Gioco a perdere

di Rossella Cravero

Tra gli scaffali di una libreria, con il tepore di una sera d’estate e la passione per le parole, quattro amici intorno a un tavolo non potevano non farsi stregare da una trama. E’ nata così l’idea di scrivere una serie di puntate per “I racconti del giovedì” di Tusciaup.
Dal 13 settembre al 4 ottobre: Rossella Cravero, Italo della Reda, Lucia Noschese e Carolina Peciola si passeranno il testimone sulle tracce dei segreti di Silvia, della passione di Laura, del passato di Luca e degli altri protagonisti di Gioco a Perdere. Restate con noi puntata dopo puntata. (Tempo di lettura 5 min.)

 

Si accende una Marlboro light, la terza da quando si è alzata. Una in fila all’altra. «Laura, pronto? Ho perso trecento euro. Era tutto quello che mi restava per arrivare alla fine del mese». Silvia entra ed esce dalla camera mimando la telefonata, una passerella per prendere coraggio e chiedere aiuto. Va in bagno, butta la cicca ancora a metà nel wc e tira l’acqua due volte per vederla annegare. Ha un gusto di fumo in bocca che le dà la nausea. Dalla Moka arriva un odore di caffè bruciato, quando entra in cucina è troppo tardi, il liquido nero si sparge tra un fornello e l’altro. Avverte un raggio di sole caldo sulla spalla, guarda le sue orchidee sul davanzale e pensa che anche questa volta ce la deve fare, con o senza Laura.

Silvia vede scorrere davanti a sé le immagini della sera prima. Era tornata stanca dal lavoro, le era rimasta un po’ di pasta da scaldare nel forno, il portatile lo aveva aperto sul tavolo per guardare una serie. È bastato un attimo. La noia, la solitudine? Silvia se lo chiede ogni volta, ma è sempre troppo tardi. Perché ci ricasco? La carta di credito è ancora sul tavolo, buttata lì come un sasso che non affonda, ad andare giù è solo lei. Un click per il cambio schermo e il baratro si è riaperto sotto di lei. Se non le fossero rimasti solo trecento euro sulla carta quanti ne avrebbe persi in quel sito di giochi online? Da quando è entrata in questa trappola? Per Silvia quelle domande hanno la durata di un lampo. Uno squarcio di luce in una consapevolezza annebbiata dal brivido della sfida.

È tardi, dice a voce alta, quasi per darsi uno scossone. Ritorna in bagno e sotto il getto bollente della doccia lascia andare le lacrime che ha trattenuto dalla sera prima. I numeri un tempo erano una felice compagnia, un gioco innocente tra lei e nonna Rosa.«Terno su Milano, dai Silvietta, controlla se ho vinto». Lei amava quelle palline generose che premiavano la pazienza della nonna. Rimasta vedova ancora giovane, puliva le scale di cinque palazzine in un complesso con guardiola e casa del portiere; lei viveva lì, mezzo piano sotto il livello della strada, con quattro figli che si passavano un anno tra l’uno e l’altro. Tre maschi e una femmina: Carla, la mamma di Silvia.

La sua prima volta nella ricevitoria Silvia ce l’ha stampata in mente, era il giorno dopo la morte di nonna Rosa: «Ho sognato un gatto nero e un poliziotto». «Allora devi giocare il 53 e il 9, ambo secco», le aveva suggerito la donna dietro il bancone. «Su quale ruota?», E Silvia aveva scelto Roma. Ambo secco, preso. Con dieci euro se n’era portata a casa duemilacinquecento. Non ci credeva nemmeno lei.

Un’ultima volta, te lo prometto. Provo ancora oggi e poi smetto. È finita, te lo giuro. Silvia fa scorrere l’indice sulla cornice della foto della nonna che conserva vicino al letto. Le parole le escono con il tono di quando era bambina: fidati di me, una cinquina oggi con i tuoi numeri e sono a posto. Chiudo per sempre. Prende il pezzo di carta strappato dall’ultima pagina del libro sul comodino. Eccoli i numeri del mio riscatto: 26, 13, 54, 3, 8. Per nonna; per mamma che se n’è andata chissà dove; e per me che devo tornare a vivere.

