Di professione fa l’avvocato civilista. Ma, pur non essendo famoso come suo fratello Raffaele (diventato una vera e propria star della Tuscia, grazie soprattutto all’ideazione delle sue Macchine di Santa Rosa) una passionaccia artistica ce l’ha, ed è quella del teatro. Lui è Guglielmo Ascenzi, l’altro figlio del mitico Silvio (uno dei sindaci viterbesi più amati) ed ha 51 anni. E, tra una scartoffia e l’altra di carattere giudiziario, si diletta – ma lo fa molto seriamente – con l’arte teatrale, un po’ come attore, ma soprattutto come scrittore di testi.
“La passione per il teatro – esordisce – mi è nata fin da ragazzo, perché papa mi portava con sé a vedere gli spettacoli al teatro dell’Unione. Mi piaceva soprattutto l’operetta. Ne vidi una con Ernesto Calindri, quello della pubblicità del Cynar, che mi rimase particolarmente impressa”.
E in seguito?
“Andai a Firenze per frequentare l’università. E lì c’era una gran tradizione teatrale. Così cominciai a partecipare a varie iniziative, soprattutto spettacoli goliardici, anche al teatro Verdi. Facevo parti importanti e meno importanti come attore. Poi mi sono appassionato anche alla scrittura dei testi”.
Prosegua…
“Nel frattempo mi sono laureato e nel 2003 sono diventato avvocato. Per quanto riguarda il teatro ci sono stati ben dieci anni di oblìo”.
Come è avvenuta la ripresa?
“L’occasione me la dette Caffeina, il festival che si svolgeva a Viterbo qualche anno fa. Con un gruppo di avvocati si decise di mettere in piedi tre iniziative: due molto serie, sui diritti, sulla Costituzione e su elementi importanti di innovazione legislativa. Il terzo fu una cosa leggera: ispirandoci ai ‘Promessi sposi’, organizzammo il processo a don Abbondio per omissione d’atti d’ufficio (il rifiuto di celebrare il matrimonio tra Renzo e Lucia, ndr) e violenza privata (quando mette una coperta in capo a Lucia, ndr). La rappresentazione avvenne a piazza del Fosso. Io facevo il giudice e alcuni ragazzi del liceo erano la giuria. C’era un canovaccio di massima, ma era concesso molto all’improvvisazione”.
E come finì?
“Che don Abbondio fu condannato e che l’iniziativa ebbe un certo successo”.
E poi?
“Beh, diciamo che l’appetito vien mangiando. Il secondo processo lo scrisse l’avvocato Franco Rossi. Imputato: Gianciotto Malatesta, quello che fece uccidere il fratello Paolo e la moglie Francesca, divenuta sua amante, citati da Dante nella Divina Commedia. La rappresentazione si svolse nell’aula della Corte d’Assise del vecchio tribunale, in piazza Fontana Grande. In quell’occasione io non partecipai”.
Insomma, si creò un gruppo di avvocati che portavano la Giustizia in teatro…
“Sì, decidendo di debordare verso una deriva ironica. Così celebrammo il processo al cardinale Raniero Capocci, da me interpretato. Fui condannato a tre anni e sei mesi”
Una ribalta per la storia viterbese…
“E’ vero. A un certo punto l’idea fu quella di prendere in considerazione episodi accaduti a Viterbo e rispolverarli in veste giudiziaria. Dapprima con processi penali, poi con quelli civili, dal momento che io sono un civilista”.
E che cosa vi inventaste?
“Un altro processo penale. Ad Annio da Viterbo (nato nel 1437 e morto nel 1502, religioso e umanista,ndr) per falso. Figlio di un macellaio, assurse al massimo grado della carriera ecclesiastica, diventando addirittura confessore di papa Borgia. Si può dire che fu il primo falsario di storia, avendo declinato tutte le vicende dell’umanità su Viterbo. Secondo lui l’arca di Noè si fermò nella Tuscia. Scrisse 12 libri sulla storia enciclopedica del mondo. Per celebrare questo processo attingemmo a svariati testi e lo spettacolo fu rappresentato nel cortile di palazzo dei Priori, con annessa visita alla sala regia. Ci fu un gran pubblico”.
E come finì?
“Che Annio fu assolto. Io scrissi la sceneggiatura ma molto efficace fu la requisitoria del pm Massimiliano Siddi (che lo è anche nella vita reale, ndr), il quale argomentò affermando che il mito fondativo delle città è sempre esagerato. Quindi propose lui stesso l’assoluzione di Annio, inquadrando le falsità nella glorificazione delle origini di Viterbo”.
Mi diceva che poi siete passati al civile…
“Sì. L’ispirazione mi venne ascoltando al telegiornale la vicenda di due coniugi toscani che avevano citato in giudizio la Germania dopo 50 anni, perché durante la seconda guerra mondiale erano stati trasferiti là come lavoratori coatti. E vinsero la vertenza perché i fatti di guerra sono imprescrittibili”.
E da qui cosa nacque?
“Mi si accese la lampadina. E così decisi che i cittadini di Ferento dovevano far causa al Comune di Viterbo per la distruzione della loro città. Poi riesumai la storia del brigante Domenico Tiburzi, che estorceva denaro ai proprietari terrieri e in cambio garantiva la sicurezza del fondo. Ho immaginato che gli eredi del brigante facessero causa ai proprietari terrieri perché quelle non erano estorsioni, bensì il pagamento di un lavoro, tra l’altro mal retribuito. Infine – ed è lo spettacolo dello scorso anno – la storia di un lucumone che si risveglia dopo 2.500 anni e fa causa al comune di Viterbo per riavere il sarcofago del padre e della madre, a suo parere trafugato per essere portato al museo civico”.
Beh, tutto molto affascinante…
“In effetti sì. Si viaggia su un tono molto goliardico. Ma, visto che parliamo di processi, nelle rappresentazioni si rispettano rigorosamente le liturgie della giustizia”.
E adesso parliamo del prossimo spettacolo…
“Andrà in scena giovedì 4 luglio, in piazza San Lorenzo e tratta di una separazione legale. Tra una moglie, Italia Corso, e un marito, Faustino Santo. Lei vuole separarsi perché lui è un ubriacone, fa casino tutte le sere e malmena la gente”.
Un riferimento alla realtà, sia nei nomi che nei fatti…
“Certamente. Tanto è vero che lei vuole addirittura ripristinare l’Urcionio per una separazione che sia veramente fisica”:
Ci sono altri personaggi?
“Certo. I testimoni: un certo Scarano Piano, un certo Pellegrino Santo e una Barbara Santa che metterà in luce la dicotomia tra il centro storico della città e un quartiere del tutto nuovo. Ci sarà anche Urcionio, che racconterà il suo stato da quando fu tombato e un personaggio bizzarro chiamato Francigena”.
E come funziona la cosa?
“La traccia l’ho scritta io. Ma le discussioni finali degli avvocati sono segrete e verranno svelate la sera dello spettacolo. Il giudice sarà Anna Paradiso. Poi ci saranno altri colleghi che interpreteranno i quattro figli della coppia, cantando canzoni famose cui sono state cambiate le parole”.
Ma avete fondato un’associazione?
“Per il momento no. Siamo solo un gruppo di amici. Ma una mezza idea c’è. Quella di fondare la ‘Compagnia del Foro’. E nessuno pensi ai doppi sensi…!”.