Fantastici, sempre sorprendenti Etruschi. Non riuscirono i Romani a cancellarne la civiltà, che anzi ad essi dovettero ricorrere per garantirsi la monarchia (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo). A distanza di secoli, non ci riusciranno neppure le bombe. Una iperbole, ma neppure tanto. Può essere calzante l’esempio della necropoli di Norchia: una enclave etrusca all’interno del più esteso poligono militare d’Italia, dopo Capo Teulada. Cinquemila ettari fatti di boschi, di improvvisi slarghi polverosi e riarsi, di rupi tufacee ricoperte di vegetazione che vanno a scivolare nel timido per quanto inesauribile torrente Biedano. E ancora, ruderi medievali. Nel cuore del suo cuore la tomba Lattanzi. Intorno, a distanza di sicurezza, cannoni, mortai, obici, carri armati, in un territorio diviso tra i comuni di Viterbo (30%), Vetralla (10%), Monteromano (60%). Un prezioso pezzo di storia etrusca dentro una piazza d’armi. Viene da immaginare – esagerando, ovviamente – a un Colosseo in mezzo a un campo minato. Convivenza difficile, comunque impropria. Norchia può essere visitata, come attestano tanti malmessi e arrugginiti cartelli turistici che arrivano sino all’Aurelia bis, però la tomba Lattanzi non si può vedere, semplicemente perché è zona militare. Al più si può conquistare un passaggio per una escursione a numero chiuso (non più di 20 persone) a fronte di un permesso rilasciato dalla Soprintendenza e dall’Esercito. Pochissime le aperture. L’ultima nell’infuocata decade di luglio, presente Beatrice Casocavallo dei Beni Culturali. A guidarla il professor Vincent Jolivet, archeologo e storico di fama mondiale laureato alla Sorbona di Parigi. Da una vita impegnato con una équipe di giovanissimi studenti nella ricerca di siti etruschi nella Tuscia. “Norchia – spiega – fu una delle tante città che erano nate e si svilupparono nell’orbita di Tarquinia. E’ stato così per Vulci, Ferento, Viterbo, Musarna”. Alle 10 del mattino il sole infiamma il cielo e l’aria, è un’autentica bocca da fuoco, in mezzo alle tante che sono in terra. La piccola spedizione di visitatori è accompagnata con discrezione da un due carabinieri della Polizia Militare. Quotidianamente controllano eventuali intrusi (c’è chi va alla ricerca di funghi, chi a caccia, perfino chi si dedica al motocross) e magari fanno scattare le denunce, 12 negli ultimi tempi. Guida il professore. Si scivola da un pianoro lungo un costone sul quale si affacciano le prime tombe. Sotto un viale ombroso: a sinistra il placido Biedano, povero ma limpido. A destra una rupe che si inalbera fino al cielo. Nasconde altri sepolcri? “Ne sono certissimo – risponde Jolivet sospirando e allargando le braccia – ma chissà se verranno mai riportati alla luce”. Magari ci penseranno i tombaroli. “Ormai sono rimasti in pochi. Per i giovani gli scavi con lo spito sono troppo faticosi e poi non hanno la conoscenza del territorio come i loro padri”. Il Biedano ad un certo punto diventa un ostacolo prima dell’ultima arrampicata fino alla Lattanzi. Problematico l’attraversamento su ciottoli in precario equilibrio sull’acqua. Subito dopo l’insidia di un ponte di legno che oscilla sull’avvallamento sottostante. Finalmente la maestosa tomba e il gruppo di ragazzi francesi che intanto si incuneano nelle fosse createsi a seguito dei crolli di blocchi tufacei. Una minaccia costante perché gli arbusti sono penetrati nelle viscere della terra. Arriva in mimetica il colonnello comandante del poligono: “Qui ci sono esercitazioni di tutti i tipi, dalla pistola ai pezzi da 155 millimetri”. Dalle armi alla storia. La tomba Lattanzi non è una scoperta recente: già verso la fine del IXX° secolo un pittore francese l’aveva disegnata. Poi gli scavi del secolo scorso, quelli più recenti e quelli che verranno nell’arco dei prossimi due anni. Un work in progress che permette di acquisire sempre nuove conoscenze e dettagli sulla misteriosa civiltà etrusca. Si sa che la maestosa tomba Lattanzi fu fatta erigere dalla famiglia Churchle, evidentemente una delle più illustri e potenti. Due piani sovrapposti collegati da una enorme scala. Ai suoi lati i pezzi di due gigantesche colonne. Sul fianco sinistro un bassorilievo mangiato dal tempo che ricorda il mito di Giove ed Europa, cioè il padre degli dei trasformato in toro che prova a sedurre la divinità marina. Un secondo piano, di cui restano poche tracce, con frontone in stile macedone. “Probabilmente – spiega il professor Jolivet – in onore proprio degli eredi di Alessandro Magno con i quali la famiglia Churchle aveva avuto contatti nel tentativo di realizzare un’alleanza etrusco/macedone con l’obiettivo di fronteggiare l’inarrestabile espansione di Roma. La storia ci dice che non andò così”. La Lattanzi è uno scrigno che non potrà che riservare altre soprese. Certo è fondamentale che vengano evitati nuovi, possibili smottamenti del terreno o incursioni dell’intervento umano. Insomma, il sito va protetto, e non soltanto perché è all’interno di una zona militare. La storia non si difende con le armi. Il rientro della “spedizione degli eroici escursionisti” avviene sotto un sole che scarica al suolo strali al calor bianco. Il piazzale sul pianoro all’entrata della necropoli è un’oasi. La visita è terminata (la prossima il 28 luglio) anche per i due carabinieri della Pm che risalgono in jeep per far ritorno al quartier generale del poligono.
La necropoli di Norchia, una enclave etrusca all’interno del più esteso poligono militare d’Italia
di Luciano Costantini