Nel titolo si parla di eccidio, con cui ormai nel linguaggio comune si definiscono tutte le uccisioni di massa, anche se nel numero delle vittime si tratta di una vera e propria strage, quella passata alla storia e rimasta nella memoria collettiva come la “Strage dei sardi”, avvenuta tra i comuni di Capranica, Sutri e Bracciano, cioè tra le province di Viterbo e Roma, tra il 17 e il 21 novembre 1943.
In concomitanza con l’80° anniversario dei tragici fatti, questo prezioso, consistente, esaustivo ed eloquente volume ad opera di Fabio Ceccarini, saggista di Capranica, con all’attivo numerosi contributi e pubblicazioni su paesaggio, storia e patrimonio storico – artistico del suo territorio, comprendenti anche guide ed itinerari: un retroterra che molto probabilmente motiva il valore divulgativo, scorrevole alla lettura, che si riscontra in questo lavoro.
La ricostruzione di sintesi, per così dire, ufficiale della strage è questa: nel circondario di Capranica, a seguito dello sbandamento dell’Armistizio, sostavano diversi militari sardi, che avevano trovato ospitalità, ricambiata con il lavoro, nelle campagne. Erano tutti in attesa di ritornare in Sardegna attraverso il Porto di Civitavecchia, però inagibile perché controllato dagli occupanti. Su questi soldati gravavano i bandi per l’arruolamento nel Battaglione volontario Giovanni Maria Angioy, con sede a Roma, in via della Lungara, voluto dal Sottosegretario alla Presidenza del consiglio della Rsi, Francesco Maria Barracu, con l’obiettivo di raccogliere tutti i militi sardi sbandati ed impiegarli sul fronte nazifascista. A questi bandi avevano formalmente aderito alcuni che riparavano a Capranica, salvo disertare immediatamente per tornare sul posto, non appena ricevuti vestiario ed equipaggiamenti. A Capranica, come altrove, erano intanto in atto sommovimenti a carattere partigiano con finalità di disturbo e sabotaggio ai danni dell’occupante, che, almeno potenzialmente, vedevano i soldati sbandati come partecipi, consenzienti o comunque simpatizzanti.
In questo clima accade un fatto, sembra dettato dalla casualità. Il 14 novembre 1943, Virgilio Andreotti, un giovane capranichese di 21 anni, impegnato nella cospirazione, di ritorno da Monte Romano con in spalla un sacco di grano acquistato di contrabbando sta facendo l’autostop quando viene caricato da un’autovettura, un camion o camionetta, con a bordo delle Ss tedesche. Con esse anche un interprete, certo Mario Manetti, figura chiave quanto enigmatica di tutta la vicenda. Questo Manetti, non si è capito se toscano o milanese, inizia a parlare con l’Andreotti, dicendosi stufo dei tedeschi e a tal proposito curioso di sapere se vi fossero sul territorio bande partigiane cui aderire. A questo punto, in spregio alle più elementari norme della cospirazione, Andreotti avrebbe parlato, facendo nomi e cognomi e indicando le località ove fossero occultate le armi. Effettuata la traduzione, le Ss, accompagnate da Andreotti, procedono all’arresto di due giovani cospiratori capranichesi: Antemio Baldi e Salvatore Alessi, per recarsi nei luoghi di occultamento delle armi, in località Micheletta. Gli arrestati, tra cui Andreotti stesso, vengono così tradotti nel Comando delle Waffen Ss di Bracciano e qui interrogati con percosse e torture. All’alba del 17 novembre, le Ss, con a bordo l’Alessi, si recano a Capranica per un rastrellamento, indubbiamente a colpo sicuro, alla ricerca degli sbandati, con le vie d’accesso al paese sbarrate ed il panico totale tra la popolazione. I rastrellati, sardi sbandati, in larga parte avieri, vengono rinchiusi, assieme all’Alessi, nei locali dell’allora Gil, quando, verso le 16.30 del pomeriggio, sono caricati su un camion, senza specificare la destinazione. Nella strada tra Sutri e Bassano Romano, in località Montefosco, sotto una pioggia battente, quasi al buio, gli arrestati, tra cui l’Alessi, vengono fatti scendere, messi in fila e, dopo aver creato dinanzi a loro una cortina fumogena, mitragliati. I morti sono diciotto: 19 anni il più giovane, 26 il più grande. Rinaldo Zuddas, gravemente ferito, creduto morto anch’egli, riesce invece a salvarsi. Sarebbe stato ovviamente un testimone chiave. I cadaveri sono lasciati sul posto, senza ordinarne la sepoltura, cui avrebbero provveduto nei giorni successivi dei cittadini volontari che, alla vista dello strazio, notano un particolare: delle carte da gioco a coprire i fori dei proiettili sui corpi. Forse, chissà, provenienti da un mazzo che qualcuno degli uccisi aveva in tasca, sparsosi con le esplosioni dei colpi.
