Gli amori di Piermaria Cecchini: il teatro, il cinema e… Viterbo

di Arnaldo Sassi

Piermaria Cecchini

Piermaria Cecchini. Un artista con talento da vendere, che proprio pochi giorni or sono ha suggellato in patria l’ennesimo successo rappresentando “Over”, opera scritta da lui, in una piazza San Lorenzo che ha registrato il sold out e che lo ha applaudito a scena aperta. E allora val la pena cominciare proprio da qui. Da uno spettacolo coinvolgente, comico ma anche attualmente drammatico, i cui contenuti sono stati proiettati sulla realtà odierna.

“Fare questo spettacolo a Viterbo – esordisce Piermaria – per me è stato quanto mai coinvolgente. Perché, pur essendo nato a Roma, Viterbo è la città dove ho vissuto la mia infanzia, nonché la mia prima giovinezza. Per questo devo ringraziare l’assessore Alfonso Antoniozzi e Alessandro Maurizi, direttore di Ombre Festival, nonché la Atcl”.

Quindi una bella soddisfazione…

“Sì, perché non sai mai prima se le persone verranno allo spettacolo. E vedere la piazza piena mi ha riempito di gioia. Non solo. Sentire il loro affetto e la loro partecipazione mi ha spinto a dare tutto quello che avevo e a creare quella sintonia che rende speciale uno show. Per questo ho aggiunto due pezzi in dialetto viterbese: proprio per suggellare ancora di più quella complicità che si era creata, nonostante fosse uno spettacolo del tutto nuovo, che aveva debuttato a Novara, dove collaboro con l’associazione teatrale ‘Viaoxilia 4’. E anche lì è stato sold out. Ma a Viterbo ha avuto tutto un altro sapore. Perché ho potuto constatare che la mia gente mi vuole bene. Gente di tutte le estrazioni: dal primario al muratore. Mi sono anche commosso, perché ho sentito tutto l’affetto del pubblico”.

Insomma, quella del 29 luglio è stata una serata magica…

“Proprio così: magica. Una vera e propria adunata tra me e i viterbesi in una cornice unica come piazza San Lorenzo. Ci ho messo tutto quello che avevo e potevo stare sul palco fino alla mattina. Non ero stanco per niente. E, come ho detto ai ringraziamenti, lì c’era tutta la mia vita davanti. Un pubblico che non mi ha mai abbandonato in questi 46 anni di carriera e che ho ritrovato dopo undici anni nella stessa piazza, ancora più numeroso”.

Uno spettacolo di una comicità particolare…

“Apparentemente comico, ma anche tragico e soprattutto molto attuale, che ha affrontato temi rilevanti con molta leggerezza. Dentro c’era un po’ di tutto: dal don Chisciotte, al racconto autobiografico, al sogno da favola, alla riflessione esistenzialista, alla filosofia del quotidiano e alla contezza di un tempo difficile. I personaggi che ho interpretato hanno affrontato tematiche molto serie, ma ho cercato di alternare serio e faceto per rendere il tutto comunque vivace, grazie anche all’accompagnamento musicale del maestro Polo Beretta, alla sonorità del canto di Serena Galasso e alla vivacità di Federica Ravello e Manuela Galvagno”.

Vabbè. Adesso partiamo dall’inizio. Come è nata l’idea di fare l’attore?

“Quella non la capisci subito. Io ho avuto la fortuna di frequentare una scuola sperimentale, la ‘Pietro Vanni’. Erano gli anni ’70 e io di anni ne avevo 12. La mattina facevamo cinema e il pomeriggio teatro, sotto la guida del professor Quirino Galli. Io ero timidissimo, tanto che pure nelle foto in bianco e nero venivo rosso. Però quando salivo sul palco improvvisamente mi sentivo un’altra persona, come se fossi a casa mia. Anzi, mi piaceva questa cosa perché a me è sempre piaciuto raccontare storie e fare personaggi. Poi frequentavo anche la parrocchia di San Sisto e lì si facevano gli spettacoli di Natale”.

E poi?

“Sempre negli anni ’70 arrivarono a Viterbo gli spettacoli del teatro Argentina, gemellato col teatro Unione. Io partecipai a un laboratorio dove si rappresentava una commedia di Shakespeare: ‘Le allegre comari di Windsor’. Dovevo fare una particina, ma quello che doveva interpretare il protagonista principale, cioè Falstaff, sparì improvvisamente. Grazie alla mia voce fui scelto io al suo posto. Ricordo che mi misero addosso un armamentario che non finiva mai. Avevo 20 anni e quello fu il mio debutto a Viterbo. L’evento però mi portò  a fare le prime esperienze al  teatro  Argentina a Roma  e a studiare molto (circa 6 anni)  per diventare attore  Nel frattempo frequentavo l’università e facevo altre 100 mila cose”.

Insomma, la scelta quando è avvenuta?

“E’ stato il tempo ha determinarla. Certo, a casa non l’hanno presa bene. La mia famiglia voleva per me il fatidico posto fisso. ‘L’artisti se morono de fame’ mi diceva mio padre. E in effetti, quando sono andato a Roma, la fame l’ho fatta. Presi una valigia e 50 mila lire e partii. La sera i soldi erano già finiti. Ho trascorso un periodo difficile. Ma la mia costanza e il mio carattere hanno fatto sì che non mi perdessi. Ho condiviso la prima camera a Roma con Rocco Papaleo”.

Poi cos’è successo?

