Giorgia Fabbri* viterbese iscritta al III anno di Lettere all’università della Tuscia sta vivendo in Svezia quella che certamente è l’esperienza che più riesce a coniugare i due aspetti meravigliosamente e terribilmente fondamentali della vita, il viaggio e lo studio: il progetto Erasmus. Di tanto in tanto ci racconta la sua esperienza.
Il mercoledì arriva in un lampo, come l’abbassamento delle temperature. Siamo a fine agosto e sembra già autunno. Questa sera è la volta del Kåre, una discoteca di Falun. Alle nove siamo tutti lì, poiché a quanto pare la serata finirà a mezzanotte. Altro che festa fino all’alba! Sembra che in Svezia le discoteche chiudano tutte per le due. Appena entrate ci rendiamo subito conto che l’ambiente è totalmente diverso da quello tipico italiano. Dalla musica, al modo di ballare, fino al locale stesso. Dopo quattro salti in pista ci rendiamo conto che non è esattamente l’ambiente che fa per noi. “Sembra un oratorio raga”, afferma Alessia disgustata. L’unica strada sembra assaggiare qualcuno degli alcolici serviti al bar. “Be, almeno questa specie di sidro di mele alcolico non è male”, dico alle altre, quasi fosse la nostra unica consolazione alla serata deludente.
Un’oretta e qualche sidro di mele dopo, ci troviamo di nuovo al bancone del bar: il sidro comincia a farsi sentire, forse abbiamo esagerato un po’. Si avvicina al bancone uno dei ragazzi italiani conosciuti al barbecue di due giorni prima: “Oh, certo che qui non riesci né a ballare né a sbronzarti”. “Ah, io ci sono quasi riuscita, era così tanto che non bevevo che forse ho esagerato”, rispondo sconsolata. “Be, se riesci a sbronzarti vienimelo a dire”. Ma subito dopo, aggiunge: “Se riesci a sbronzarti e non sei fidanzata, vienimelo a dire”. “Ah”. Bè, questo cambia tutto. E così mi giro dal lato opposto facendo finta di nulla. È decisamente arrivata l’ora di andarsene.
Ci lanciamo in pista un’ultima volta, sperando che la musica cambi e che il dj si decida a farsi divertire, ma il tentativo non sembra riuscire alla grande. Proprio mentre stiamo per cedere al tornare a casa e infilarci sotto le coperte, un ragazzo si avvicina a me e Ilaria: “Stasera faccio un after-party nella mia stanza, siete invitate”, ci dice in inglese. Bene! Finalmente un po’ di iniziativa da parte di qualche svedese.
Dopo mezzanotte ci troviamo tutti nella stanza di Tobbe, un ragazzo svedese residente come alcune di noi a Britsen. Siamo io, Carla e Alessia. “Tutti” sono veramente tantissime persone per una stanza di 20 m2. Saremo all’incirca 20-25 persone, tra chi fuma, chi parla, chi beve e chi ride. Una scena surreale, dove le persone si siedono ovunque e ovunque vuol dire fino all’ingresso e dove il mio mal di testa, probabilmente causato dall’eccesso di alcool, inizia a farsi sentire. Tra una chiacchiera ed un’altra facciamo le tre di notte, inizio decisamente ad essere troppo annebbiata dal sonno per poter sostenere una conversazione in inglese, ma mentre Alessia ha deciso di abbandonarci già da un’ora buona, Carla sembra ostinata a voler rimanere e, ovviamente, chiede la mia compagnia. “Carla, ti prego, ho bisogno di dormire”. “Daii, ancora cinque minuti, guarda quanto è carino questo qui che ci sto parlando da prima, tra poco andiamo”. So già che me ne pentirò e che non saranno cinque minuti.
Nel frattempo il nostro nuovo amico Tobbe sembra stranamente molto interessato a conversare con me. “Stranamente” per un ragazzo svedese. A quanto pare, come abbiamo avuto modo di capire in questi giorni, gli svedesi sembrano essere più timidi del più timido degli italiani e rifiutano nettamente ogni contatto con gli altri esseri umani sfuggendo anche ai saluti. Ma Tobbe sembra essere meno timido degli altri e sembra trovarsi bene in compagnia degli “international”, tanto da organizzare ogni volta festini in casa sua per conoscere nuove persone. È strano, sembra quasi fissarmi mentre sono distratta o girata a parlare con Carla, ma forse è solo una mia impressione.
Quando l’alba sembra prossima all’arrivo, finalmente ecco il momento di andare a dormire. “Io lo sapevo che non sarebbero stati cinque minuti” è la mia ultima dichiarazione prima di entrare nel mio corridoio, tra le risate di Carla.