Francesco Sciortino una eccellenza nel mondo: piazza del Gesù il mio “cantuccio”

di Maria Letizia Casciani

Francesco Sciortino ha appena 26 anni. Ha frequentato il liceo scientifico “Paolo Ruffini” a Viterbo. Ha terminato gli studi liceali in una scuola pubblica nel nord Inghilterra. Ha poi frequentato l’Imperial College, a Londra, dove si è laureato in Fisica. Ha studiato e fatto ricerca presso l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne, in Svizzera, e il Princeton Plasma Physics Laboratory, negli USA. Attualmente è PhD Candidate presso il Massachusetts Institute of Technology. E’ un appassionato viaggiatore e escursionista, seguendo una tradizione di famiglia.

Per iniziare la nostra chiacchierata le chiediamo di condividere un’immagine di Viterbo, vista con gli occhi di Francesco bambino, una con gli occhi di Francesco adolescente e quella che oggi arriva dagli occhi dell’adulto cheè diventato.

“Sono cresciuto in una casa di campagna vicino al lago di Vico, quindi buona parte delle mie memorie d’infanzia è legata a quell’ambiente rurale. La parte a me più familiare di Viterbo era forse il campo da rugby, in cui periodicamente mi infortunavo o infortunavo gli altri. In molti miei ricordi di quegli anni mi ritrovo sull’erba e nel fango. La mia famiglia si è spostata a Viterbo poco prima che iniziassi il liceo. Questo mi ha permesso di conoscere meglio la città, di diventare indipendente e di sviluppare una vita sociale fortemente definita dall’attivismo. Buona parte delle mie amicizie si è formata all’interno della Consulta Provinciale Studentesca. Tra le immagini cristallizzate nella memoria ci sono quelle dei concerti della Giornata dell’Arte a Valle Faul o a piazza del Comune, della redazione del periodico della Consulta, degli eventi nelle scuole riguardo alla lotta alla mafia. L’attivismo non è forse il tratto più distintivo dei viterbesi, ma è parte fondamentale dell’immagine della città che rimane nelle mie memorie di adolescente. Oggi, visto che torno solo di tanto in tanto, Viterbo è innanzitutto dove si trova la mia famiglia. Molti dei miei amici vivono fuori, ma Viterbo è l’ovvio punto di ritrovo con loro durante le vacanze. Mi piace passeggiare per San Pellegrino e Pianoscarano, apprezzando la tranquillità e le meraviglie di quei vicoli”.

In che modo è stato plasmato dall’esperienza vissuta nella sua scuola in Inghilterra?

La scuola in cui ho studiato durante gli ultimi anni delle superiori era molto diversa da quella che avevo lasciato in Italia; fare un confronto mi sembra tuttora difficile. Lo spostamento è risultato più difficile di quanto avessi previsto, sia da un punto di vista accademico, che da uno emotivo e sociale. Il sistema scolastico italiano ha educato la parte più accademica di me, insegnandomi a razionalizzare e a memorizzare. In Inghilterra ho imparato a non mollare. È forse questo il miglior risultato che io potessi sperare per i miei ultimi anni di scuola.

Tornare ed andare: quali sono i pensieri e le sensazioni dentro la dinamica del viaggio che la porta a casa, per poi ripartire verso qualche parte del mondo?
Ogni viaggio è impegnativo, particolarmente da quando vivo negli Stati Uniti. Una volta arrivato a Viterbo, mi piace rallentare progressivamente il mio ritmo di lavoro; così, lentamente, raggiungo una mia pace interiore. Non mi piace pensare alle mie esperienze oltreoceano ed in Italia come a due vite separate: sono entrambe parti di me. Per questa ragione, ogni viaggio in Italia non è per me un ritorno al passato, ma una continuazione del mio percorso. Mi permette, tra le altre cose, di uscire dalla mia “bolla accademica” e di imparare qualcosa sulla storia e l’arte della mia terra. Approfitto di ogni visita a Viterbo per andare alla scoperta di qualche piccolo paese o di qualche sito archeologico, rispondendo all’esigenza personale di non focalizzarmi solo sulla fisica o sull’ingegneria. In famiglia e con gli amici mi lancio spesso in conversazioni su eventi contemporanei, di politica o di economia. Questi sono momenti preziosi delle mie vacanze: mi riportano a godere di accesi scambi di opinioni, come facevo quando vivevo a Viterbo, o anche di spiegare i miei punti di vista, sempre in evoluzione. Tornando all’estero, cerco di razionalizzare Pensando a cosa mi piace dell’Italia (e dell’Europa) e a cosa la mia vita negli USA mi offra di meglio in questa fase della mia vita.

Arrivato in cima alla montagna: cosa pensa?
Innanzitutto, penso a quanto sia piccolo il mondo di sotto. Nelle sue mille parti, forma un mosaico di meravigliosa complessità. Penso a quanti passi siano servito per arrivare dove sono e a quanti pianeti si siano allineati per permettere che io potessi farcela. Non sfuggo al pensiero che potrei vivere sulle montagne, ma poco dopo non vedo l’ora di ripartire e di conquistare la prossima vetta. Ma, prima di andare oltre, noto che mi è venuto un certo languorino.

Qual è stato per te “il cantuccio in cui solo siedo”, il punto della città di Viterbo in cui ti sei identificato maggiormente e da cui ti sei sentito accolto?

Il mio “cantuccio” di maggior conforto a Viterbo non è mai stato un vicolo deserto, ma una saletta gremita di amici. Organizzare attività ed eventi era il mio pane quotidiano e la mia maggiore fonte di benessere durante gli anni di liceo. Ho iniziato ad apprezzare il piacere del silenzio solo una volta lasciata l’Italia. Oggi mi piace fermarmi a piazza del Gesù durante le mie passeggiate serali in centro, immaginando quanti prima di me si sono fermati a riflettere tra quelle mura.

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