“Personalmente sono contro la monocultura mentre penso che sia bene promuovere un’agricoltura. Lo spreco o l’abuso della terra contribuisce ai cambi climatici”. Ecco la riflessione sul tema di Massimo de Franchi, socio-economista:
“Si potrebbe dire che non esiste solo un “nocciolo della discordia” ma qui si vuole lanciare unappello accorato per la difesa del suolo e degli ecosistemi dall’uso spropositato e indiscriminato di diserbanti, e fitofarmaci nelle colture, che provocano inquinamento delle acque, eutrofizzazione dei bacini lacustri e dei fiumi con conseguente moria delle specie animali. Quest’appello contro tutte le monoculture intensive, ora si deve estendere agli impianti di pannelli fotovoltaici messi a terrache adesso raggiungono estensioni giganteschi di 250, 300 e molti di più. Questi impiantia terra sterilizzano i suoli perlunghi periodi da qualsiasi coltivazione (tra venti e trent’anni) e per essere mantenuti pulitisi devono applicare quantità di pesticidi che di nuovo, aiutati dalle infiltrazioni delle acque piovane, provocano inquinamento delle acque profonde, e le rendono insalubri al consumo umano. Poi ci sono i problemi legati allo smaltimento di questi impianti, che non sono riciclabili eper l’alto costo dello smantellamento, rischiano di restare “in situ” come gli antichi altiforni dei complessi industriali siderurgici o gli edifici delle cartiere.
Parlando del nocciolo che è sempre stata una coltivazione arborea tra le eccellenze dell’agricoltura italiana, di certo meno celebre ma molto apprezzata, rispetto a quelli che sono i veri e propri simboli del made in Italy, come il vino e l’olio. La Perugina umbra, è sin dal 1800 un esempio di associazione felice tra cacao e nocciola. Ma ora qui da noi,la monocultura intensiva della nocciola è infelicemente diventata un problema d’inquinamento ed un affare di speculazione internazionale.Il problema attuale della coltivazione del nocciolo è la modalità della coltivazione in “monocultura intensiva” che ha portato conseguenti e gravissimi impatti sull’ambiente per l’uso sovrabbondante di pesticidi che, diluiti nelle acque piovane, per infiltrazione, hanno un impatto altamente tossico sulle falde acquifere e ancora peggio, per escurimento, nei bacini lacustri e fluviali.
Questo era il problema che si è sviscerato ad Orvieto, nel marzo scorso, durante la conferenza sui “noccioli del problema”. “Non è tanto il nocciolo come pianta a preoccupare gli agricoltori ed i residenti urbani, quanto gli impatti che queste monocolture possono avere sulla salute delle persone e dell’ambiente che le ospita, del resto la pianta di nocciolo ha una grande utilità nel mantenimento della biodiversità, anche in esemplari singoli nei giardini.
Da quella conferenza è partita una amplia riflessione, sia sull’impatto della monocultura sulla qualità delle acque in quanto la quantità di pesticidi che verrebbe utilizzata sarebbe letale sia per il lago che per il fiume Marta e per il littorale di Tarquinia, tanto che in questo mese di aprile, una serie di prese di posizione si sono manifestate contro le conseguenze evidenti che si produrrebbero per un possibile aumento degli impianti e delle superfici loro destinati qui nel viterbese: cominciando da una presa di posizione dell’ex Sindaco Equitanidi Bolsena che ne ha vietato la monocultura, e di altri sei Sindaci che si sono associati nella difesa del bacino del Lago. Anche il Vescovo Fumagalli è sceso in campo, facendosi forte dell’enciclica di Papa Francesco “Laudato Si”, e più di quindici associazioni hanno manifestato la loro solidarietà con una lunga lettera pubblicata giorni fà.
Ma la vera questione è quella di una multinazionale che, applicando l’antico motto “divide et impera”, vuole diversificare internazionalmente le sue fonti di approvvigionamento dinocciole, sua materia prima, ma poi come l’approvvigionamento all’estero diventa insicuro, deve assicurarsi “in casa” lequantità necessarie al mantenimento delle sue produzioni di crema da spalmare. Ora per la Ferrero, alcuni paesi da dove era solita importare nocciole, non sono più sicuri,e così sceglie di espandere il coltivo in Italia con allettanti promesse: deve aggiungere altri 20.000 ettari ai 70.000 già esistenti sotto il suo controllo.
