Franco Pierini, ovvero la Treccani di Bagnaia

di Arnaldo Sassi

Franco Pierini

Come definire Franco Pierini, splendido 82enne, nonché bagnaiolo doc? Semplice: l’enciclopedia Treccani di Bagnaia. Perché lui Bagnaia l’ha amata e la ama ancora come una figlia, avendole dedicato una grandissima parte del suo tempo e delle sue energie. Per scoprirne la storia, le tradizioni, la cultura e l’arte. E si può dire che, anno dopo anno, insieme ad alcuni illustri colleghi, ha riesumato nella frazione viterbese molti tesori che erano ai più sconosciuti.

“Sono nato a Roma – esordisce – ma ci sono rimasto appena tre giorni. Poi, subito a Bagnaia perché la mia era una famiglia di bagnaioli. Purtroppo, a soli tre anni, rimasi orfano. Era il 10 aprile 1944 e ci fu un bombardamento delle forze anglo-americane. Mia madre corse verso di me per tentare di salvarmi, ma fu mitragliata e morì all’istante. Poi mio padre si risposò e io sono cresciuto con i nonni, due persone meravigliose”.

E dopo?

“A 11 anni entrai nel collegio dei Passionisti e i miei speravano in una vocazione. Ma non ci rimasi molto. Tornai a Bagnaia e mi iscrissi al movimento giovanile della Dc. Poi decisi di abbracciare la carriera militare nell’esercito, perché in paese non c’erano certo occasioni di lavoro. Ci sono rimasto per 35 anni, girando un po’ tutta l’Italia, fino alla pensione”.

Adesso però veniamo al discorso che più ci interessa…

“Eravamo negli anni ’70 e a Bagnaia la cultura era completamente assente. L’idea venne a Vincenzo Frittelli, dirigente Inps in pensione, e io mi aggregai subito. Con me diversi personaggi illustri, quali Raimondo Pesaresi, Bruno Barbini, Sauro Sorbini, il parroco don Felice Pierini. Fondammo l’associazione “Amici di Bagnaia” con l’intento di ricostruire la storia e l’arte del borgo, di cui non si sapeva nulla o quasi. Ricordo che le prime riunioni si facevano nella sacrestia della parrocchia”.

E da dove avete cominciato?

“Dagli archivi custoditi nella chiesa. Altri documenti li trovammo nella Basilica di La Quercia, che in passato aveva fatto parte della parrocchia bagnaiola. Poi nel Comune di Viterbo e nella biblioteca degli Ardenti, giacché dal 1928 Bagnaia era diventata, purtroppo, una frazione del capoluogo”.

Allora, vediamo queste scoperte…

“Una premessa: all’epoca a Bagnaia si conosceva solo la storia della ‘Pucciarella’, risalente al 1527. Eravamo in pieno Medio Evo e i Lanzichenecchi, dopo aver saccheggiato Roma, arrivarono a Viterbo e poi anche a Bagnaia. Qui però, trovarono una donna coraggiosa, che si ribellò al comandante di questo esercito e lo colpì alla testa. A quel punto i Lanzichenecchi decisero di fare marcia indietro. Insieme a Frittelli però, riuscimmo a ricostruire l’origine del nome Bagnaia. In un atto notarile compariva infatti il nome di un certo Leo De Bangaria, sicuramente longobardo. Di qui, dapprima la trasformazione in Balnearia, poi in Bagnaia, ossia luogo di bagni. Tanto è vero che lo stemma della frazione è costituito da onde increspate e ancora oggi la bandiera sventola sulla torre posta nella piazza principale”.

Altro?

“Frittelli, che era un appassionato, fece un gran lavoro, scartabellando i documenti che riusciva a reperire, con l’aiuto degli altri soci. E, negli anni ’80, pubblicò il libro “Bagnaia, terra del patrimonio”, che diventò in breve la Bibbia del paese. Io mi appassionai sempre più a queste ricerche, ma nel frattempo avvennero due eventi luttuosi: morirono prima Vincenzo Frittelli, poi don Vincenzo Pierini. E l’associazione entrò in crisi”.

E quindi?

“Si decise di affidare la presidenza a Bruno Barbini, ma durò poco. Il professore doveva far fronte a troppi altri impegni e non poteva essere molto presente. Così si decise che a sostituirlo sarei stato io”.

