Oggi, 25 aprile, celebriamo l’ottantesimo anniversario della nostra ritrovata libertà, dopo un lungo periodo in cui la dittatura e la guerra avevano costituito una drammatica parentesi nella storia del Paese che i nostri padri e i nostri nonni sono riusciti a lasciarsi alle spalle, pagando un prezzo spesso altissimo. Ogni volta in cui ci troviamo a ricordare la festa della Liberazione dovremmo pensare a quanto sia stato alto quel prezzo; quanto dolore, quanta disperazione e quanta speranza abbiano dovuto affrontare e nutrire per consentire a loro stessi e a noi, generazioni successive, di poter vivere come oggi ci è consentito fare. Quando si rievoca il 25 aprile del 1945 c’è soprattutto un torto che possiamo commettere nei confronti della nostra storia e di noi stessi: quello di far scivolare via questa data come una semplice ricorrenza, come una formalità da sbrigare insieme a tante altre, o quello di continuare a impedire con i nostri comportamenti che questa Festa entri compiutamente a far parte della cultura collettiva condivisa radicata e fondativa della nostra Nazione. Che 80 anni dopo ci siano ancora dubbi o ritrosie nell’affermare che il 25 Aprile è la giornata in cui si celebra la vittoria della democrazia sulla dittatura è semplicemente incomprensibile. La data che dà il via alla ricostruzione di un nuovo stato democratico, alla scrittura della nostra Carta Costituzionale, al processo di integrazione europea che oggi più che mai rappresentano un patrimonio inestimabile da proteggere con la stessa veemenza con cui si è creduto nella loro affermazione, processi umani, sociali, istituzionali che uomini illuminati di allora, politici e decisori di allora, forti di quel vissuto ancora vivo sulla loro pelle costruirono mattone dopo mattone e di cui, oggi, noi, rappresentanti delle istituzioni, politici, decisori, raccogliamo il testimone. Oggi in Italia e soprattutto a Viterbo questa nuova generazione di rappresentanti istituzionali ha, in relazione a queste ricorrenze, un dovere preciso: raccolto quel testimone e ricevutolo dalla storia per mezzo della decisione dei cittadini che democraticamente (e qui torniamo al valore del 25 aprile, la vittoria della democrazia sulla dittatura) l’hanno scelto, o scelta, a rappresentarli, abbiamo il dovere di osservare questo testimone con gli occhi dell’umiltà di chi sa di avere tra le mani qualcosa di prezioso, da proteggere prima e valorizzare, far crescere poi con l’obiettivo di farne sempre più, e finalmente una volta per tutte, cultura condivisa di tutti gli italiani e di tutti i viterbesi. Vedete, io sono nata nel 1989: anno della caduta del Muro di Berlino, per definizione l’anno che segna, plasticamente, la fine delle ideologie del ‘900 e l’inizio di un nuovo corso mondiale, un nuovo ordine nelle relazioni internazionali, un nuovo modo di interpretare la società e l’economia. Una generazione, la mia, che nasce e cresce in un mondo dove certe contrapposizioni si studiano sui libri di storia, non si vivono: e che nasce con la consapevolezza, e per questo ha il dovere di trasmettere e rafforzare questa consapevolezza, che i valori del 25 Aprile siano valori di democrazia e libertà, di unione nazionale e di patrimonio nazionale storico condiviso. E allora fatemi dire che, agli occhi di chi oggi porta questa fascia tricolore rappresentando una comunità, ma anche una generazione, per cui definitivamente certe contrapposizioni vanno studiate nei libri di storia e non riportate a galla in un presente che di incertezze ne ha già abbastanza di suo, chi disegna simboli fallici o scrive insulti sui manifesti celebrativi della città per questa festività nazionale, è fuori dal tempo, guarda la società con lenti usurate e già vecchie, rotte e impolverate, e di certo non contribuisce alla costruzione di quello di cui l’Italia ha bisogno, ossia di una memoria nazionale comune che è ciò che fa di una democrazia una democrazia matura e che finalmente ha fatto i suoi conti con la storia, cosa che è proprio compito delle generazioni più giovani fare. In questo stesso giorno, un anno fa, Papa Francesco – di cui oggi osserviamo il lutto e la memoria – incontrava i giovani e i volontari dell’Azione Cattolica, parlando loro della necessità di diffondere la “cultura dell’abbraccio”, perché l’abbraccio più di ogni altro gesto di relazione, più di una stretta di mano, o di un bacio, è una manifestazione spontanea dell’esperienza relazionale. L’aderenza, l’annullamento delle distanze, lo slancio, la trasmissione di valori positivi che condividono affetto, stima, fiducia, incoraggiamento, la riconciliazione di un abbraccio, trasponiamole a livello sociale, culturale, politico ed economico in questo contesto sociale, quello in cui ogni giorno ci troviamo ad operare. È un messaggio potente, quello della cultura dell’abbraccio nel giorno della Liberazione. Perché è fine della contrapposizione e inizio della condivisione, e lo è ancora di più in un contesto in cui la narrativa, più che la sostanza, ma la narrazione plasma a volte, ahimé, influenza anche la sostanza, distruttiva divisiva e negativa sembra avere il sopravvento sulla positività, sulla voglia di fare, su chi combatte battaglie e su chi costruisce processi sociali e istituzionali che non sono certo quelli che hanno costruito i partigiani, i combattenti, i rappresentanti istituzionali e i decisori di 80 anni fa, perché oggi non c’è guerra qui nelle nostre immediate vicinanze, ma sono comunque ogni giorno fondativi di ciò che i prossimi giovani erediteranno da noi. E non ci può essere rifondazione, costruzione, se non c’è condivisione di un progetto comune. È sempre un bell’esercizio di analisi e introspezione cercare di attualizzare i valori dei 25 aprile, ogni anno qui con voi in piazza. Chiedersi che cosa ci direbbero oggi Sauro Sorbini, Mariano Buratti, Nello Marignoli, Aldo Laterza, Bruno Selvaggini se vivessero questo tempo. Forse ci direbbero proprio questo: che è ora di fare della Liberazione un patrimonio culturale nazionale condiviso, che sulle loro battaglie e sul sangue versato allora, sulla guerra di allora va preservata la democrazia e la pace conquistata a caro prezzo, che la loro e la nostra amata Viterbo ha bisogno di amarsi e di raccontarsi per la bellezza della sua storia e le capacità dei suoi cittadini, di ieri, di oggi e di domani, perché è nella capacità di difendere, preservare, costruire e unire, magari anche con un abbraccio, che si difendono, si preservano e si rendono attuali i valori della Liberazione. Viva il 25 aprile, viva l’Italia, viva Viterbo.
Chiara Frontini
Sindaca di Viterbo