Andreotti e Baldi, rimasti reclusi al Comando di Bracciano, la mattina del 21 successivo sono prelevati, portati in località Roseto, e qui, ad un centinaio di metri dalla riva del lago, freddati con numerose raffiche di mitra. I loro cadaveri, rinvenuti giorni dopo da alcuni contadini, sono trasferiti al Cimitero comunale.
Questa è la ricostruzione sommaria, nella sostanza certo aderente alla realtà, dell’accaduto, questo è ciò che è scolpito in diversi monumenti e lapidi e che è stato ribadito in diverse cerimonie e commemorazioni pubbliche, sebbene la ricerca fosse proseguita sul versante dei dati anagrafici dei Caduti su cui erano presenti diverse lacune. E qui veniamo al movente della pubblicazione, che l’Autore mette al primo capitolo: il dislivello che c’è in questo caso, chiaramente non isolato, tra la memoria di pietra e quella di carta. Infatti, se sono stati eretti monumenti e scoperte lapidi, la ricerca storiografica sull’accaduto è stata confinata a, per quanto considerevoli ed utili, contributi su riviste o su pubblicazioni di argomento vario (e qui c’è anche la memorialistica di provenienza sarda) e ad un paio di, validi, documentari audiovisivi, rispettivamente a cura di Dino Sanna e di Simone Calcagni. Mancava nei fatti una monografia capace di esaminare tutta la documentazione possibile, e a tutto campo, inserendo l’evento ricostruito nel quadro più ampio, oggettivo, del periodo storico in cui è venuto a verificarsi. E per colmare questo dislivello, il Ceccarini ha consultato le carte di ben 22 complessi archivistici, le più significative anche trascritte integralmente nella corposa Appendice documentaria, oltre ad aver citato una robusta bibliografia di decine e decine di pubblicazioni in materia. In aggiunta a ciò, si trova la trascrizione di alcune interviste raccolte negli anni e poste nell’appendice Testimonianze. Molto suggestiva, infine, l’Appendice fotografica, con alcuni, significativi, scatti inerenti persone, carte e luoghi della memoria menzionati nel testo.
La strage si trova, così, pienamente inserita nella sua epoca, nelle vicissitudini seguite all’8 Settembre, nella fattispecie, al 9, cioè al mattino del giorno dopo. Sì, perché le famose armi nascoste di cui si scrive provenivano proprio da quella Divisone corazzata Ariete, sbandatasi dopo la missione suicida del Sottotenente Ettore Rosso, per impedire in quella mattinata la forzatura del posto di blocco sulla Cassia, altezza di Monterosi, alla III Divisione tedesca Panzergranadieren diretta a Roma.
Direttamente legata a ciò, la domanda se vi fosse o meno attività partigiana nelle zone di Capranica. Dalla documentazione emerge effettivamente la formazione d’una banda, detta proprio Banda Capranica, sorta attorno ad uno sfollato, certo Pietro Croci, con attivo anche l’Andreotti, che stava compiendo azioni di sabotaggio e contrasto, cui avrebbero partecipato anche dei militari sardi sbandati, sebbene non fossero in collegamento diretto.
Nel cuore della pubblicazione c’è, chiaramente, la ricostruzione della strage, associata alla ricerca di cause e responsabili, che, nelle parti inedite, fa prevalentemente perno sui procedimenti penali consumatisi dopo il passaggio del Fronte. In sintesi, il ruolo di primo piano spetta a tre personaggi.
