A distanza di qualche mese dalla sua conclusione torniamo sulle tracce di “Dove finisce la città”, la collettiva a cielo aperto promossa da Acus Onlus, Arci Viterbo e Cantieri dell’Arte. Obiettivo dell’iniziativa è stato quello di riscrivere alcuni ambienti della terra dei papi seguendo le provocazioni di tre artisti contemporanei: Sonia Andresano, Sara Basta e Angelo Bellobono. Tre diverse residenze artistiche che hanno avuto il merito di far emergere le potenzialità di luoghi limali per scoprire come appena fuori dalla gittata mediatico-turistica ci siano spazi prossimali, periurbani appunto, carichi di storia e di senso.
La scelta di tornare a occuparci, a progetti smantellati, dell’iniziata di “Dove finisce la città” è dettata dall’intento di suggerire di riqualificare lo sguardo centripeto di chi vive e visita Viterbo, orientandolo verso quartieri e zone meno battute. Per i loro site specific gli artisti si sono misurati con luoghi in attesa di “redenzione”, ognuno per ragioni diverse slegato dal corpo cittadino: Valle Faul, le tagliate etrusche di strada del Signorino, il Bullicame, San Faustino.
Il primo ad aprire il dialogo è Angelo Bellobono, da anni impegnato sul doppio fronte della visual art e del paesaggio appenninico di cui è esperto frequentatore anche in virtù della sua professione di guida ambientale. Per “Dove finisce la città” ha firmato due opere estemporanee: l’installazione “Panni stesi” presso Valle Faul e “Porta d’oro”, ubicata nella cornice in peperino di un portale di un palazzo abbandonato nel quartiere di San Faustino.
La chiave d’accesso di Bellobono per deragliare da Viterbo è stata il parco dell’Arcionello. Qui si è recato a più riprese assieme a un gruppo di residenti del quartiere San Faustino. “Abbiamo fatto delle escursioni immersive. La mia ricerca pittorica si fa camminando – spiega –. Da anni lavoro sull’erranza, sulla necessità di farsi paesaggio, di trasferire sulla tela ciò che solo il camminatore può percepire: la fatica, il gioco di ombre tra gli alberi, il respiro, l’umidità”.
Grazie al supporto dell’associazione Parole a Km 0, l’artista ha avuto occasione di conoscere e interagire con le persone del posto, coinvolgendole in modo diretto. “Il contributo della gente del quartiere San Faustino, dai ragazzi al parroco, è stato parte integrante dei miei site specific. Quando ho spiegato dove li avrei portati ho saputo che solo un paio di partecipati su venti erano stati prima d’allora a passeggiare nei bellissimi boschi dell’Arcionallo che pure è a portata di mano, accessibile da tutti”.
Bellobono non se ne stupisce: “In un’epoca in cui giriamo il mondo in maniera bulimica, in cui andiamo a fare trekking in capo al mondo senza preoccuparci di ciò che è a due passi da casa, la prossimità diventa il luogo meno frequentato. Come tanti centri italiani, Viterbo vive una relazione irrisolta tra città e natura e lo si capisce lasciandosi alle spalle il quartiere Barco: in pochi minuti si varca un confine invisibile, la città scompare per lasciare posto al paesaggio naturale. La stessa apparizione-sparizione avviene facendo il percorso al contrario”.
Assodato che le distanze misurabili in passi non combaciano mai quelle mentali, Bellobono si diverte a far saltare il cortocircuito apponendo nel parco dell’Arcionello una segnaletica sentieristica che indica i tempi di percorrenza per raggiungere (e collegare) due mete, la Francigena e San Faustino: la prima iconica, la seconda sottaciuta.
E infine è proprio nel cuore del quartiere multietnico di Viterbo che si torna. Le impressioni pittoriche raccolte in loco durante il trekking all’Arcionello sono poi confluite nel dipinto di “Porta d’oro” e che rappresenta, appunto, la Palanzana: l’altrove paesaggistico, il monte per antonomasia di ogni viterbese è stato ricollocato da Bellonono in un luogo improprio, producendo un effetto di magica sorpresa. La scelta di inondare lo sguardo dello spettatore con un fondale coloro oro, “evidente richiamo all’arte bizantina”, irride sacralmente alla vulgata su San Faustino come quartiere degradato. “E invece l’ho trovato piuttosto deserta”. Uno dei tanti luoghi in potenza, in attesa di redenzione.