Giorgia Tamantini: “Il patrimonio di Viterbo deve essere recuperato ed è la sfida più difficile che ci aspetta”

di Maria Letizia Cerica

L’architetto Giorgia Tamantini, quattro anni dopo… Ripartiamo da dove l’abbiamo lasciata, correva l’anno 2020 e l’obiettivo per lei era nell’eccellenza del saper fare un sogno. Dicembre 2024. Giornata di pioggia fredda e incessante. Riprendiamo il filo del discorso a due. L’architetto di professione: pianificatore, paesaggista, conservatore e l’ex insegnante che accompagna narrativamente l’articolo. S’inizia…

Che le pare della Viterbo di oggi?

G. Diamo tempo alle cose: in questo momento la città si sta organizzando. Bisogna guardarla in questo modo: è qualcosa ancora in fieri.

I. Insieme la stiamo guardando dal calduccio accogliente di un bar del centro, che molto presto si affolla di studenti in gita, in cerca di qualcosa di bollente da mandare giù e creano una confusione piacevole.

La osservo ricordandola ancora bene, durante gli anni del liceo, seduta in fondo alla fila centrale della classe: una tipa sempre in movimento. Una dalla risata irrefrenabile e incontenibile. Con una gran voglia di vita dentro. Come è ancora oggi, senza alcun dubbio. Anche dopo anni di studi e di lavoro. Il suo sguardo è il medesimo di allora ed è questo che conta. Uno dei motivi per cui amo così tanto il mio lavoro – nella vita vera provo ogni giorno ad essere un’insegnante – è che mi mette in contatto con la vita che si forma e si incanala in qualche direzione. Quotidianamente ho a che fare con il futuro che – imperterrito – prosegue nel suo cammino, anno dopo anno. A prescindere da me. Non ho mai provato invidia per quel futuro, però. Quello dei ragazzi, voglio dire. Le loro osservazioni, le loro analisi sulla realtà che li circonda, a volte buffe, a volte arrabbiate, a volte insensate e altre volte sognanti e poetiche, sono da sempre uno stimolo per me a guardare il mondo coi loro occhi, oltre che con i miei.

Eccola di fronte a me: l’architetto Giorgia Tamantini di fronte a una fumante tisana col miele che guarda il futuro dritto negli occhi e se ne è fatta un’idea molto precisa. Lo studia con molta fiducia: una merce assai rara, in tempi come questi, fatti di rabbia e aggressività diffuse. Lo osserva con un ottimismo intessuto di realismo, oserei dire.

La sua passione per la vita mi era già nota, ma parlando con lei, a distanza di anni dal nostro ultimo incontro, questa mia convinzione si è rafforzata.

Mi sono convinta una volta di più che bisogna dare spazio e fiducia a persone giovani e piene di entusiasmo. Affidare il recupero del mondo a persone che sanno già più meno cosa c’è da fare. Come intervenire.

Hobby e passioni…

Ogni giorno questa giovane donna si dedica ad una quantità di cose che darebbe qualche grattacapo a Stakanov in persona: dove riesca a trovare le energie necessarie è difficile da capire, almeno per me.

Dipinge. Crea con le sue mani accessori e abiti. Vorrebbe avere più tempo per suonare il pianoforte. Dedica parte del suo tempo lavorativo al suo amore più grande: la ristrutturazione e la progettazione di interni, dentro in uno studio tecnico che si occupa anche della progettazione del nuovo. Perché esistono anche cose da progettare partendo da zero. Ed ecco arrivare la domanda attinente alla sua professione oggi.

Cosa pensa dell’architettura moderna, di certe cose che si vedono in giro per il mondo?

Non sono in assoluto né pro né contro: quasi sempre bisogna analizzare caso per caso. Se proprio devo scegliere, il recupero dell’esistente mi pare una sfida che vale la pena di accettare, ma anche la creazione di qualcosa di nuovo ti può dare grande entusiasmo. Purché fatta seguendo certi criteri, anche etici.

