Silvia combatte con i suoi fantasmi. I numeri fanno capriole nella mente promettendole un futuro diverso, mentre il telefono lascia il vuoto di una chiamata interrotta. Per I racconti del giovedì, la seconda puntata di Gioco a perdere, un racconto ideato da Rossella Cravero, Italo della Reda, Lucia Noschese e Carolina Peciola. Buona lettura…
Laura ama Silvia. È così da quella famosa estate. Avevano deciso di festeggiare la fine della scuola e l’incubo degli esami partendo insieme. Una sera, dopo i bagordi nei locali, erano andate sulla spiaggia. Su di giri, un po’ ubriache, i sacchi a pelo uniti, Laura aveva sentito per la prima volta quel profumo. Sapeva di bosco. Frutti di bosco ed erba appena tagliata.
Era lei, Silvia.
Chiacchierando si erano girate l’’una verso l’altra. Dalla sua bocca usciva quell’alito profumato. Non si era nemmeno resa conto di farlo. L’aveva baciata. Era stato come rompere degli argini, un’ondata inarrestabile l’aveva travolta. La lingua, il sapore del suo corpo caldo. Un fremito irresistibile le era risalito dal basso fino ad invaderla.
Febbrile e dolce, era stato un sogno.
La mattina, quando si era svegliata, Silvia stava seduta accanto a lei con le gambe strette al petto.
«Stanotte non è successo niente», la guardava con gli occhi infiammati e seri.
«Cosa vuoi dire?».
«Lo sai benissimo cosa voglio dire».
Laura, invasa dalla vergogna, aveva mentito per assecondarla: «È stato l’alcol. Eravamo ubriache. Dai, non pensiamoci più». E così era stato. Ma solo per Silvia.
Questa è la prima Laura. Laura uno, come la chiama lei. Quella originale. Quella istintiva. Quella che forse è la Laura più vera.
«Laura». Mahdi la chiama da fuori.
«Sì, sono in cucina», risponde lei alzando gli occhi verso la grande finestra.
Mahdi si affaccia nel vano della porta stagliandosi netto nella luce abbagliante proveniente dall’esterno.
«Sono arrivati i ragazzi».
«Va bene, vengo».
Ora le cose per Laura vanno bene, ma ha dovuto faticare per ottenere ciò che ha. È stato terribile dopo la morte dei suoi in quell’incidente automobilistico. E c’era stata la storia con Silvia, che non sapeva proprio come collocare. A poco più di vent’anni Laura stava per iniziare l’università. Dopo un primo momento di smarrimento, aveva deciso di rinunciare alle sue velleità mediche – d’altronde con quella scelta, fatta già prima di finire la scuola, non aveva fatto altro che seguire Silvia – e si era gettata anima e corpo nell’attività del maneggio ereditata dai genitori.
Gli zii l’avevano sconsigliata, sarebbe stato meglio darla in gestione. Ma Laura aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. È allora che è nata Laura due. Così aveva deciso di chiamare la sua nuova identità. Quella che non guarda in faccia a nessuno e va per la propria strada. E c’è riuscita. Tanti hanno tentato di truffarla, pensandola ingenua. Lei invece si è scoperta scaltra e intraprendente. E il maneggio ha preso il volo.
È riuscita persino ad assumere un aiuto, Mahdi. Per molto tempo aveva tentato di trovare qualcuno. Tutti buchi nell’acqua. Stavano un po’ e poi scappavano. Troppa fatica. Troppa merda da spalare. Mahdi s’era presentato direttamente al maneggio e quel lavoro lo sapeva fare. Scappato dall’orrore del suo Paese, non aveva paura della fatica, e il puzzo degli escrementi era nulla rispetto a tutto quello che aveva sopportato prima di arrivare in Italia.
In alcuni casi le due identità in Laura agiscono in armonia…
Oltre i cavalli, il suo grande amore sono i bambini. Un giorno, per caso, su una rivista ha letto dell’ippoterapia. Con la risolutezza tipica di Laura due ha preso informazioni, seguito corsi sui disturbi dell’età evolutiva, studiato a casa fino a notte fonda e, infine, preso contatti con l’Asl. Da ormai due mesi le hanno affidato quel gruppo. Cinque ragazzi, due maschi e tre femmine. La sua gioia.
«Allora, siete pronti?». Laura esce sorridente sul piazzale dove c’è Mariasole, l’accompagnatrice dell’Asl, ad attenderla insieme ai ragazzi.
Con loro può lasciarsi andare, far fluire finalmente libero l’amore.
… in altri si contrastano, rendendola impotente.
Al ritorno dalle vacanze Silvia non si era più fatta vedere. Solo una breve apparizione, all’inizio di quel tragico autunno, per il funerale dei suoi. Poi più niente. Anche Laura, travolta dalla sua nuova vita, non l’aveva più cercata.
Due anni dopo si erano incontrate per caso dal tabaccaio. Silvia sigarette, Laura il bollo dell’auto.
«Dai, vieni al maneggio. Vedrai com’è cambiato». Quel profumo c’era ancora.
Il giorno dopo Silvia era andata. Mentre Laura eccitata le mostrava e raccontava del suo lavoro, lei sembrava distratta.
«Sono nei guai», aveva sbottato mentre erano nelle stalle. Le aveva raccontato della nonna morta e di quelli del condominio che, subito dopo, l’avevano costretta ad abbandonare la casa del portierato dove aveva vissuto con lei. Poi gli zii, che se ne infischiavano dei suoi problemi e dell’università, ancora da finire.
Mentre Silvia parlava, dietro di lei, dal fondo della stalla, esplodeva il tramonto. Quella luce, tra l’arancio e il giallo, traspariva tra i capelli biondi ed esili, mentre una lieve brezza li alzava ai lati del volto. Quell’immagine così serena strideva con gli occhi disperati di Silvia, e il contrasto amplificava in Laura l’insostenibilità di quelle parole fino a rendergliele insopportabili.
«Va bene», aveva detto per far cessare la tortura. «Ti aiuto io». E quella era stata la prima di tante altre volte.
Ma Silvia non le aveva raccontato tutto. E questo Laura lo scoprì solo dopo.
«Silvia! Ciao, come stai? (…) Ho visto la chiamata (…) Sì, va bene. Ti aspetto».