Maurizio Annesi e il teatro nella Tuscia, un amore intramontabile

di Paola Maruzzi

Maurizio Annesi

Romano trapiantato a Soriano, Maurizio Annesi rappresenta un tassello di storia dell’evoluzione culturale viterbese: con lui ha preso forma il Teatro San Leonardo agli inizi degli anni 2000, un’avventura che gli ha aperto le porte alla direzione artistica dell’Unione. Prima attore e poi regista (si è formato all’Istituto Teatrale Europeo debuttando con “La locandiera” di Giancarlo Cobelli, in occasione della riapertura del teatro Goldoni a Venezia), oggi Annesi continua a mettere a servizio del territorio il suo bagaglio professionale: da tre anni ha aperto una scuola di teatro per ragazzi a Soriano e, dal prossimo autunno, curerà la stagione del teatro Florio.

 

Facciamo un salto temporale: cosa le viene in mente ripensando al sapore teatrale della Viterbo degli anni Ottanta?

Per me sono stati gli anni del Centro Teatrale Viterbese, una compagnia che ho diretto per 21 anni e la cui storia s’intreccia a quella del Pidocchietto: così i viterbesi chiamavano, in senso affettuoso, quello che sarebbe diventato successivamente il San Leonardo e che ospitava un cinema parrocchiale.

Come è nata l’idea di fare del cosiddetto Pidocchietto un teatro vero e proprio?

L’immobile, di proprietà della curia, nasceva come cinema-auditorium ma aveva un vero palcoscenico e questa caratteristica strutturale si prestava per un ripensamento. Certo, quando lo vidi era in stato di abbandono e sono stati necessari degli importanti lavori di ristrutturazione. A quell’epoca – metà degli anni Ottanta – qualcosa di simile stava accadendo anche a Roma con la nascita del Teatro Manzoni sulla scorta di un ex cinema. Mi lasciai quindi ispirare della stessa idea.

Da dove è spuntato fuori il nome San Leonardo?

In origine l’auditorium era ufficialmente intitolato a Papa Giovanni XXI, il pontefice-alchimista di origine portoghese vissuto a Viterbo nel XIII secolo. Il motivo di questa scelta va ricercato nel fatto che l’ambasciata portoghese aveva contribuito a finanziare la sua costruzione nel secondo Dopoguerra. Per motivi diplomatici la curia avrebbe voluto mantenere intatto il nome che, però, a mio avviso sembrava poco adatto a un nascente teatro. Mi impegnai quindi a rimanere in ambito religioso e, ripercorrendo la storia dell’edificio, trovai l’ispirazione: il teatro è infatti costruito sulla chiesa seicentesca di San Leonardo dei Carcerati, una confraternita che si occupava di prestare assistenza ai reclusi (i locali del carcere erano nelle immediate vicinanze, ndr).

Dopo il San Leonardo, è stato anche il direttore artistico dell’Unione: qual è la sostanziale differenza tra i due?

Ho sempre considerato il San Leonardo come la vera fucina creativa del Viterbese in quanto teatro agile e luogo meno istituzionale, al contrario dell’Unione che è storicamente la vetrina culturale della città. Il valore aggiunto del San Leonardo è il suo essere un luogo frequentato dai giovani a prescindere dagli spettacoli. Un discorso a parte va fatto per i teatri estivi, pensiamo per esempio a Ferento, capaci ancora oggi di rivolgersi a un pubblico più ampio ed eterogeneo: da regista sono molto legato a questo tipo di spettacoli, avendo avuto modo più volte di portare in scena un autore intramontabile che amo particolarmente: Plauto.

A quali altri autori è legato?

Sicuramente a Goldoni. Tra i progetti nel cassetto c’è quello di rimettere in scena “La locandiera”. Sono legato molto anche a Pirandello, come lo è la stessa Soriano dove l’autore siciliano ha vissuto per un periodo con la moglie. Per l’ormai storico Festival “Pirandello Oltre”, in programma il prossimo settembre, sto lavorando al riadattamento per la scena di alcune novelle pirandelliane.

Il suo sodalizio con Soriano si è ormai cementato anche grazie al suo impegno nella rievocazione storica che ogni anno si svolge in autunno nell’ambito della Sagra della Castagna. In che modo le scelte registiche possono contribuire ad alzare il livello di un evento popolare?

L’intervento del regista fa sì che la rievocazione si trasformi da semplice evento descrittivo, fatto di muti figuranti, in qualcosa di più, capace di coinvolgere il pubblico e far rivivere la storia. Si tratta di un lavoro molto impegnativo, fatto di un mese fitto di prove e che vede coinvolti una trentina di attori e oltre sessanta figuranti. Per la prossima edizione ci saranno delle interessanti novità sulle vicende rappresentate ma che non posso ancora svelare.

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