Dai, così va meglio, inizia a ripetere tra sé. Si veste di corsa: tira fuori dall’armadio la maglietta a fiori, quella con lo scollo profondo che dà risalto al seno generoso. I jeans finisce di allacciarli in corridoio, le scarpe le ha lasciate davanti alla porta. Le chiavi della macchina e la borsa sono sul divano, prende tutto al volo. Non chiude nemmeno a chiave.

Un profumo di pasticceria che arriva dal forno dietro l’angolo avvolge l’aria che l’accompagna sino alla sua vecchia Panda gialla parcheggiata in fondo alla via. Il segnale orario dell’autoradio spezza il filo dei pensieri. Abbassa il volume che gracchia i suoi rintocchi: ore otto. Lo stacchetto musicale le dava sui nervi. Rai GR1: in studio Luana Cremasco, primo giorno a Rocca di Papa per i migranti sbarcati dalla nave Diciotti e ospitati… Istintivamente allunga la mano sul sedile del passeggero per cercare quel triangolo di carta strappata: anche lei si sente un po’ migrante, dispersa nel mare del gioco impossibile. Ma questa volta è l’ultima. Eccolo, è sotto la borsa, il cuore accelera i battiti.

Il grande cartello con le indicazioni per Villa Melia campeggia all’angolo della stradina di campagna. Non avrebbe mai immaginato di lavorare con gli anziani. Corpi segnati dal tempo, che la testa aveva abbandonato prima delle forze. Menti disperse tra le pieghe di un passato difficile da tenere a freno. Villa Melia prende il nome dalla pianta possente che si erge all’ingresso del cancello. Per Silvia quel luogo è diventato un rifugio. All’inizio odiava la casa di cura, frutto di un mancato coraggio, poi il tempo ha fatto la sua parte e quelle mura sono diventate il punto fermo di un’esistenza sempre in bilico tra passato e presente. Una fila di pioppi regala l’ombra quando il sole si fa più caldo. Parcheggia accanto alla macchina di Rachele. Almeno sa che oggi ci sarà un volto amico a lavorare con lei. Intravede anche la Smart di Luca, e per un istante si abbandona al ricordo di quel giorno in infermeria. Il telefonino le scivola a terra dalla borsa semiaperta. Lo raccoglie strappando anche un filo d’erba ancora umido di rugiada. Le dita istintivamente vanno sul tasto delle chiamate, il numero di Laura è tra i preferiti. Due squilli, poi ci ripensa e riattacca. Silvia devi cavartela da sola, si ripete mentalmente pestando i piedi sulla ghiaia del vialetto d’entrata. Davanti alla timbratura indugia su quale direzione prendere. La freccia che indica l’Amministrazione diventa il suo percorso illuminato. Si affaccia dietro la porta a vetri. Due scrivanie sono vuote, ma in fondo a destra c’è Matteo, l’impiegato più giovane. Silvia ha un potere ipnotico su di lui e non esita ad usarlo quando ne ha bisogno. «Permesso, posso disturbarla un minuto?». «Certo, si accomodi». Matteo sposta indietro la sedia per ripararsi da una pressione che non riesce a gestire. Fa scorrere la mano destra sul ciuffo di capelli neri che gli ingombra la fronte, quasi a voler alleggerire anche i pensieri. «Avrei bisogno di un ultimo acconto». «Ancora? Ma sarebbe il terzo questo mese e siamo solo al 20». «Lei ha ragione, ma è un’emergenza. La prego… ». «Silvia, mi pesa molto doverle dire di no, ma creerei un precedente con gli altri dipendenti, si metta nei miei panni, io… ». Matteo sta finendo la frase mentre l’eco delle ultime sillabe gli torna indietro come uno schiaffo, insieme alla porta sbattuta da Silvia.

Per la seconda puntata vi aspettiamo giovedì 19 settembre

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* Rossella Cravero, giornalista professionista, insegna scrittura creativa all’Università della Tuscia.

 

 

 

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