Cosa sono le pietre d’inciampo? Sono delle piccole opere d’arte diffuse, dei cubi di ottone che ricordano le persone deportate nei campi di concentramento e sterminio nazisti, dove hanno trovato la morte. Le piastre di ottone, rialzate dal pavimento normale, rappresentano un ostacolo dove inciampare, per poi guardare per terra e trovare i primi cenni sulle donne e gli uomini uccisi.
Sono incastonate in marciapiedi, piazze, strade, che ricordano la vittima, con i dati anagrafici e il luogo della sua morte. Frutto di un’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig, che ha avviato il progetto a Colonia una ventina d’anni fa, vengono depositate dove la persona uccisa visse liberamente per l’ultima volta.
A Viterbo a Porta della Verità, sono tre le pietre d’inciampo che l’8 gennaio 2015 l’artista tedesco Gunter Demnig personalmente ha installato a Viterbo in memoria di tre ebrei viterbesi – Emanuele Vittorio Anticoli, Letizia Anticoli e Angelo Di Porto – deportati ad Auschwitz nel 1944. Le pietre sono apposte davanti alla casa dove abitavano, in via della Verità al n. 19. La richiesta fu indirizzata all’associazione ArteinMemoria (presidente Adachiara Zevi) dai Dipartimenti di Studi Linguistico-Letterari, Storico Filosofici e Giuridici (Distu) e di Scienze dei Beni culturali (Disbec) dell’Università degli Studi della Tuscia.
Angelo Di Porto e Letizia Anticoli abitavano a Viterbo, dove avevano una piccola merceria. Erano genitori del piccolo Silvano e vivevano insieme ai genitori di lei, Vittorio Emanuele e Reale, in via della Verità,19. La famiglia, una delle poche famiglie ebree di Viterbo, era molto benvoluta da tutti. La loro vita è sconvolta il 2 dicembre 1943 quando, proprio davanti alla loro abitazione, Angelo il marito, Letizia la moglie e Reale, la mamma di Letizia vengono portati via dalle milizie fasciste e condotti al carcere di Santa Maria in Gradi. Il piccolo Silvano, di soli 8 anni, viene salvato da una vicina di casa, una ragazza di 17 anni Rita Orlandi Corbucci , che lo prende per mano e lo porta via come se fosse figlio suo. Anche Emanuele Vittorio viene arrestato qualche tempo dopo, a Roma.
Il 22 marzo 1944, Angelo, Letizia e Reale vengono caricati su un camion: sono destinati al campo di transito di Fossoli. Mentre sta salendo sul camion, Reale cade e si rompe una gamba. Probabilmente perde conoscenza e resta distesa sull’asfalto, e i fascisti, che la credono morta, la lasciano lì. Viene salvata da un muratore viterbese, che la fa accomodare sulla sua carriola e la porta all’ospedale di Viterbo, dove viene nascosta e curata da un medico il dr.Ricci e da un infermiere, Luigi Morelli.
Angelo, Letizia e Vittorio Emanuele, invece, non faranno mai ritorno dai campi di sterminio. Appena trentenni, dopo la prima selezione vengono separati e moriranno stremati dai campi della morte lontanissimi da Viterbo senza poter riabbracciare il loro figlio Silvano Di Porto.
Silvano non ha mai dimenticato la sua famiglia e per anni ne ha tramandato la memoria, che oggi rivive in Angelo, suo figlio.
Speriamo che anche quest’anno, verrà reso loro onore, anche nei limiti che questa pandemia richiederà è necessario tenere vivo il ricordo è un modo per destare interesse e attenzione da parte dei giovani che ignorano questa triste pagina di storia perchè i testimoni diretti, in grado di raccontare la Shoah,sono sempre meno.
La Giornata della Memoria
La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, come “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio e, a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
La legge cerca di prendere in carico il ricordo tremendo di quanto è accaduto e la responsabilità preventiva di una comunità nei confronti del futuro.
Lo scopo indicato dalla legge nell’articolo 2, è proprio quello di “conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Primo Levi, il grande scrittore italiano deportato e sopravvissuto al lager di Auschwitz, ha scritto che ogni qualvolta si pensa che uno straniero, o un diverso da noi, è un Nemico, si pongono le premesse di una catena il cui tragico approdo è il Lager, il campo di sterminio.