Tornano Silvia, Laura, i numeri, le paure e le vendette. Per chi avesse perso qualche traccia del passato ecco come riannodare i fili: qui le 4 puntate precedenti. Buona lettura
Carlo l’ha riconosciuta subito. È l’infermiera di Villa Melia. Quella carina che aveva notato andando a trovare sua madre. Ora è accanto a lui nella ricevitoria.
«Ci conosciamo?», chiede Silvia, sentendosi osservata, dopo aver distolto lo sguardo dal conto alla rovescia sul display sopra la cassa.
«Lei lavora alla casa di cura, vero?».
I numeri sullo schermo scendono rapidamente: 15, 14…
«Sì«, dice Silvia mentre ritorna a guardare in alto.
«Mia madre è ricoverata a Villa Melia. La signora D’Antoni».
3, 2… Poi compare un numero circondato da un’aureola pulsante e luminosa: 25. La ragazza distrattamente accartoccia il biglietto e lo getta nel secchio.
«Diceva scusi?».
«Niente da fare, eh?… Mi spiace», dice Carlo con un sorriso all’angolo della bocca e il mento puntato in direzione del cestino. Poi torna a guardarle la spalla nuda che si intravede da un largo scollo a barca della maglietta.
Le porge la mano: «Mi chiamo Carlo. Sono il figlio della signora D’Antoni».
Dopo un attimo di esitazione la ragazza ricambia il saluto stringendogli la mano senza convinzione.
«Silvia Russo, piacere». Abbassa lo sguardo sul camice macchiato dell’uomo.
«Ho una macelleria qui di fronte», si affretta a spiegare Carlo.
«Ah, certo», risponde Silvia mentre si gira e allunga il passo verso l’uscita, lasciando dietro una scia fresca e profumata. Carlo rimane ad osservarla a lungo.
Silvia sta allacciando gli scarponcini seduta su una poltroncina, mentre ripensa al loro primo incontro.
«Perché tutta questa fretta?». Carlo appoggia le spalle alla testiera del letto. Il lenzuolo lascia scoperto un corpo asciutto e muscoli ben delineati.
«Devo andare, il mio turno inizia tra poco». Si alza e sfila dalla sedia il giubbino verde intarsiato di chiusure lampo.
«Devo dirti una cosa». Il tono di lui è serio.
«Non puoi dirmela un’altra volta?». Come al solito Silvia cerca di rimandare.
«No meglio ora».
«Va bene. Ma sbrigati». Silvia poggia le mani aperte sulle anche e piega la testa.
«Non te lo chiederei, ma sono alle strette. La banca mi ha obbligato a rientrare dallo scoperto e mi manca una parte della somma. Le cose al negozio ultimamente non vanno bene…».
Silvia continua a guardarlo senza dire nulla.
«Mi spiace, ma d’altronde eravamo d’accordo che prima o poi…».
«Carlo, non ho quei soldi».
«Se non ti giocassi tutto…».
«Vaffanculo!». Si avvicina allo zainetto posato a terra.
«Va bene, va bene. Sono fatti tuoi… Ma c’è quella tua amica…».
«Laura me li ha prestati già troppe volte», ribatte Silvia mentre solleva lo zainetto. «E poi non deve sapere niente di questa storia».
«Non capisco perché tutti questi scrupoli, ma fai come vuoi… Altrimenti…».
«Altrimenti cosa?». Ora Silvia si ferma e lo guarda con gli occhi stretti nella fessura delle palpebre.
«Altrimenti ci sarebbe un’altra soluzione». Silvia fiuta il pericolo, ma non sa come uscirne.
«Silvia, tu non hai soldi, ma hai qualcos’altro». E mentre lo dice, esce dal letto, le afferra i fianchi e l’attira verso di sé.
«Ti ricordi Giulio, quel mio amico che ti ho presentato tempo fa all’Akab? Quello stravede per te. Mi sta tempestando di telefonate e i soldi non gli mancano di certo…».
«Non pensavo saresti arrivato a tanto».
Silvia si divincola e gli sputa in faccia un mi fai schifo. Si volta e si incammina decisa per il corridoio.
«Sono alle strette, e lo sei anche tu, non fare tanto la santarellina». Carlo non cerca di trattenerla. Non ne ha bisogno.
Silvia sbatte fragorosamente la porta alle sue spalle. Quel tonfo le vibra fino al cuore. Chiude gli occhi e resta ferma come per resistere a un’onda che la sommerge.
«Maledetto», sibila tra i denti.
«Quanto gli devi?». Nella grande cucina di Laura si riverberano le fiamme del camino acceso.
Sono sedute al tavolo, i volti illuminati dal lampadario a campana che scende dal soffitto, e l’esile fumo della sigaretta tra le dita di Silvia che volteggia lentamente verso l’alto.
«Diecimila».
«Diecimila euro! Ma sei pazza?!».
«Lo so, sono stata un’ingenua, ma era un’occasione che non potevo perdere. Una casa mia, invece di gettare al vento i soldi dell’affitto tutti i mesi. Mi bastava solo quell’anticipo…».
«Ma non potevi chiederli a me?»
«No. Mi avevi prestato già troppi soldi e poi lui era così disponibile… Non pensavo sarebbe finita così».
Laura non dice nulla. Abbassa lo sguardo. Non vorrebbe chiederlo, ma è la sola cosa che le interessa.
«Ci sei andata al letto?».
«Ma no, cosa dici, avrà quasi vent’anni più di me…».
Sarà vero? O le sta mentendo come sempre?
Allora tenta un’altra strada. Tanto prima o poi questo momento sarebbe arrivato.
«Tempo fa è passato qui tuo zio Alberto».
Ecco, l’ha detto. Non pensava che sarebbe bastata questa frase a scatenare l’inferno.
Perché ora Silvia sa che Laura conosce tutti i suoi segreti. Quello che la nonna le aveva lasciato e che lei ha sperperato nel gioco. E di come quell’inganno abbia inevitabilmente trasformato in bugie tutto quello che le ha raccontato nel corso di quegli anni.
Silvia rimane in silenzio. Non sa cosa fare. La disperazione le inumidisce gli occhi, mentre la mano di Laura corre in soccorso delle sue guance, rigate dal pianto.
«Scusami, non volevo…».
«No». Silvia si alza di scatto precipitandosi verso la porta. «No, lasciami».
«Silvia, ti prego», la rincorre Laura.
«Lasciami!», urla Silvia divincolandosi. «Sei solo una povera lesbica».
Impietrita, Laura rimane sulla porta spalancata nel buio.