«Piantorena è un borgo abbandonato della Tuscia rupestre, situato in un bel bosco di lecci nei dintorni di Grotte Santo Stefano. Chi lo visita resta colpito dalla sua capacità di sopravvivere al tempo. Una sorta di borgo dalle sette vite. Cominciarono gli Etruschi a sfruttare questo pianoro allungato, sollevato tra due fiumi: ne vediamo ancora le tombe in cui deposero i loro morti, scavate nelle pareti scoscese. Fu poi la volta dei Romani, provenienti da Ferentum, a frequentarne il plateau tufaceo e a lasciare le loro epigrafi sulle rocce e sui cippi. Nel Medioevo delle invasioni e delle scorrerie, divenne sede di un borgo che accoglieva famiglie in cerca di sicurezza: furono costruite torri di avvistamento e strutture di difesa; si ampliarono le cavità etrusche e romane per ricavarne abitazioni, certamente spartane, ma almeno occultate agli sguardi rapaci dei molti nemici. In età moderna e in epoca post-unitaria i dirupi di Piantorena divennero il sicuro rifugio di una banda di briganti capeggiata da un certo Luigi Rufoloni: i fitti boschi erano la base di partenza per le loro imprese spesso commendevoli. Oggi è rinato come parco attrezzato per feste popolari, messo in sicurezza per visite e picnic. Le vie cave e le tagliate etrusche sono state segnate e sono diventate sentieri-natura. … Tra le 37 grotte censite si possono osservare alcune cavità interessanti per la loro destinazione d’uso. Vi sono abitazioni ipogee a due vani, accuratamente squadrate e rifinite, con un muro divisorio tra il vano-notte e il vano-giorno, che mostrano ancora la pavimentazione a piastrelle, le nicchie per deporvi gli oggetti casalinghi, l’alcova, le cisterne per l’acqua, il foro sul soffitto per la dispersione dei fumi del focolare, i fori per gli stipiti della porta. Altre grotte sono state invece utilizzate come stalle per gli animali. Si riconoscono facilmente per la presenza di mangiatoie e di vasche per l’abbeverata. È anche ipotizzabile l’uso di alcune cavità per lo stoccaggio degli attrezzi di lavoro e il deposito di prodotti: lo si intuisce dall’abbondanza di fori sulle pareti interne, atti ad accogliere assi e travi orizzontali di sostegno. Particolarmente suggestivo è il bilocale a nicchiette che ospitava un consistente allevamento di piccioni. La colombaia è sistemata in una zona impervia che rendeva difficoltoso l’accesso agli spazi interni e la difendeva dalla possibile intrusione di predatori. Dopo aver percorso un sinuoso sentiero nel bosco si giunge infine alla Torre di avvistamento, costruita sull’estremo sperone del banco di tufo. Ci si può affacciare con precauzione sulla spettacolare parete di calanchi argillosi. Bel panorama sulla valle del Tevere e sul Castello di Montecalvello. A fianco della torre, una scalinata rupestre, una tagliata e una via cava scendono sul fondo del fosso: si tratta di un’antichissima strada di collegamento tra la valle del Tevere e le località della Tuscia interna».