Il primo di questi è l’interprete Manetti. Qui i dubbi sorgono prima di tutto proprio sulle circostanze in cui sarebbero avvenute le confessioni dell’Andreotti a bordo dell’automezzo Ss. È possibile che un cospiratore antifascista e partigiano, per quanto ingenuo, sprovveduto, lusingato e plagiato (si riportano diversi particolari in merito), possa già salire con disinvoltura su un mezzo a guida Ss e poi spiattellare spontaneamente ad un perfetto sconosciuto, seduto proprio accanto a delle Ss, tutte le informazioni possibili sull’attività propria e dei compagni? Non possiamo saperlo, forse principalmente perché, nonostante fosse inchiodato da diverse testimonianze e le sue gravi responsabilità risultassero più che evidenti, il Manetti si perde nel nulla, irreperibile, come inesistente. Sono stati individuati alcuni nominativi che non rispondevano però alla sua persona, omonimi. Forse non era quello il suo vero nome?
Reperibilissima è invece la seconda figura, in ordine di responsabilità, quella di padre Luciano Usai, sardo, cappellano militare dei saveriani, pluridecorato, convinto fascista, tantoché la rivista illustrata della Wermacht, “Signal”, gli aveva dedicato una copertina, impegnato nel reclutamento dei suoi conterranei per il Battaglione Angioy e in tal senso era stato a predicare a Capranica. Era con ogni probabilità a conoscenza dei nominativi dei militi rastrellati ed uccisi. Usai, arrestato mentre si trovava in Sardegna in missione di spionaggio per conto dei tedeschi, sarebbe stato condannato a trent’anni per collaborazionismo, senza menzione diretta dei fatti di Capranica, su cui aveva altresì rilasciato dichiarazioni false. Scarcerato per il sopraggiungere della famigerata amnistia Togliatti, se ne sarebbe andato tranquillamente in missione, da uomo libero.
La terza figura è locale. Si tratta di Filippo Morera, Maresciallo di Pubblica sicurezza, proveniente da una famiglia di proprietari, chiamata in causa anch’essa, parte del notabilato locale. Un fascista fervente che molte testimonianze vogliono corresponsabile della strage. I famigliari delle vittime parlano, altresì, di sue risposte sarcastiche alle loro disperate richieste in merito ai propri cari. Anche qui, si sarebbe giunti ad un nulla di fatto.
A tutto ciò si aggiunga che i principali imputati dei delitti, vale a dire le Ss germaniche, restano ignoti.
Insomma, si tratta a pieno titolo di una strage impunita, nei fatti insabbiata, com’è stato per diverse tra quelle verificatesi durante l’occupazione nazifascista. Un’impunità dettata da molteplici motivi, le cui cause nello specifico sono ampiamente esaminate nel libro, e che avrebbe poi gettato un’ombra sinistra, sappiamo oggi, sulle vicende dell’Italia repubblicana.
A tal proposito, il sottotitolo qui reca la domanda: una verità perduta? Sì, forse nell’accezione giuridica del termine. Ci sono però delle verità dal punto di vista storico, politico e civile che innegabilmente emergono dall’opera di Ceccarini senza tema di smentita.
Il rastrellamento di quel 17 novembre sarebbe stato assai più complicato senza la collaborazione di elementi locali. I soldati sardi sbandati sono stati arrestati e trucidati in quanto disertori del fronte nazifascista e possibili combattenti partigiani, proprio come i tre giovani antifascisti capranichesi che ne hanno condiviso il destino, sebbene permangano dubbi sul ruolo di Andreotti nella confessione e su quello di Alessi nel rastrellamento. I sardi, seppure magari mossi solo dal desiderio di tornarsene nella tranquillità delle loro case e tra i loro cari, rifiutando l’arruolamento nell’Angioy hanno contribuito a fiaccare gli eserciti occupanti ed i loro collaboratori. Tra l’altro, il Battaglione sarebbe stato impiegato sul Confine orientale con feroci compiti di repressione antipartigiana. Quindi, anche al sangue di quei giovani, fuor di ogni retorica, si deve la Liberazione dell’Italia e dell’Europa dal nazifascismo.
Il volume, come si può facilmente evincere, rappresenta ora una risorsa fondamentale per la ricostruzione del periodo preso in esame, nei suoi aspetti sociali, civili, politici e di costume, con quell’interscambio tra generale e particolare che è indispensabile elemento per la comprensione di qualsivoglia fenomeno o fatto storico.
Una di quelle letture, infine, che dànno, o ridanno, senso di piena appartenenza ad una comunità.
“Il Rastrellamento di Capranica e l’eccidio di Sutri, 17 novembre 1943, una verità perduta?” di Fabio Ceccarini è stato pubblicato nel novembre del 2022 da Davide Ghaleb Editore nella collana “Quaderni di storia moderna e contemporanea” (340 pagine, 25 euro).