Maria Teresa Muratore:  “Siamo donne, diciamolo senza paura”

di Maria Teress Muratore

Una riflessione personale sulle questioni urgenti del nostro tempo.

 

Premesso che a quasi settanta anni ancora non so cosa significhi sentirsi realizzati: forse presuppone prima desiderare fortemente una cosa, impegnarsi poi a fondo per ottenerla, anche a prezzo di rinunce di altro e poi avere la sensazione di esserci riusciti.

Il lavoro svolto da biologa mi ha dato molte soddisfazioni e gratificazioni; sono contenta quando un mio articolo o un mio libro sono pubblicati; quando ne faccio la presentazione e incontro persone che mi ascoltano e partecipano emotivamente alla mia lettura; sono stata felice di essere mamma, dalla scoperta di esserlo al parto e poi al crescere i figli con tutte le gioie che questo può comportare.

Ma non mi sento realizzata, perché la vita è un continuum di circostanze improvvise, inaspettate, impreviste o no, di scoperte, è un continuo mettersi alla prova, un adattarsi, uno sperare e provare e impegnarsi e fermarsi e ripartire, un conoscere, un incontrare e allontanarsi, un allacciare, uno slegare, un esserle grate per una gioia improvvisa, per un inaspettato riconoscimento, un superare problemi, un imparare a convivere con i dolori, e starci sempre, possibilmente anche con la testa.

Dire che una donna è realizzata in quanto madre che significa?

Allora tutte le altre donne che non lo sono? Le buttiamo via? Non hanno pari dignità se per volere o per impossibilità non sono diventate mamme? Sono di seconda categoria?

E poi ci starei attenta, molto attenta, a rivendicare questa cosa della maternità.

Perché diamo in mano agli uomini, quelli cretini naturalmente, la scusa per dire “Ma siete madri, che cosa volete di più? Avete questa grande cosa che è la maternità e state a cercare il lavoro, la pari retribuzione, la libertà di uscire, di decidere, di pensare, di esprimervi, di viaggiare, e così via ?”

Anche perché, sono convinta, che sia proprio questa la cosa che a loro uomini manca e dà molto fastidio, questa cosa noi abbiamo in più di loro, e questa vorrebbero farci pagare in termini di sottomissione per, diciamo così, riequilibrare le cose, i due pesi sulla bilancia.

Già abbiamo questa meraviglia della maternità, anche solo la possibilità in quanto donne, che vogliamo pure le cose loro, il lavoro, il divertimento, la palestra, le uscite con gli amici, il cinema, la libertà di opinione e di espressione, la libertà di vestirsi come si vuole.

Ma allora siamo incontentabili. Siamo capaci di questo miracolo che è dare la vita, e poi stiamo appresso a queste piccolezze così “volgari”, no, dobbiamo stare a casa e crescere bene questi figli che abbiamo messo al mondo anche perché, non scordiamocene, sono i loro figli.

In questi giorni, in cui siamo tutti addolorati per l’ultimo insulso feroce femminicidio, e siamo preoccupate per questo dilagare del fenomeno, contro cui pare che non ci sia rimedio, in cui si avverte un tornare indietro nel tempo, un perdere terreno nel campo dell’emancipazione femminile, un accanimento cattivo verso il nostro genere, un serpeggiante “se l’è voluta, se l’è cercata, ma che volete ancora”, fa molto male e offendono quelle parole sulle donne che “sono  cattive, sono come il diavolo”, sì, giacché ci siamo mandiamole al rogo.

Andare avanti è lento e faticoso, a tornare indietro non ci vuole niente.

 

 

 

 

 

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