“Ho cominciato a incontrare gente dello spettacolo, da cui ho avuto consigli molto importanti: Leo Gullotta, Mario Scaccia e soprattutto Mario Castellacci, che mi volle nel musical ‘Forza venite gente’. Ci incontrammo a Bassano in Teverina dove lui aveva una casa. Mi vide recitare e mi disse che ero bravo, aggiungendo: ‘Tu sei uno che può fare questo mestiere’. Poi mi chiamò per ‘Forza venite gente’ e lì conobbi il figlio Piero col quale feci il mio primo show romano: ‘2001, odissea nell’ospizio’. Uno spettacolo musicale di cabaret, che si rappresentava in un piccolo teatro. Successivamente arrivò Fiorenzo Fiorentini, che mi portò in un teatro più grande. Poi mi videro altri che mi portarono in altri teatri ancora…”.

Così è cominciata l’escalation…

“Beh, devo dire che sono stato fortunato perché mi sono trovato al posto giusto nel momento giusto. E arrivò anche la televisione”.

Con quali programmi?

“Prima con ‘Ieri, Goggi e domani, poi con ‘Stazione di servizio’: una sit com del 1989 in cui interpretavo un agente di polizia. Poi con lo show del sabato sera su Raiuno ‘Stasera Lino’, insieme a Lino Banfi ed Ether Parisi. Ci tengo a dirlo: senza nessuna raccomandazione e senza alcun compromesso. Come diceva mio padre, se uno studia e si prepara bene alla fine qualche risultato lo ottiene”.

E la tua famiglia come ha reagito?

“La mia famiglia, quando mi ha visto in televisione, ha capito che era tutto vero. E allora, quando apparivo sullo schermo, stavano tutti lì a vedere Piero”.

Insomma, c’è stata la svolta. Anche dal punto di vista economico…

“Da un certo punto di vista sì. Ma in questo mestiere non si sta mai sicuri (basta vedere quello che è successo col Covid). Io però ho avuto la fortuna di non fare solo l’attore, ma di essere anche scrittore e regista, oltre che insegnante. Questo mi ha permesso di poter vivere con una certa tranquillità anche nei momenti difficili. E ne e ho passati diversi. Se non era una cosa, era l’altra. Poi ho cominciato anche col cinema. Ho fatto più di 40-50 film. Il cinema l’ho affrontato quando mi sono sentito pronto. Ho cominciato coi fratelli Vanzina, poi ho girato quei film che adesso sono diventati cult. Da qualche anno sono passato anche dietro la macchina da presa, ma la filosofia è sempre la stessa: quella del racconto”.

Tra i tanti hai conosciuto c’è anche Gigi Proietti, con cui hai anche lavorato. Che ricordo hai di lui?

“Quando è morto per me è stato artisticamente il lutto più grosso che ho avuto. Ho pianto per due giorni, perché per me e per quelli della mia generazione era un punto di riferimento. Ho avuto anche la possibilità di insegnare alla sua scuola e ho visto quasi tutti i suoi spettacoli. Ma la cosa che mi disarmava era quando andavo in camerino e mi diceva: ‘Ahoo, che te ne pare?’ E io non sapevo mai cosa rispondere davanti a tanta bravura”.

Con lui hai girato anche un episodio del ‘Maresciallo Rocca’…

“E’ stato uno dei momenti in cui mi sono divertito di più. Un giorno, che dovevamo girare davanti alla sede della Provincia, mi disse: ‘Famo presto, che c’è la Roma’. Poi, a fine partita: ‘Era mejo se facevamo più tardi!’. Ovviamente per la Roma non era andata bene”.

Adesso parliamo del tuo rapporto con Viterbo…

“La amo, perché ci sono cresciuto. Poi però ci sono anche le istituzioni…”.

Che vuol dire?

“Vuol dire che lavorare a Viterbo per uno come me non è stato mai facile. Io ho sempre avuto dei sogni, dei desideri di fare delle cose. Ma è stato sempre estremamente difficile. Quello che ho fatto, i laboratori ad esempio, l’ho sempre fatto da solo”.

Hai un sogno nel cassetto?

“Sì, quello di diventare un giorno il direttore artistico del teatro Unione. Ma se non si istituisce una Fondazione per il teatro non è neanche un sogno: solo un’illusione”.

 

Recentemente qualcuno ha lanciato la stessa proposta per la stagione estiva di Ferento…

“Non lo sapevo. So che c’è già chi se ne occupa brillantemente. Ma io amo Ferento fin da piccolo perché è il luogo dove vado a pensare, accompagnandomi con Mercì, la mia bassottina. La prima volta mi ci portarono i miei genitori. Prima non c’erano le reti e tutto era accessibile. Vicino c’era la campagna e mia madre ci faceva la cicoria…”.

Torniamo al sogno nel cassetto. Magari uno più realizzabile…

“Creare a Viterbo una compagnia di attori professionisti tutti viterbesi. Questo desiderio ce l’ho da una vita. Solo che qui è difficile, perché non si riesce a capire che i soldi per la cultura sono un capitolo a parte, che non c’entrano niente con le buche. Con Alfonso Antoniozzi assessore, spero che le cose possano cambiare. Almeno lui sa di cosa si parla quando si pronuncia la parola teatro…”

Ultima domanda: programmi futuri?

“Sto scrivendo il secondo libro della trilogia sulla mia vita. Si intitola ‘Una vita abbastanza – Seconda stagione’, molto romanzata. Poi devo fare due film come regista e attore con la Magic Effect Group, di cui sono direttore artistico. In più sto scrivendo un nuovo spettacolo e allestendo un Luna Park della curiosità con show e corsi particolari a Novara, sempre con l’associazione ‘Via Oxilia 4’: un polo di attrazione culturale per giovani  talenti. Infine insegno nelle accademia di studio cinema International e Universal Academy a Roma, Milano, Bologna, Verona e Firenze. Ma in testa ho soprattutto la scuola a Viterbo”.

Chissà se all’assessore Antoniozzi fischieranno le orecchie…

Cecchini

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