Dalla terra dove il mare bacia i monti,il racconto di chi la Calabria la ama e la vive come terra d’adozione ed è li che ha vissuto in questi giorni una Calabria ‘infuocata’ avvolta dalle fiamme.
La sera si era alzato il maestrale
La mattina sbirciammo timorosi l’aria intorno quasi con la certezza di sentire l’odore del bruciato (perché si sa che il maestrale è fonte di ispirazione per gli amanti del fuoco, no, mi correggo: per i terroristi del fuoco volevo dire, gli amanti sono quelli che accendono il camino in inverno), e invece era tutto a posto, l’aria era pulita, limpida come la sera l’avevamo lasciata.
Ci era sembrato un miracolo. Ce la scamperemo quest’anno? Invece no. Tempo dieci giorni e tutto è cambiato. E anche senza il maestrale.
Eravamo in montagna a fare una camminata, si avete capito bene , in montagna, a 1000 metri, sopra il mare, appena passata la pineta, perché così è questo paese, sospeso tra l’azzurro del mare e il verde della montagna, la prima volta che ho visto questa strada mi sembrava la corniche della costa azzurra che avevo visto da bambina, impossibile non innamorarsene, scendi curva dopo curva attraversando il bosco di macchia mediterranea e di sotto scopri il mare, c’è una curva detta di Titemi da dove vedi tutto il golfo da Punta Stilo a Capo Colonna e c’è, no ho sbagliato di nuovo : devo dire c’era, un bellissimo pino che stava molto bene nella foto che tutti si fermavano a fare tipo cartolina di una volta, il pino della collina-montagna e sotto il mare. Nel bosco non c’è /c’era solo la macchia mediterranea con i suoi arbusti e le sue erbe e i suoi profumi ma anche alberi grandi di querce, querce da sughero, lecci, faggi, pini, abeti, castagni, eriche arboree, corbezzoli e ulivi all’inizio.
Eravamo a fare questa camminata quando incontriamo un pastore che ci chiede, preoccupato, se abbiamo visto le capre che pascolavano libere. Rimontiamo in macchina perché la passeggiata è finita e a metà strada incontriamo il fuoco, ecco perché il pastore cercava le sue capre, il fuoco vediamo subito che è in due, tre punti diversi. Chiamiamo il 115, ci risponde che sono già stati avvertiti.
Sono passati ormai quindici giorni e stamattina ancora c’era il canader che andava su e giù dal mare, ormai ci siamo abituati.
Ci sono stati giorni che ci svegliavamo con questo rumore e capivamo con angoscia che l’incendio era ancora attivo ed era un caldo bollente ma speravamo che non sia alzasse il vento perché avrebbe portato il fuoco alle case. Ci sono stati anche quattro canader contemporaneamente, mi hanno detto che ce n’era anche uno francese e uno greco, e l’elicottero col cesto sotto, e alcuni andavano velocissimi nel cielo su e giù dal mare e facevano molto rumore, e ti sembrava di essere in guerra, e infatti era una guerra a cercare di spegnere questi fuochi che distruggevano tutto, piante e animali.
Alla fine degli anni 90 bruciò la pineta in questo paese, una pineta bellissima, andammo di notte a vedere questo fuoco che la divorava, eravamo sconvolti, quelli di qui si ricordavano quando bambini negli anni 50 era stata piantata, tutti gli altri ci ricordavamo tutti i picnic fatti, tutta la fresca accoglienza nelle giornate più calde ed era così grande che quanti volevano rifugiarcisi tutti li ospitava. E ci guardavamo attoniti e increduli con le lacrime agli occhi, a vedere quel fuoco che bruciava e bruciava e divorava tutto. Ora la pineta ha ritrovato tutta la sua bellezza, le ci sono voluti più di venti anni però. Ma nel frattempo non è più frequentata non come una volta almeno.
Varie volte sono bruciati pezzi della collina su cui sorge il paese, un anno fu un fuoco veramente devastante, sembrava bruciato tutto, al punto che pensavo che la terra potesse franare e portarsi appresso le case, così senza più le radici a trattenerla, non c’era più niente di verde, fichi d’india, cisto, mirto, ulivi, querce, erica, ginestra, fichi, eucalipti, pini, oleandri, mandorli, limoni, aranci, finocchio, rovi, corbezzoli e non so più che altro. Ho davanti agli occhi l’immagine degli ulivi che dopo il fuoco spento continuavano a bruciare da dentro, come fiaccole viventi, il tronco nero di fuori e acceso all’interno tramutato in brace rossa incandescente, tizzoni ardenti ancora con la radice a terra, chissà che dolore; e invece l’anno dopo, miracolo, tutto era rinato. Il paese non era precipitato a valle e la natura ancora una volta era stata più forte più tenace, aveva vinto.
Oggi, quando dal mare sali in paese, tra i vari verdi incontri dei brutti ciuffi marroni tra le chiome degli alberi e tra i cespugli, e cicatrici color terra di Siena bruciata in mezzo all’ocra gialla dei campi che testimoniano che anche nel passato più recente il fuoco è qua e là comparso.
Questa volta è stato diverso. Ettari ed ettari di campagna in fuoco, in fumo, in carbone.
Immaginate questa costa in cui le colline si susseguono un appresso all’altra e degradano dolcemente verso il mare, in una grande armonia, scendendo a valle e risalendo, e portando ora su un costone, ora su un cucuzzolo, un paese. Una costa ondulata di montagne piena di piante e profumi e animali, una curva continua che fa avanti e indietro, scende e risale.
