Il mio ricordo di “Babbo Nando”

di Arnaldo Sassi

Parlare di Rodolfo Gigli a poche ore dalla sua morte non è affatto facile. Perché si rischia di cadere nel banale e nel retorico, ripetendo a filastrocca frasi – tutte vere, per carità – che in questi momenti sono rimbalzate di bocca in bocca. Anche se una cosa è certa: dagli anni ’60 in poi è stato il re di Viterbo. A testimonianza di ciò mi è tornata in mente una conversazione con un imprenditore all’inizio degli anni ’90, al mio ritorno nella Tuscia dopo una quindicina d’anni trascorsi nella Capitale. Ebbene, mi disse: “Sai, prima se avevi qualche idea andavi da Nando. E se lui ti dava l’okay la potevi realizzare tranquillamente. Oggi invece…”.

Già, Nando. Perché gli amici, ma non solo loro, lo chiamavano così. Anche se qualcuno gli aveva affibbiato anche un altro nomignolo, quello di “Babbo”, che aveva un non so che di protettivo nei confronti dell’intera cittadinanza viterbese.

Il mio primo impatto con Nando Gigli avvenne agli inizi degli anni ’70, nella redazione de “Il Messaggero” di Viterbo, che all’epoca stava in via Cairoli. Io ero un ragazzino appena arrivato. Lui si chiuse nella stanza con l’allora capo della redazione Gianfilippo Chiaravalli per dipanare un casino combinato dal fratello Ugo. Ne uscì dopo una ventina di minuti buoni e salutò tutti. Era in un momento di difficoltà, ma mi colpì il suo garbo e il suo stile da gran signore. Convinzione che poi negli anni si andò ancor più radicando.

Il mio primo vero primo incontro con Gigli avvenne alla Pisana, negli anni ’80. Lui era assessore alla sanità e io cronista della Cronaca di Roma. La prima cosa che gli dissi, presentandomi, fu “Io sono viterbese”. E lui, di rimando: “Bene. Allora possiamo darci subito del tu”.

La domanda è: chi è stato veramente Rodolfo Gigli? Certo, lui ha sguazzato in un periodo in cui la Dc nella Tuscia sfiorava il 50 per cento dei voti. Ma una cosa va sottolineata: la sua vocazione di essere leader e di saper affrontare i problemi col massimo della moderazione e del ragionamento. Anche se in certi casi la durezza non gli è mancata. Bastone e carota? In un certo senso sì, ma sempre con estrema classe e senza mai alzare il tono della voce.

La mia frequentazione con “Babbo Nando” si infittì agli inizi degli anni ’90. Lui era diventato presidente della Regione e io, come inviato, avevo il compito di seguire gli eventi della Pisana. Fu il periodo in cui Andreotti e Sbardella si divisero e Gigli, dimostrando molta coerenza, decise di rimanere al fianco del futuro senatore a vita. Ma questo gli costò la poltrona. Ricordo però la sua calma e la sua tranquillità durante sedute che erano di fuoco, fino allo scontato epilogo.

Pur non condividendo le sue idee, rimasi però affascinato dal suo modo di fare. Dal suo stile. Dal suo essere maestro di politica. E anche dalla sua sincerità, dote che forse non tutti gli riconoscevano. Me lo dimostrò un episodio che avvenne in un ristorante di Viterbo. Ero appena rientrato nella Tuscia e mi stavo occupando della sanità viterbese, che faceva acqua da tutte le parti. Lui mi fece dire dal suo scudiero Gigi Paradiso che aveva il desiderio di parlarmi e così fu. E quando gli feci notare che l’allora commissario straordinario della Asl forse non era l’uomo più adatto a guidarla, la risposta fu: “Che vuoi. Non ho di meglio…”. Più sincero di così…

Sì, non si può discutere. Nando Gigli è stato il re di Viterbo per quasi mezzo secolo. Tra chi lo adorava e chi lo odiava, ha anche diviso la città in due. Ma il suo acume politico, la sua leggerezza, il suo ingegno sono stati sicuramente una spanna, o forse due, al di sopra di tutti gli altri. E, comunque la si pensi politicamente, non si può non dire che la Tuscia abbia perso un grande uomo.

 

I funerali di Rodolfo Gigli si svolgeranno il 2 novembre alle ore 14.30 nella Basilica di Santa Maria della Quercia

 

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