“Ci sono momenti nei quali l’arte raggiunge quasi la dignità del lavoro manuale”. E nel caso di Barbara Coluccia, artigiana titolare de La lana nel cuore (guardate la omonima pagina Fb!), bisogna dare veramente ragione a Oscar Wilde, perché il suo lavoro manuale ha veramente tanto, tanto di artistico.
Barbara, attiva da anni nel settore, ha fatto del recupero dei materiali il suo punto di forza. Ma la sua passione nasce da un proverbio: impara l’arte e mettila da parte. “Mamma mi disse che sarebbe stato opportuno imparare un mestiere, così seguii un corso di taglio e cucito e un corso di maglieria – racconta -. Li feci entrambi, ma capii subito che la maglieria sarebbe stato l’amore della mia vita. Iniziai così a giocare con la macchina da maglieria e a vedere cosa riuscivo a fare, a sperimentare”.
Era la fine degli anni ‘80 anni, quando la maglieria visse un boom che condizionò a lungo la moda. “Ho iniziato a lavorare per un maglificio di Amelia, ero affiancata da una signora che mi aveva preso a lavorare con sè. In quegli anni di lavoro ho imparato la velocità, il calcolo delle taglie, la produzione e la gestione del personale perché arrivammo ad essere un buon numero. Poi un giorno al maglificio Carlani mi portarono in una stanza piena di filati che non usavano. ‘Vedi che riesci a farci’ mi dissero. E andò così: mi inventai un modello particolare di maglia con intarsi a specchio: la lavorazione era veloce ma l’effetto ottico stupefacente. Ebbe successo e gli ordini fioccarono. Era la metà degli anni ‘90 e da lì ho iniziato a lavorare per conto mio, con la costante della passione per il recupero dei materiali”.
A metterci lo zampino ci pensarono però gli albori della globalizzazione. “Il laboratorio ha risentito fortemente della concorrenza della manifattura dell’est, unitamente al crollo della richiesta di prodotti di maglieria” ricorda ancora Barbara, che però non si è data per vinta e ha continuato a lavorare coi filati, vendendo i suoi prodotti col passaparola.
“Mi occupavo esclusivamente di materiali da recupero – racconta – . Stoccaggio, fine serie, fondi di coni, e poi anche mercerie che chiudevano, dove trovavo passamaneria, bottoni di madreperla, aghi. Sono una compratrice compulsiva di lana. Se capita lo faccio ancora oggi”. Ma prima di arrivare alla produzione attuale, Barbara ha collaborato tanto con una stilista che aveva un negozio al centro di Viterbo, in piazza San Simeone. Un incontro nato per caso. “Entrai nella boutique e feci domande tecniche su una maglia appesa – spiega -. Lei si era trasferita da Pitigliano scegliendo Viterbo, mi propose di confezionare dei capi, visto che io so lavorare su ogni macchina. Da lei ho imparato un genere senza bordi, tuta macchina, con poche cuciture. Le piaceva il mio modo di lavorare un mix filati, che poi è quello che contraddistingue il mio stile, perché io non uso tinta unita. Con lei sono rimasta circa tre anni, imparando tantissimo, soprattutto un nuovo modo di vedere la maglieria. Poi lei è andata a Torino, abbiamo collaborato ancora un po’ poi ognuno ha preso la sua strada.
Ed ecco che veniamo ai tempi più recenti, alla produzione attuale de La lana nel cuore (“Un nome scelto perché mi descrive: io vesto e penso di lana” svela): i cappelli. “In realtà la passione per i cappelli nasce da lontano – ricorda -. Mio papà mi disse: ‘Ti compro la prima macchina se mi fai un cappello’. Ho provato a fare quelli, e da 15 anni mi sono specializzata in cappelli. Che vendo girando per mercatini. Insieme a mia sorella Sabrina ho seguito poi un corso per borsette di feltro e da lì ho cominciato ad unire maglieria e feltro. Un’intuizione che ha avuto un grande riscontro perché il genere piaceva. Il feltro poi lo abbiamo abbandonato, ora lavoriamo la lana cotta, anche qui sempre con la ricerca di materiale di recupero”.
L’esperienza di Barbara tra mercatini, festival e piazze, parallela a quella delle forniture per tantissime attività viterbesi che premiano la sua qualità di artigiana, si è purtroppo interrotta negli ultimi mesi per il COVID-19. “Mi manca tantissimo girare per le piazze – ammette -. Amo il lavoro che faccio e mi piace vedere come i nostri capi stanno addosso alle persone. Quando mi entra qualcuno e mi chiede qualcosa, so perfettamente cosa gli sta bene. Mia sorella Sabrina invece si è specializzata nelle borse e nelle decorazioni dei cappelli”. Ecco perché per un’attività come la sua è difficile fare commercio online, anche sui social. “I cappelli li devi provare, li devi vedere sul volto – spiega -. Però ci stiamo pensando e ci proveremo”.
In attesa che il virus permetta di riprendere a mostrare al mondo le sue creazioni. “Sicuramente c’è la voglia di ricominciare, anche perché la creatività non si ferma certo per il coronavirus – conclude -. Utilizzeremo questo tempo per sperimentare altre cose e altre idee. Del resto, la mia filosofia è quella di una frase che mi accompagna da tutta la vita: l’ultimo filo non è altro che l’inizio di un nuovo lavoro”. Un lavoro, ovviamente, in lana.