Lavora alle sue tante cose tutto il giorno, dunque, e poi, quando vuole proprio rilassarsi, l’architetto Tamantini si arrampica su qualche montagna del Trentino o va in palestra a praticare yoga acrobatico. Probabilmente guardare il mondo da sotto in su le serve a dargli un taglio nuovo. Capace di ispirarla, mentre è alla ricerca di nuove soluzioni. Una volta tornata con i piedi per terra, quell’occhiata a rovescio le permetterà di osservare le cose da un punto di vista inedito.

Quello con cui guardare la città, per esempio.

Giorgia Tamantini passa parte del suo tempo a guardare la sua città. “Bisogna vedere Viterbo nel contesto che le appartiene: il patrimonio di questa città deve essere recuperato e di sicuro questa è la sfida più difficile che ci aspetta come professionisti”.

Viterbo, dunque.

Le tante trasformazioni che ha attraversato e sta attraversando la città in questi anni. Secondo il suo punto di vista, bisogna guardarla con l’amore e la passione che questo luogo merita, al di là delle vicissitudini che essa ha attraversato negli anni, del pressappochismo che ha talvolta caratterizzato la sua gestione.

L’architetto Tamantini guarda la nostra città con un occhio che ieri, dopo un paio di ore di chiacchierata, sono riuscita a fare mio. Ci sono molte cose che non vanno, ma ci sono moltissime cose che si possono fare. E sul progettare: ha senz’altro ragione lei.

Quel suo sguardo, a partire da ieri, mi è restato appiccicato addosso e l’ho utilizzato, mentre tornavo a casa e mi guardavo intorno, per strade e quartieri.

Viterbo è attraversata da mesi da moltissimi cantieri, che a volte ci hanno reso la vita difficile, va ammesso.

Lo ammette anche lei.

Però lei guarda alle tante cose che stanno nascendo e che hanno richiesto interventi anche pesanti, con occhi diversi dai miei e da quelli come me, che imprecano da mane a sera, soffocati dal traffico impazzito.

Ogni volta che si interviene si è come dei chirurghi: se non si fa subito qualcosa, il paziente rischia di morire e se si decide di agire, è necessario usare con mano ferma quel bisturi. È un rischio, dunque. Dopo l’intervento, la prima cosa che senz’altro salta all’occhio è la cicatrice, che non è sempre bella da vedere, lì per lì. Bisogna dare tempo alle cose. Quello di inserirsi nella cornice generale. Solo dopo si capisce quanto quell’intervento fosse necessario per il corpo della città, quanto esso fosse ineludibile.

Ho ripensato a questo suo ragionamento durante percorso che quotidianamente faccio, andando e tornando dal lavoro.

Ogni mattina parto dal mio quartiere: il Pilastro.

Se ci pensiamo, è un quartiere costruito in modo equilibrato, in cui le persone possono muoversi a piedi, trovando facilmente beni e servizi, senza dover ricorrere alla macchina. C’è il verde. La posta, la farmacia, il supermercato e il fruttivendolo, il meccanico, l’elettrauto. Come una volta.

Ha ragione l’architetto Tamantini: sono esattamente i motivi per cui abito qui da una vita.

Nel mio percorso verso scuola attraverso due volte al giorno anche parte del centro storico. Quello più in sofferenza, in questi ultimi anni. Di recente si notano timidi segnali di risveglio. Lei concorda con me, in questo.

Il centro storico è chiaramente un luogo in stallo, ma è in attesa di qualcosa di nuovo che si sta concretizzando pian piano. Agire sul corpo della città, specie nelle parti abbandonate, richiede tempo e azioni mirate. Se si guardano con attenzione certi interventi – specie quelli intorno alle mura – si nota che c’è la volontà di fare e di fare bene. Per esempio: la nuova illuminazione delle mura ha alle sue spalle scelte che richiedevano tempo e pazienza. Tentativi ripetuti, per giungere a calibrare nel modo giusto la luce e valorizzare un elemento quasi unico che la nostra città possiede: la cinta muraria medievale, che la abbraccia per intero.

Durante la nostra intervista del 2020 il sogno più grande era quello relativo al Museo della Macchina di santa Rosa. È ancora vivo in te?

La collocazione che avevo immaginato, ha avuto una destinazione diversa. Ma il mio sogno non si è estinto. Quello è e resta un progetto in cui credo davvero. Si può sempre trovare un luogo coerente con l’idea di fondo.

 

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