Bizzarra esistenza quella del cinghiale. Oggi predatore temuto (talvolta nutrito) delle periferie cittadine. Non solo di Viterbo, ovviamente. Qualche decina di anni fa, neppure troppi, era un animale da proteggere. Perché considerato anche il “vero simbolo della Maremma”. La cronaca di Viterbo del Messaggero nell’edizione del 16 gennaio 1970 pubblica un attacco, pure abbastanza pesante, nei confronti del Comitato Provinciale della Caccia, che ha appena dichiarato il cinghiale “animale nocivo” e, di conseguenza, esteso la sua caccia all’intero anno, cancellando la moratoria di qualche mese, chiesta da tanti cacciatori e sostenuta dal giornale nell’intento di evitare lo “sterminio di una selvaggina cosi pregiata, in altre province tutelata al punto di proibirne la caccia”. In compenso, sottolinea l’articolista del Messaggero con una punta di sarcasmo, il Comitato della Caccia ha dichiarato “non nocivi”, altri animali come il lupo, la martora, la lontra, lo sparviero, il falco, il corvo, l’aquila. Certo mezzo secolo addietro, il tessuto di Viterbo città, il restringimento delle campagne e dei boschi, le abitudini, anche quelle meno corrette dei suoi abitanti, sono mutati e hanno prodotto una situazione del tutto nuova. Inimmaginabile. La presenza dei cinghiali con il rischio quotidiano di un incontro ravvicinato non esattamente di terzo tipo hanno creato una oggettiva emergenza.
Da Il Messaggero del 16 gennaio 1970
“Sabato scorso su questa pagina pubblicammo un articolo con il quale si chiedeva al Comitato Provinciale della Caccia, di revocare, con urgenza la delibera adottata nell’ottobre scorso, con la quale il cinghiale, il vero simbolo della Maremma, veniva dichiarato nocivo. In quell’articolo spiegammo anche i motivi per i quali si chiedeva tale provvedimento e, nello stesso tempo, indicavamo i pericoli che si sarebbero corsi dopo il 31 gennaio, quando su tutta la penisola si sarebbe chiusa ufficialmente la caccia a tale selvaggina. Scrivemmo allora l’articolo, poiché sapevamo che il Comitato Provinciale della Caccia si sarebbe riunito il giorno 13, e con ciò, speravamo, poveri illusi, che almeno una decisione in tal senso sarebbe stata adottata. Ma non vi è cosa peggiore che parlare ai sordi e quello che temevamo si è verificato. Il C.P.C. non si è curato per nulla del nostro appello, appello rivolto d’altra parte a nome di migliaia di liberi cacciatori gelosi di preservare dallo “sterminio” una specie di selvaggina così pregiata che in altre province viene tutelata al punto da proibirne la caccia. Come prevedevamo i nostri timori, a distanza di pochi giorni si sono rivelati fondatissimi. Ieri pomeriggio nella seconda edizione del Gazzettino di Roma e del Lazio (il Radiogiornale regionale Rai; n.d.c), andata in onda alle 14,45, i cacciatori hanno avuto la…bella notizia che in provincia di Viterbo la caccia al cinghiale sarà permessa anche dopo il 31 gennaio prossimo in quanto l’animale è stato dichiarato nocivo. Comunque, almeno secondo notizie in nostro possesso, il Comitato Provinciale della Caccia ha stabilito che, con decorrenza 15 agosto 1970, verranno dichiarati non più nocivi: il lupo, la martora, la lontra, lo sparviere, il falco, il corvo, il gufo reale, l’astore e l’aquila. Con questo il C.P.C. crede di poter giustificare, invano, il suo cervellotico operato riguardo al cinghiale. Ma non è tutto qui l’operato del C.P.C., basti per questo leggere il calendario venatorio pubblicato nel giugno scorso. In esso si può leggere che dal 31 gennaio 1970 la caccia vagante con l’uso del cane da ferma è permessa solamente nella zona palustre del Bagnaccio e lungo i fiumi: Tevere, Fiora, Mignone e Marta per cento metri dalle loro sponde e nella fascia costiera per una profondità di cento metri. Ora ci si domanda se in una zona abbastanza vasta, come risulta essere quella del Bagnaccio non sarebbe stato il caso di ben delimitarla onde non far incorrere il cacciatore in eventuali contravvenzioni alla legge sulla caccia, e ciò anche perché detta zona è ben delimitata da strade come: Cassia, Commenda, Garinei, Occhi Bianchi e inoltre dal fosso Mandolineto. A questo punto vogliamo augurarci che il Comitato, almeno riguardo al calendario venatorio primaverile, voglia apportare quelle modifiche volte a chiarire quello che può essere l’esercizio della caccia ed i limiti almeno nella zona del Bagnaccio”.
*Luciano Costantini, giornalista professionista, ha lavorato in qualità di vice capo servizio presso la redazione centrale de Il Messaggero, occupandosi di sindacato ed economia. Rientrato a Viterbo, firma in qualità di direttore editoriale la testata TusciaUp. La sua grande passione per la storia è raccolta in tre libri: Il giorno che accecai il Duce, Fuori le donne dal palazzo dei Priori, l’ultimo pubblicato“O Dio con Noi o tutti in cenere”, tutti editi da Sette Città. Echi di cronaca del secondo dopoguerra è la rubrica periodica su questa testata, in cui racconta aneddoti e fatti di quel periodo storico riportati proprio dal quotidiano romano in cui ha vissuto il suo cammino professionale.
(Documentazione tratta dalla ricerca d’archivio presso la Biblioteca di Viterbo)