Anche il fuoco, appiccato in più punti, saliva e scendeva, e passava dall’una all’altra, dalla cima dell’una alla cima dell’altra, divorante, implacabile, sembrava inesauribile, nonostante i canader, gli elicotteri, la protezione civile, e i volontari.
La mattina ti svegliavi e sentivi l’aria malata, greve, pesante, il cielo baluginoso che si confondeva col mare, il sole nascosto, e il fumo, il fumo su tutto, come un manto, una coltre velata e imbottita, e quell’odore così acre, insinuante, e realizzavi che era ancora lì, ma dove questa volta? Ieri sembrava spento, e invece eccolo di nuovo, e la vedevi l’ennesima colonna di fumo, più densa, più compatta, più minacciosa, che si alzava verso il cielo e più o meno riuscivi a localizzarla, più o meno, è la montagna di Sant’Andrea, quella di Isca? È Badolato? Brucia anche verso Satriano.
La violenza suscita violenza così ti viene spontaneo augurare a quelli che appiccano il fuoco di morire bruciati lì. E ti vengono in mente immagini torturanti di fuochi accesi intorno alla gabbia dove rinchiudere i colpevoli se mai si potessero prendere. Ma poi vince il lato più profondo, quello cristiano, e dici “riuniamoci tutti insieme a pregare perché solo un miracolo può fermare questa tragedia” e ti immagini tutti raccolti in preghiera come quando la Madonna Liberatrice ha salvato Viterbo dalla peste, all’epoca. Ma i tempi non sono più quelli per distrarre le persone dai bagni e dai divertimenti e dal relax della vacanza, anche se un po’ partecipano, e il fuoco allenta un po’.
Cui prodest?
Chi può avere interesse a distruggere tutto così? Non può essere l’opera di un piromane. Ce ne vorrebbe una squadra. Non può essere la distrazione di uno sconsiderato che butta la cicca o che brucia la potatura, non se partono tre quattro incendi tutti insieme. Una volta dicevano essere i pastori per avere il pascolo fresco, l’erbetta tenera per il gregge, ma forse quello era più per gli incendi vicino al paese che in verità si erano rarefatti dopo che veniva fatta rispettare la legge che vieta il pascolo per cinque anni nei terreni bruciati. Molti dicono sono quelli dei canader per guadagnare ma non ci posso credere come non credevo a quelli che dicevano “sono i forestali stessi per giustificare la loro presenza e le loro assunzioni”. No, non ci posso credere. Ma i forestali ci sono più? Se ci fossero potrebbero pulire i boschi. Perché una volta, quando le campagne e i boschi erano tenuti puliti gli incendi si spegnevano più facilmente e non c’erano neanche i canader e gli elicotteri, ci si arrivava via strada, e si faceva la prevenzione. Esiste più questa parola oggi?
Quale disegno occulto si cela dietro queste stragi? Perché di stragi si tratta, strage di patrimonio pubblico, di crimini contro la natura, contro l’ambiente e le persone. E certo si tratta anche di un disegno preciso, di un progetto incendio pianificato per bene a tavolino, perché non se ne spiega altrimenti la simultaneità e la progressione temporale e spaziale. E la scelta dei luoghi oggetto di questa aggressione. Preceduta per altro da due fuochi partiti qualche giorno prima sulla spiaggia, così, a metà mattinata, li avevo visti appena nati mentre nuotavo e le persone agli ombrelloni non se ne erano ancora accorte perché girate con lo sguardo al mare. Non si potevano spegnere con niente da noi nonostante la vicinanza dell’acqua, ma solo l’intervento della protezione civile aveva potuto avere successo, intanto però un po’ di eucalipti e tamerici e cineraria e gigli se ne erano andati… così adesso, nella fascia di “verdi”, così li chiamano, che separa la sabbia bianca dagli agrumeti c’è un bel pezzo marrone bruciato.
Chi ci guadagna? Si potrebbe pensare che volessero danneggiare gli impianti eolici che qui nella montagna insistono? Oppure vogliono fare terra bruciata per metter dell’altro eolico?
E come mai brucia la Calabria, la Sicilia, la Basilicata, la Sardegna? Sempre il Sud, il Sud invidiato per le sue bellezze e denigrato per le sue debolezze, il Sud sfruttato, il Sud abbandonato, dopo aver letto “Il cimitero di Praga” di Umberto Eco penso che anche i complotti più assurdi possano esser possibili.
Certo una cosa precisa c’è stata che coincide con l’inizio degli incendi, a un certo punto, qualche giorno prima, è girato su face book un articolo di non ricordo che giornale, nazionale mi pare, che parlava dello slow tourism e di come questo fosse meravigliosamente attuabile in Calabria, e anche in televisione c’era stato un servizio sulle bellezze naturali e incontaminate di questi posti, che stanno diventando e in parte lo sono già zone protette…gli alberi secolari patrimonio dell’Unesco…le tartarughe marine che vengono a deporre le loro uova sulla spiaggia…la macchia mediterranea…la biodiversità…le tradizioni…la cucina e i sapori di una volta…
Il Sud, la Calabria in particolare, mi sembra come una ragazza bella ma povera, la più bella e la più povera del paese, di cui il potente di turno approfitta sempre, come una di quelle donne di cui la letteratura è piena.
Ma non è meglio distruggere tutto?
Meglio un paesaggio desolato tipo the day after, così si presenta oggi la montagna incendiata, tutto è cenere, grigio e nero i colori attuali, si stagliano sull’azzurro del cielo gli spettri carbonizzati degli alberi che furono.
Una cornacchia, sola, guarda da un ramo nero la devastazione intorno a lei.