Certo c’è chi difende la monocultura dei noccioleti ilPresidente della Comunità montana dei Cimini,Eugenio Stelliferi: “Perché il territorio del lago di Vico e di tutti i monti Cimini è diventato un vero e proprio esempio a livello internazionale per via delle nostre colture di nocciole. Non lo diciamo noi: lo dicono i dati di salubrità dell’acqua rilevati dall’Arpa e dalla Asl, e lo dicono gli esperti dell’Università della Tuscia, che da anni ci sono vicini e studiano gli effetti della nocciolicoltura”. Anche se questa è una posizione difficile da sostenere, dopo la presentazione in Prefettura delle approfondite analisi delle acque del Lago di Vico nel mese di maggio dell’anno scorso dall’Associazione medici per l’ambiente- Isde (International Society of Doctors for the Environment) che indicava in sintesi che la problematica del degrado di questo importante ecosistema e bacino idrico, è legata principalmente all’uso ultradecennale e massiccio di fertilizzanti e fitofarmaci chimici nelle vaste aree coltivate a noccioleti in prossimità del lago che ha favorito le intense fioriture di alghe rosse nelle sue acque. In oltre diceva, lo studio, “questi elementi tossici, sono presenti in una concentrazione così elevata nei sedimenti lacustriche sono diventati motivo di preoccupazione ambientale e sanitaria per il rischio derivante dalla loro possibile mobilizzazione e quindi rilascio nelle acque del lago rendendo le acque inadatte ad uso umano”.Dopo il danno prodotto dalla nocciolicoltura, la sola maniera di mettere in valore la Riserva, sarebbe di riconvertire le piantagioni a sistemi di coltivazione con tecniche biologiche.
Ed è proprio dall’esperienza prodotta dalla coricoltura dei Monti Cimini che si comprende cosa succederebbe nel Lago di Bolsena se sulle sue falde si moltiplicassero gli ettari destinati ad impianti di monoculture di nocciole, cosa che certamente succederebbe se i Sindaci e le Associazioni dei cittadini del Bacino non si fossero opposti alla monocultura, visto che il “Progetto Nocciola” della Ferrero “sollecita i produttori che operano in territori a rischio abbandono o utilizzati per colture a bassa redditività” per coprire i “500 nuoviettari pianificati nella Tuscia entro il 2022” dalla multinazionale.
Con la stessa argomentazione, si pubblicizza la messa a terra di grandi estensioni di impianti fotovoltaici. Da una parte l’abbandono delle terre da proprietari ormai disinteressati dalle coltivazioni agricole, sia per l’età raggiunta o per la produzione del reddito familiare in ambienti urbani, sta provocando l’appetito di rendite milionarie per le società di impiantistica delle rinnovabili e dei proprietari terrieri per l’aspettativa di guadagni facili ed a lungo termine. Ma dall’altra anche proprietari di aziende agricole specializzate in coltivazioni o allevamenti estensivi, si propongono a sterilizzare parti importanti della loro proprietà con impianti di pannelli fotovoltaici. Sai per gli uni che gli altri, ci si dimentica volontariamente che, come tutte le monoculture, i guadagni se li portano via gli affittuari che lasciano ai proprietari ed agli abitanti ignari, solo disastri ambientali e le loro conseguenze. La Coldiretti denuncia la “tendenza ad utilizzare terreno agricolo fertile per insediamenti industriali da parte di soggetti non-imprenditori agricoli, senza alcuna limitazione o salvaguardia da parte delle istituzioni pubbliche.”
Da noi a Tuscania “sorgerà a Pian di Vico, nella Tuscia, il decimo impianto fotovoltaico più grande al mondo per estensione. In un sol colpo verranno irreversibilmente trasformati 250 ettari di paesaggio di grande pregio,(oltre 350 campi di calcio) in una zona di grande pregio, attraversata da cammini antichi come la Via Clodia che fa altresì parte della Rete dei Cammini della Regione Lazio. Ma adesso anche Canino potrà rivendicare un tale primato, dato che sul suolo dell’Azienda “La Sugarella” di proprietà del Sacro Ordine dei Cavalieri di Malta, ci sarà un nuovo impianto fotovoltaico a terre di circa 300 ettari che si andranno ad aggiungere a quello già esistente di 100 ettari attualmente in funzione.
Mi è venuto in mente il racconto di un anziano signore novantenne nativo del bacino del Lago di Bolsena, che ricordava che da bambino “l’acqua del lago era da bere” e i pescatori, per mantenere i pesci, “l’acqua entrava nelle cantine dove i pesci erano mantenuti vivi e venduti direttamente al pubblico”. Continuava che con “lo sviluppo” che venne dopo la guerra, “è stata incoraggiata l’agricoltura che ha inquinato il lago con fertilizzanti e prodotti chimici.”Furono le Associazioni dei cittadini che difesero le acque del lago da progetti disastrosi e a spingere per la costruzione del collettore circumlacuale COBALB, chevari articoli pubblicati hanno ricordato la sua poca manutenzione data dalle autorità competenti. Ed è l’Associazione Lago di Bolsena che mantiene un monitoraggio costante delle sue acque e che ha già dato l’allarme per il loro l’avanzato grado di eutrofizzazione.
Noi vogliamo quindi concludere che in questa fase si deve entrare nell’ottica che questo territorio sarà difeso e mantenuto biologicamente sano solo se le Associazioni di volontariato degli abitanti non si manterranno in allerta e se con loro non si organizzerà un “Piano di gestione di Bacino” attraverso il Contratto del Lago di Bolsena cofirmato dai Sindaci del Bacino, del Fiume Marta e della Costa tirrenica di Tarquinia all’inizio de dicembre scorso che sancisce l’inizio di un percorso che associazioni, aziende, cittadini ed enti pubblici hanno deciso di intraprendere per proteggere il patrimonio idrico e naturalistico del nostro territorio.