Da Partenope a Sophia Loren, tante sono le donne napoletane che hanno segnato la storia.
A portare la sua Napoli nella Tuscia è Cristiana Lamanna, felicemente sposata e mamma di Niccolò e Mariella, è attivissima nella società civile viterbese, sempre attenta a ciò che riguarda il territorio sia in vena polemica che costruttiva.
Impegnata nella parrocchia di Santa Maria del Paradiso, dove ha accolto con entusiasmo il giovane Don Daniele, e anche nel coro di Santa Maria dell’Edera come contralto.
La ritroviamo reduce dal concerto presso la Sala del Mezzanino del Museo Rocca Albornoz, coro diretto dal M° Lucia Giorni, in occasione della Festa della Donna.
Com’è andato questo esordio? Soddisfatta dell’esibizione?
È stato davvero un bel concerto, anche perché i diversi brani erano intervallati da pezzi tratti da “Il treno dei bambini”il romanzo della scrittrice napoletana Viola Ardone portato al cinema dalla regista Cristina Comencini, con musiche di Nicola Piovani. Ogni brano rappresenta un certo tipo di amore e la sua declinazione al femminile: l’amore materno, l’amore filiale…è stato veramente emozionante.
Cosa è cambiato da quando si è trasferita a Viterbo?
E’ stato un cammino segnato da diversi cambiamenti. Per quanto riguarda i lati positivi, ho conosciuto la persona che è divenuta mio marito e il padre dei miei due figli. Ho anche incontrato tante belle persone con le quali ho tessuto dei rapporti. Per i lati negativi, Viterbo è una città ancora chiusa di mentalità; è poco europeista – e con europeista intendo esprimere la capacità di guardare oltre quelli che sono i propri confini – e, come amo ripetere i viterbesi sono dei “gattopardi”: ognuno non va oltre la propria visione. Questo preclude tante possibilità che la città potrebbe avere e sfuggono.
Trova che Viterbo sia una città poco accogliente?
Più che poco accogliente, non ha una mentalità ad ampio spettro, poco avvezza ad accogliere, ancora incapace di modellare concretamente una città o una comunità ideale. E’ difficile entrare in un ristorante alle 21, capita di trovare la cucina chiusa. Ma se accadesse ad un turista straniero, magari abituato ad un altro orario, davanti a quale accoglienza si ritroverebbe?
Il suo impegno collaborativo viene accolto dalla comunità in cui vive?
Sì, è un aspetto che ho sentito molto chiaramente. Nell’esperienza di volontariato in ospedale, ho provato un trasporto reciprocamente ricambiato. Anche nel coro riscontro una partecipazione in crescendo. Sono iniziative che rafforzano i punti d’incontro.
Quale è il contrasto che trova con la sua Napoli?
La differenza più grande di Napoli è l’empatia delle persone verso una intesa spontanea più diretta. A Viterbo c’è una diffidenza iniziale più sospettosa.
Qual’è invece, il punto di forza di una città di provincia e di dimensioni limitate come Viterbo?
Senz’altro l’attaccamento alle proprie tradizioni. L’importanza data alle tradizioni di una città preserva la sua identità, ed è una sensazione corale. Il Trasporto della Macchina di Santa Rosa, riconosciuta patrimonio Unesco ne è l’esempio più distinguibile.
La giornata a Napoli inizia con un caffè espresso intenso e una sfogliatella o un cornetto ripieno di crema Napoli, come inizia la giornata qui a Viterbo?
A Napoli iniziava aprendo le finestre e vedendo il mare. Che fosse brutto o bel tempo, estate o inverno, il mare bastava per farmi pensare “che bella giornata”. Qui, la giornata comincia con le attività quotidiane: accompagnare i ragazzi a scuola, la messa mattutina, e poi tutti gli altri impegni: con la famiglia, con il coro…con la vita che scorre.
Quale futuro sogna per i suoi ragazzi?
Di guardare al futuro da viaggiatori. Il viaggio apre la mente ed aiuta a costruirsi un’idea del mondo e del proprio futuro.
Cosa chiederebbe alla sindaca di Viterbo per migliorare la qualità della vita della città?
Sicuramente di dare più importanza alla cultura, di fare di Viterbo una città culturale 365 giorni all’anno. Bisognerebbe anche ripopolare il centro con delle iniziative forti, chiuderlo alle auto, dare la possibilità ai giovani di aprirvi delle attività, rianimandolo. In senso generale, fare di Viterbo una città a misura d’uomo. Per farlo, bisogna avere il coraggio di andare controcorrente.
Le piacerebbe impegnarsi in qualche ambito e quale?
Mi impegnerei nel produrre idee, ne ho molte, ma in un confronto libero e rispettoso.
Che cosa manca a Viterbo per fare il salto di qualità e ambire a pieno titolo a Città della Cultura?
La cultura può avere molte declinazioni, ma necessita di iniziative continue e costanti che mettano al centro dell’attenzione la città, con la valorizzazione della sua storia sostenendo i cittadini in una soddisfacente qualità di vita.
Napoli è espressione di cultura, a Viterbo città capoluogo non c’è neanche un cinema. Per ambire al titolo di Città della Cultura a Viterbo serve una rinascita culturale che vada avanti spedita.