Ergo, comincia una nuova era…

“In un certo senso sì. Anche se si decise di continuare sulla strada intrapresa da Frittelli. Intanto si approvò un nuovo statuto. Poi si continuarono a compilare i quaderni che Frittelli confezionava ogni anno, nei quali veniva raccontata la storia popolare, quella delle tradizioni, da far conoscere a tutti i bagnaioli”.

Ma ci fu anche una grande novità…

“E’ vero. Con mia moglie Isa (Isa della Rupe: pittrice, scrittrice e grande esperta di esoterismo, ndr) riuscimmo a organizzare una vera e propria compagnia teatrale dialettale, con attori presi dalla gente comune e utilizzando i racconti degli anziani, che noi andavamo in giro a raccogliere e registrare. Ne vennero fuori due bellissime commedie: ‘A Pucciarella’ e ‘E bbucìe ci hanno e cianche corte’, raccolte poi in un libro intitolato ‘Bagnaia e il suo canto’, ovviamente il tutto scritto in dialetto. Il volume fu curato da Rino Galli. Le rappresentazioni furono un successo. Recitammo anche al teatro dell’Unione. E su quel libro furono poi stilate ben sette tesi di laurea”.

Altre scoperte?

“Quella dell’eremita di Bagnaia. Un discorso che si lega fortemente con l’esoterismo, che è la specialità di mia moglie”.

Cioè?

“Isa tempo addietro parlava spesso con una certa zia Mattìa, che faceva la carrettiera. Gli raccontò che la madre, agli inizi del ‘900, le aveva detto che c’era uno strano frate che ogni tanto attraversava la piazza, ma che non andava mai in chiesa. E che tutti evitavano perché si diceva che portasse sfortuna. Nel frattempo, quando qualche francese passava per Bagnaia, domandava dell’eremita, dicendo che in Francia se ne parlava addirittura a livello universitario. Poi, una decina d’anni fa, è uscito un libro dal titolo ‘Asia Mysteriosa’. e da lì si è scoperto un mondo tutto nuovo”.

Allora raccontiamolo…

“Nel 1908 a Bagnaia c’è una famiglia romana in villeggiatura. Tramite questo libro scopriamo che questo frate, chiamato padre Giuliano, vestito come i religiosi del Tibet, fece amicizia con un ragazzo di 14 anni. Il religioso viveva sotto Montecchio, in una grotta chiamata ‘grotta frata’. Un giorno il frate si fece male e il ragazzo lo aiutò a tornare nella grotta. Al momento di partire il frate consegnò al giovane alcuni fogli, dicendogli che in qualsiasi momento, seguendo le istruzioni lì sopra scritte, avrebbe potuto comunicare con lui, anche dopo la sua morte”.

E la cosa avvenne?

“Certo. La famiglia del ragazzo si trasferì in Francia e il ragazzo, facendosi aiutare da un esoterista, interrogò l’oracolo della forza astrale e questi rispose. Così, negli anni ’30, nacque a Parigi la Confraternita dei Polari. E Bagnaia si scoprì un paese esoterico”.

C’è dell’altro?

“Sì. A Bagnaia comandavano le donne. Lo si è scoperto grazie a una tesi di laurea di Luca Della Rocca, che fece una ricerca sulla chiesa di Santo Stefano. Il luogo era riservato alla Confraternita delle Disciplinatrici. Siamo nel 1400 e sono stati ritrovati tre atti notarili che definire rivoluzionari è poco: nel primo la Confraternita ordina ad alcuni coloni di lasciare immediatamente la loro proprietà, pena una denuncia criminale; nel secondo si tratta l’acquisto di un pezzo di chiesa per seppellire le consorelle defunte (le donne all’epoca non potevano essere sepolte in chiesa); l’ultimo sancisce una proprietà nell’area di Montecchio e che si gestiscono i beni senza controllo degli uomini. Insomma, erano donne rivoluzionarie”.

Tutto molto interessante. E adesso?

“Adesso il presidente è Aldo Quadrani. Io ho lasciato dopo una decina d’anni. I soci sono una sessantina. Ma ora è tutto più difficile perché i ragazzi si interessano poco alla storia del proprio paese. Bisognerebbe ripartire dalle scuole per coinvolgerli. Ma questa associazione sta in piedi da oltre quarant’anni. Non mi sembra poco”.

 

Bagnaia e il suo canto

 

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