Racconto breve 3/Un pacco di dolcezza. Nonna Matilde

Cristiana Vallarino*

Ultimo giro di racconto spinto sui sentimenti.Buona lettura.

UN PACCO DI DOLCEZZA
Nonna Matilde. Una testa di riccioli sale e pepe corti e stretti su un fisico alto,
piazzato, non grasso: insomma una signora “morbida” che quando si vestiva come diceva
lei “per uscire” non mancava di indossare la pelliccia con un curioso cappello sempre in
visone. E naturalmente una buona dose d’oro: il medaglione doppio con le foto dei suoi
genitori, l’orologino e qualche anello con grosse pietre che non sparisse sulle mani non
propriamente affusolate.
Erano gli anni ‘70, allora le signore della borghesia romana – diciamo medio alta – così
si vestivano, soprattutto se, come mia nonna, avevano vissuto la guerra in prima
persona. E dopo aver dovuto fare i conti con l’autarchia finalmente si godevano una
discreta agiatezza.
Ma per me, ragazzina che fino ai dieci anni venivo spesso mandata a casa dei nonni per
diversi giorni se non c’erano impegni scolastici, nonna Matilde era quella che indossate
pantofole, si allacciava il grembiule ed entrava in cucina.
Lei e suo marito, il mio amato nonno Pippo, vivevano a Roma da decenni ma erano
originari di Piazza Armerina, un paese siciliano delizioso (come ho avuto modo di
scoprire molti molti anni dopo visitandolo). Era stata maestra, ma anche mamma di tre
figli (mia madre la più giovane) e, come si conveniva allora, un’ottima cuoca.
Fin da piccola, ogni volta che lei si metteva al lavoro in cucina, io mi piazzavo lì a
guardare. A lungo, solo quello: dal seggiolone prima, poi su una sedia col cuscino. Fino al
giorno in cui anche io ho messo il grembiule, più una casacca in realtà, e in piedi su uno
sgabellino ho cominciato a “cucinare” anche io.
Come tutti i bambini mi era permesso soprattutto di impastare: quante fettuccine,
pizze o polpette ero convinta di aver preparato da sola! Poi, un po’ alla volta, sono
“salita di grado” e lei, felice che, a differenza di mia madre, mi appassionassi a pentole
e fornelli, cominciò ad insegnarmi davvero.
Devo a lei la mia passione per la cucina e devo a lei molte delle ricette che adesso
insegno a mia figlia.
Fino all’adolescenza, quando ho cominciato a dirottare i miei interessi e a voler stare
più coi miei amici o col ragazzetto di turno, passavo diverso tempo a Roma, in quella
casa che per dirla con Gozzano era “piena di buone cose di cattivo gusto”. Ma
soprattutto stavo con lei al tavolo di marmo, di quelli con tagliere mattarello nascosti
sotto al piano.
La vedevo impastare gli arancini che poi passava nel pangrattato e friggeva:
magicamente, mantenevano il cuore rosso del ragù, in un abbraccio di candido riso. E
che dire di quelle strane “formine” in terracotta che raffiguravano angeli, damine che
vedevo impilate nel ripostiglio? Fino a quando le ho viste accogliere la candida crema
che dava vita al “biancomangiare” fatto con latte di mandorle. Ma c’era pure una
scatola piena di pezzi di canna di bambù che mi chiedevo perché fossero più scuri alle
estremità.. Così ho scoperto i cannoli, quelli davvero siciliani: un impasto che avvolgeva
le canne e che poi si immergeva nell’olio caldo per uscirne appena dorato e fragrante.
Il ripieno poi? La ricotta e i canditi: usava quelli che le arrivavano dai parenti da
Piazza.
Ma dalla Sicilia arrivano anche altre cose, tutte prelibatezze. Specialmente con
l’avvicinarsi delle feste natalizie, quando era tempo di regali.
Un giorno, proprio sotto Natale, avrò avuto sette anni, mia nonna era impegnata in una
animata conversazione con un’amica al telefono: allora non c’erano i cordless,
l’apparecchio in bachelite nera era posizionato in una nicchia.
Il portiere (allora c’erano ancora!) suona il campanello: “Un pacco”…. Apro e lo prendo
in consegna. Mia nonna continua imperterrita a chiacchierare e io dopo averci pensato,
non molto in verità, scarto la scatola. E vedo uno spettacolo che ancora oggi, a ben
oltre 50 anni di distanza, mi emoziona: ci sono tre piccole cassette di frutta. Arance,
limoni, banane, fragole, pere, fichi: sono formato ridotto, le proporzioni non sono
granché rispettate, ma sono perfetti, lucidi. Ai miei occhi di bambina sembrano fatti
col “pongo” e comincio a toccarli, incuriosita. Capisco presto che la plastilina non
c’entra niente, l’odore è troppo, troppo buono!
E allora ne addento uno: credo di aver cominciato con la fragola.. E’ dolce, tanto dolce
e morbida.. Allora passo al secondo fruttino, e poi al terzo e al quarto. La bocca mi si
impasta decisamente ma continuo imperterrita, fino a quando arriva mia nonna, stupita
per il troppo silenzio.
Inevitabile la sgridata e il classico “sentirai quando lo dico a tua madre!”, e “voglio
vedere se mangerai a cena?”.
Ma quale cena! Di lì a un’ora ero piegata in due dal mal di pancia.. Ed è stato un trionfo
di Citrosodina e camomilla, per almeno un’altra giornata.
Il risultato di questa mi bravata? Da allora non ho più messo in bocca un pezzo di
“pasta reale”, quella favolosa bontà alle mandorle tipica di tutta la Sicilia. Ma ne
continuo ad essere affascinata. E, a dire il vero, la compro spesso… Per fortuna mia
figlia l’adora!

L’autrice

Cristiana Vallarino è nata a Roma, ma è cresciuta a Civitavecchia, dove ha frequentato il liceo classico e dove, giovanissima, ha mosso i primi passi nella locale redazione de “Il Messaggero”. Qui, dopo un paio di anni come vice caporedazione a Latina, ha proseguito la sua carriera di giornalista nella testata, spostandosi poi a Roma, nella sede centrale, e nella redazione di Viterbo, fino alla sua pensione. Si è laureata in lingue e letterature straniere a La Sapienza di Roma, con una tesi su Alfred Hitchcock, e, grazie all’ottima conoscenza dell’inglese, ha vissuto a Londra, collaborando con la BBC Italiana Section, e ha trascorso lunghi periodi anche negli Usa, a Washington e in California. Qui è stata uditrice al Communication Department della Santa Clara University. Al momento collabora con due testate online Tusciaup e Terzobinario. Ora vive a Tolfa, con il marito Giuseppe e la figlia Giulia (che, seguendo la strada materna, studia comunicazione digitale a La Tuscia) e molti gatti. Le piace la lettura, il cinema e la cucina. Unendo le sue passioni e la sua professionalità, da qualche tempo si dedica alla scrittura, prediligendo il racconto.

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