L’esordio con il racconto breve della neo scrittrice ventiduenne Margherita Cafagna.
“La mente di Greta era così labile. Un brandello di neuroni e tessuti disgregati fra i lunghi capelli ramati.
Il cuore di Lapo era così fragile. Un agglomerato di fibre muscolari racchiuso in un gracile scheletro,incapace di mantenere al sicuro quell’unico organo che tutto dà e tutto toglie.
Così vi presento i protagonisti di questa storia d’amore.
Breve come l’apice del piacere, come l’immagine di due schiavi tra le mani delle loro debolezze più grandi, cuore e mente.
Era una mattina qualunque quando si videro per la prima volta. Greta era seduta su una delle panchine lungo il cortile dell’Accademia di Belle Arti di Brera, non importava quale, bastava che fosse di fronte al portone per perdersi con la mente fra il via vai degli studenti.
Detestava l’idea di non poterli vedere, sentire i loro passi alle sue spalle senza scorgerne i volti. Le piaceva fantasticare su ogni persona che osservava entrare e uscire da quel luogo, chiunque fosse in grado di suscitarle un minimo interesse, di smuoverle un qualsiasi ingranaggio sopito.
Era primavera fuori da quelle aule di pietra e intonaco, tuttavia ciò che Lapo provava altro non era che un implacabile freddo interiore; ma con un gesto, netto e spontaneo si stringeva il cappotto al petto, come a ripararsi da un vento spietato e tagliente che lo scalfiva, lo spogliava.
Sapeva che l’intento avrebbe fallito miseramente, la sua pelle era calda. La voce del professore acquisiva sempre più monotonia, una cantilena ben intonata che ogni tanto gracchiava per schiarirsi la voce, nel tentativo di riportare l’attenzione degli studenti a sé.
Lapo aveva ormai perso totalmente il senso dell’essere lì, in quell’aula. “Sociologia
dell’arte e della forma” si ripeteva a mente per distrarsi da quel petulante tremito fisico, o forse era “Sociologia nell’arte”, o magari semplicemente “Sociologia”.
Nell’imbarazzo verso di sé, decise di alzarsi ed uscire da quella stanza diretto a raggiungere il più velocemente possibile la Pinacoteca, al piano superiore.
L’unico luogo dove riusciva a placare quell’intimo suo freddo. Ad ogni tela, opera, dipinto,
sentiva un tepore salire. Non si era mai chiesto il perché, permetteva solo che gli entrassero dentro, a sanare ciò che non riusciva a comprendere, a compensare. Osservava con cura ed attenzione, ogni volta come fosse la prima.
Osservava con l’udito, ascoltando le setole del pennello accarezzare le tele, ora con
dolcezza, ora con violenza. Osservava con l’olfatto, fiutando l’odore della trementina diluire il colore sulla tavolozza, e poi miscelarlo, sfumarlo, fino a raggiungere la tonalità perfetta. Osservava col sapore, gustando sul palato l’acidità del rosso vino, corposo, che immancabilmente immaginava accompagnare la creazione di un capolavoro.
Osservava con il cuore, ormai finalmente caldo. L’orologio puntava le undici
sul polso di Lapo, spingendolo ad uscire dal museo per dirigersi verso il portone dell’Accademia.
Di nuovo,strinse ferocemente il cappotto, con la speranza di mantenere con sé quel tepore il più a lungo possibile.
La panchina dove Greta sedeva non era più un posto sicuro, una coppia di giovani amanti aveva deciso di affrontare le proprie turbe accanto ai suoi pensieri, alle sue fantasie. Interrompendo così il flusso creativo, decise di avviarsi con qualche minuto in anticipo alla lezione che a breve avrebbe seguito.
Era una mattina qualunque quando si videro per la prima volta. Lapo, scorse Greta, di fronte a sé, marciare distratta.
I suoi sensi, cominciarono ad osservarla, come fosse un’opera, la sua opera dai lunghi
capelli ramati. Senza nemmeno accorgersene, le mani allentarono la presa sulle estremità del cappotto,ma non sentiva freddo, il cuore era caldo.
Greta lo distinse avanti a sé, fermo oltre l’arco d’ingresso ai corridoi della scuola. I suoi pensieri si fermarono per qualche secondo, si spensero nella sua mente con la stessa velocità con cui li aveva creati qualche istante prima.
Percepiva l’intensità del silenzio in sé, ma non concepiva mancanze, si sentiva piena.
Ho ingerito così l’ultima boccata di fumo, appoggiata alla colonna d’ingresso dell’Accademia. E con me anche i due studenti, che la mente e il mio cuore hanno colto e inserito tra le fantasie del mio immaginario, spengono incuranti le loro, ed insieme entriamo, per dividerci qualche passo dopo, ciascuno verso le proprie aule”.
L’Autrice
Nasce a Roma, classe 1996, una crescita adolescenziale nella Tuscia, assaporando gli scorci del lago e della campagna montefiasconese. Amante degli animali, condivide oggi la sua vita di studentessa all’Accademia di Brera, con il suo amato cane. Ha scritto recentemente per TusciaUp due reportage sulla Milano del Covid-19. Apprezzati dai lettori.Questo racconto d’esordio è una anteprima per TusciaUp.