Da tre anni allena in Lussemburgo. Fa il secondo di Aniello Parisi nella compagine dello Swift Esperange, che milita nella serie A del piccolo stato europeo ed è quarta in classifica, in piena lotta per i preliminari di Europa o Conference League.
“Qui sto benissimo – esordisce – perché ho avuto modo di confrontarmi con un’altra cultura, con un’altra lingua (che ho dovuto imparare) e con un calcio diverso. Ma non nego che ho anche nostalgia dell’Italia e, soprattutto, della terra dove sono nato: la Tuscia”.
Il suo nome? Rosolino Puccica da Capranica, per gli amici (e non) Lillo, uno degli allenatori che a Viterbo, ma anche a Civita Castellana, i tifosi ricordano con più affetto. Per il suo carattere aperto, per la sua simpatia, ma soprattutto per le sue capacità professionali, dimostrate nel corso di una carriera invidiabile.
Cosa pensa di questa sua avventura in Lussemburgo?
“Penso positivo, senza dubbio. Quando sono arrivato la squadra era in serie B e abbiamo vinto subito il campionato. L’anno scorso siamo arrivati terzi e abbiamo fatto i preliminari di Conference League. Quest’anno siamo attualmente quarti, ma mancano ancora due partite alla fine del torneo e la speranza è quella di risalire qualche posizione per ripetere l’esperienza europea. Insomma, sono stati tre anni di lotta al vertice”.
Com’è oggi il calcio in Lussemburgo?
“E’ un calcio che si sta evolvendo. Ci sono tanti allenatori e giocatori belgi, francesi, italiani. E anche la Nazionale si difende. Non è più come una volta, che le altre squadre venivano e facevano le passeggiate. E’ stato anche realizzato un nuovo stadio, inaugurato quattro mesi fa, che è un vero gioiello”.
Ma i calciatori sono professionisti o dilettanti?
“Qui esiste un regolamento, ideato proprio per elevare il livello del settore giovanile, che prevede l’impiego di almeno sette giocatori lussemburghesi. E di questi, la maggioranza sono dilettanti. Gli altri no, soprattutto gli stranieri. Quelli sono professionisti, come gli allenatori, del resto”.
Tutto questo comporta problemi?
“Beh, da un lato tutto ciò è positivo perché così si dà la possibilità di migliorare il calcio locale. Però un piccolo handicap esiste. Perché i cosiddetti dilettanti hanno un altro lavoro. Sono per lo più impiegati. E allora gli allenamenti bisogna farli soprattutto nel tardo pomeriggio, perché prima non è possibile”.
Veniamo all’Italia. Soprattutto alla Flaminia Civita Castellana e alla Viterbese…
“Sono le due società che più mi hanno coinvolto. La Viterbese l’ho vissuta anche da calciatore. Ero un ragazzino quando da Capranica sono arrivato a Viterbo. E’ vero, io sono nato a Capranica, ma mi sento viterbese a tutti gli effetti perché la mia vita l’ho vissuta quasi tutta nel capoluogo. E poi la Viterbese ce l’ho nel cuore, perché mi ha dato la possibilità di allenare per la prima volta nei professionisti”.
Se non sbaglio era il 2001…
“Sì, è vero. All’epoca allenavo la Beretti. Mi chiamò Giulio Marini e mi chiese se fossi disposto a guidare la squadra che doveva disputare i play-out contro la Nocerina per evitare la retrocessione. Sembrava un’impresa impossibile e fu un’esperienza di fuoco. Complicatissima fu soprattutto la partita di ritorno a Nocera, dove c’era un clima infuocatissimo. Uscimmo dallo stadio all’una di notte sotto una pioggia di lacrimogeni. Non potemmo neanche gioire, ma oggi ritengo che quella partita sia stata una delle più belle soddisfazioni della mia carriera”.
Poi il ritorno nel 2010…
“Sì, ma in serie D. E quella purtroppo non fu una bella avventura. C’era un progetto col presidente Fiaschetti, che a un certo punto si dimise e tornò Aprea. L’anno prima avevo preso la squadra che stava rischiando i play-out e alla fine del campionato avevamo sfiorato i play-off. Poi però, col cambio di proprietà, le cose si misero in un certo modo e così decisi di andarmene”.
Poi il ritorno con Camilli, un vero mangia-allenatori, nel 2017…
“Beh, io con lui sono stato l’unico allenatore a non essere cacciato. Arrivai a marzo e facemmo anche bene, anche se avevo perché preso la squadra dopo una serie sconfitte e due cambi di allenatori. Arrivammo ai play-off e fummo eliminati dalla Giana Erminio perché loro avevano una miglior classifica”.
E come fu il rapporto con lui…
“Tutto sommato buono. Ricordo in particolare due cose, una positiva e una negativa: quando perdemmo a Siena lui era convinto che dietro ci fosse stata una combine tra i giocatori e allora mi rimproverò per aver messo in campo certi atleti piuttosto che altri; invece dopo un’altra partita, quando facemmo perdere il campionato all’Alessandria, venne negli spogliatoi, mi mise una mano sopra la spalla e mi disse ‘bravo’. Però era un uomo molto brusco: una volta lo chiamai al telefono e mi fece dire dalla sua segretaria che, nel caso volesse parlarmi, mi avrebbe chiamato lui”.
Rimaniamo alla Viterbese. Sabato c’è la sfida decisiva con la Fermana per rimanere in serie C, dopo la sconfitta di Fermo per 0-1…
“Io sono moderatamente ottimista. Penso che aver perso la prima dal punto di vista psicologico potrebbe essere anche meglio. Il fatto di sapere che devi vincere a tutti i costi può dare una spinta in più. Giocare con due risultati a disposizione ti può mettere in imbarazzo, perché pensi a gestire la partita e magari negli ultimi minuti prendi il gol-beffa. Così invece sai che devi dare tutto per poter saltare l’ostacolo”.
In conclusione: programmi per il futuro?
“Come ho detto all’inizio: qui sto bene e mi hanno pure rinnovato il contratto. Però, a 61 anni, vorrei riavvicinarmi alla famiglia, a mia moglie e ai miei figli. E poi mi piacerebbe riprendermi il calcio da primo allenatore. Vorrei chiudere la mia carriera divertendomi, utilizzando tutta l’esperienza che ho accumulato in questi anni. Non chiedo la luna, ma un progetto serio per togliermi qualche soddisfazione. Non è importante la categoria. E non mi dispiacerebbe allenare anche a livello giovanile”.
Magari alla Viterbese o alla Flaminia…
“Non mettiamo limiti alla provvidenza”.
Foto cover e foto in alto by Albert