chiamò poi via dell’Indipendenza e che ora mostra una bella lastra marmorea con la scritta via Roma. Giravano gli equipaggi all’altezza della colonna che sorregge il leone palmato di Viterbo e sostavano, tra uno scalpiccio di cavalli, all’altezza dell’arco di centro del Palazzo dei Priori. Bucciglione apriva lo sportello: Bucciglione, il capo e trombettiere dei famigli comunali, con tanto di mazza, di feluca e di livrea. E la Fontana del Caparozzi era solamente illuminata dalla luna, sotto un cielo invernale, trapunto di stelle…Salivano gli invitati per la grande scalea. Ed il Gonfaloniere s’inchinava profondamente alle dame, ai cavalieri, agli ufficiali francesi e papalini. I “braccieri” accompagnavano gli ospiti nella Sala Regia, affrescata da Baldassarre Croce ed inzuccherata dagli stucchi dei Ligustri. Convenevoli, baciamani, inchini, sussurri, fruscii e il redattore de “La Gazzetta di Viterbo” annotava: Ruspoli-Marescotti, Zelli-Jacobuzzi, Zelli-Pazzaglia, Pagliacci-Sacchi, Especo j Veira, Polidori-Pace, Antisari, Fani-Ciotti, Gnazza, Primoni, De’ Gentili…e tanti altri il cui nome, come accade a noi, gli sfuggiva. Poi, proveniente dal Palazzo del Delegato, attuale sede della Prefettura, appariva monsignor Delegato in persona: Lasagnani, Severoli Pallotta…Si portava nel mezzo della sala, s’inchinava alla signora del Gonfaloniere, la prendeva per mano e gentilmente la conduceva al centro della sala ed iniziava la “Quadriglia” in una cornice di dame tutte in damasco e veli, con i cerchi alle gonne, con gli orecchini di corallo napolitano e con le scarpine in bianco e damasco. S’iniziavano le danze: molte gavotte e (o scandalo!) qualche walzer di quel tedescaccio di Strauss. Ma ad un certo punto monsignor Delegato spariva, ridiscendeva col suo gentiluomo in polpe la scalea, preceduto da otto servi in parrucca e comandati da Bucciglione. All’Ave Maria della sera si spalancavano i grandi sportelli della Loggia del Palazzo degli Uffici ed appariva una grande Madonna sorreggente il Divin Figlio e Bucciglione suonava. I passanti si levavano il cappello, si facevano il segno della croce, s’inginocchiavano…ma qualcuno (qualche “libero pensatore”, s’intende) imboccava l’oscuro vicolo di Sant’Angelo e finiva…tra le braccia di Bubbolone…il capo dei birri !!!. Però dopo una blanda diffida, il miscredente veniva accompagnato al Convento de’ Carmelitani, facente parte della chiesa voluta dall’Almadiani e se la passava con quindici giorni d’esercizi spirituali, con lunghe passeggiate nel sottostante orto, con una comoda cella provvista di un più comodo letto e con il fratello cantiniere a sua completa disposizione. “Un po’ di Visner?”, “Un po’ di moscato?”, “Un’erasia di vinsanto?”…E tutto questo – chiamato il “rialzo” – si svolgeva nella Sala dei Paesaggi ed in quella Rossa. Riprendevano le “Quadriglie”. E poi dall’alto della torre il “campanone” rintoccava le tre di mattina. Le tre! Le tre!!! E si spegnevano i moccoli: mentre Galliana dormiva il suo sonno secolare nel sarcofago romano ai piedi della facciata di Sant’Angelo in Spatha che Leon decimo volle, ma che gli uffici tecnici d’allora – come avviene sempre – si guardarono bene di far eseguire.

 

Luciano Costantini*Luciano Costantini, giornalista professionista, ha lavorato in qualità di vice capo servizio presso la redazione centrale de Il Messaggero, occupandosi di sindacato ed economia. Rientrato in sede stabile a Viterbo, firma in qualità di direttore editoriale la testata TusciaUp. La sua grande passione per la storia è raccolta in due libri: Il giorno che accecai il Duce, Fuori le donne dal palazzo dei Priori. E’ prossima l’uscita del terzo libro, tutti editi da Sette Città. Echi di cronaca del secondo dopoguerra è una rubrica periodica su questa testata, che racconta aneddoti e fatti di quel periodo storico riportati proprio dal quotidiano romano in cui il giornalista ha vissuto il suo cammino professionale.

Documentazione tratta dalla ricerca d’archivio presso la Biblioteca di Viterbo.

 

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