RACCONTI BREVI/ Fuori luogo ovunque

scala a chiocciola

Volumi altissimi, le chiacchiere che a lungo andare sfociano in un vortice senza uscita, nessuno che si interessi a nessun altro. Le solite feste, le solite personcine tutte un brio di vacuità. Sono uscito, alcuno scopo in particolare, avevo bisogno della distrazione che ancora oggi, rimane la più grossa scoperta umana al fine di sembrare adatta al ciarpame che si butta addosso a tutto spiáno.

Oriente e puzza d’incenso rivestono l’appartamento dove in un angolo, consumo un negroni. Hanno adibito la cucina a bar, i drink te li prepari da solo e una cucina colma di alcolici mette addosso l’entusiasmo del bambino davanti alla giostra. Si passano accanto di continuo, si sfiorano, accennano al dialogo ma a dirla tutta in questo posto, la cosa più interessante da vedere è una lampada a forma di lampadina. E dicono che i geni siano spariti da un pezzo.

Un ragazzo mi chiede se ho da accendere, a me verrebbe di bruciargli la faccia. Sarei dovuto rimanere a casa, avrei limitato la strage. Siedo sulle scale appena fuori la porta d’ingresso, il bicchiere è quasi vuoto e inizio a sentire il fegato lasciare carta bianca all’alcol per ridurmi una pezza. Ero già una pezza prima di uscire, in macchina ci siamo voluti avvantaggiare – a discapito di chi – tracannando in quattro la sostanziale somma di tre bottiglie di gin.

Una figura quasi mitologica, la sbronza. Di tutti i tipi ce ne sono: allegra, chiacchierina, invadente, molesta, intellettuale, passionale, fuggitiva. A me prende la sbronza diffidente, cioè non mi devono parlare manco se il padre eterno scendesse in terra e scegliesse me per costruire l’ennesima arca per salvare quel poco di raccattabile su questo pianetucolo. Sparpaglio cenere sulle scale, un ginocchio urta la mia mano che tiene la sigaretta e quella rotola quasi intera giù per tutta la scalinata.

Mi volto e con due dita scosta una ciocca castana, intravedo un orecchino della grandezza di un bottone rosso vermiglio. Sorride perché dispiaciuta della perdita a cui m’ha costretto, la invito con un filo di voce a offrirmela lei una sigaretta. Mette la borsa a terra, fruga un bel po’ prima di tirare fuori il pacchetto e porgermelo. Ne accendo due, una gliela metto fra le dita, l’altra la pianto sul sorriso flebile che mi è uscito da quando l’ho vista. Forse ho fatto bene ad uscire stasera. Parliamo senza schemi; il divertimento come dovrebbe essere. Accenno per alzarmi, stampa il palmo sulla mia coscia pronta a ritornare in cucina e a rituffarsi nei fumi dell’alcol, non ci penso una volta; mi rimetto seduto. Le studio il labiale, la curva creata dalla bocca simile ad una smorfia nell’intervallo tra una parola e l’altra. E dire che alle feste mi sento sempre fuori luogo, l’elefante fracassone nella cristalleria. Fossi rimasto a casa avrei coperto muri e soffitto di lividi. Stasera la salvezza ha una ciocca castana e un orecchino rosso vermiglio. 

LEGGI IL RACCONTO PRECEDENTE

COMMENTA SU FACEBOOK

CONDIVIDI