“Carneade, chi era costui?”. No, non c’entrano niente i “Promessi sposi”. Né il povero don Abbondio che, all’inizio dell’ottavo capitolo, leggendo un ‘libricciolo’, s’arrovellava il cervello per capire chi fosse quel filosofo greco a lui completamente sconosciuto. Però il concetto si attaglia perfettamente alla figura di Bianca Maria Hubner, nata nel 1902 e morta nel 1960, quasi totalmente sconosciuta a Viterbo e ai viterbesi, ma personaggio di grande valore per la Tuscia, dove visse dal 1940 fino alla sua morte, diventando una imprenditrice agricola all’avanguardia.
La scoperta – perché di vera scoperta si tratta – l’ha fatta Silvio Cappelli, da anni collezionista di pubblicazioni riguardanti la storia locale. Come? E’ lui stesso a raccontarlo:
“Mi sono imbattuto casualmente in una pubblicazione che stava sul catalogo di una libreria di Parma. L’opera era intitolata “L’azienda agricola Arcione-Vaccareccia-Procoio, Viterbo”. La cosa mi ha subito incuriosito, sicché ho scritto alla libreria, ma ho scoperto che era stata chiusa da tempo”.
E allora?
“Allora ho cercato sul catalogo online delle biblioteche italiane, ma questo volume non esisteva. Però non mi sono arreso. Ho fatto molti altri tentativi e ho chiesto a persone che avevano avuto a che fare con la zona della Vaccareccia, che si trova nell’area di Castel d’Asso”.
E la “tigna” (per dirla alla viterbese) alla fine è stata premiata…
“Sì, perché questo libretto ce l’aveva una certa Luciana Mariani di Tuscania, figlia del proprietario di uno dei beni appartenuti a questa baronessa. La quale era arrivata a possedere ben 500 ettari di terreno in quella zona”.
Le hai “scippato” il libercolo?
“No, me lo sono fatto prestare. Si trattava di una pubblicazione aziendale, con tiratura molto limitata. Ma da lì è uscito fuori un mondo totalmente sconosciuto”.
E allora raccontiamolo…
“Questa Bianca Maria Hubner, nata a Gaglianico, in Piemonte, da padre nobile, di origini ungheresi, fu dapprima attrice di cinema muto, poi anche giornalista e musicista. Organizzava mostre e frequentava i salotti buoni di tutt’Italia. Poi, nel 1940, sbarcò nella Tuscia, comprando 100 ettari di terreno a Barbarano Romano. Poi, l’anno successivo, ne comprò altri 500 nell’area di Castel d’Asso. Forse, siccome il padre aveva un’azienda agricola, aveva deciso di seguire le sue orme”.
Perché proprio Viterbo?
“Questo non si sa. Si sa che era sposata, ma il marito continuò a vivere nell’Italia del nord. Non risultano figli”.
E a Viterbo che fece?
“Inizia una radicale bonifica dei terreni, dotandoli anche di nuovi fabbricati e di tutta l’attrezzatura necessaria per favorire e sviluppare la trasformazione fondiaria. Dedica circa cento ettari alla coltivazione del tabacco e costruisce gli impianti per l’essicazione delle foglie, dando molto lavoro alla mano d’opera femminile. Non solo: favorisce uno spostamento di etnie, dal momento che chiama molti operai dal Salento, operai molto bravi nella lavorazione del tabacco”.
Insomma, un’imprenditrice di tutto rispetto…
“Anche di più. Perché creò un’azienda agricola all’avanguardia, ma si impegnò molto anche nel sociale. A regime c’erano quasi 600 dipendenti e lei mise in piedi una scuola, una chiesa, un ambulatorio, il telefono pubblico, il telegrafo, una biblioteca, e dei pullman per le lavoratrici”.
Tanto è vero che…
“Tanto è vero che nel 1956 fu nominata Cavaliere del Lavoro e nel 1958 l’allora presidente della Repubblica Giovanni Gronchi la nominò Commendatore per meriti agricoli. E fu la terza donna a ricevere questa onorificenza”.
E a Viterbo di lei non è rimasta nessuna traccia?
“Purtroppo no. Solo due articoli di Tempo e Messaggero dell’epoca, nonché due interviste su ‘Il Bullicame’, dal momento che ebbe problemi con l’Enel”.
Ma ci sono anche altri aspetti interessanti…
“Sì, è vero. Giovanni Sguario, su ‘Biblioteca e Società’, ha scritto che il feldmaresciallo Albert Kesserling, dopo l’8 settembre 1943 comandante in capo di tutte le forze d’occupazione tedesche in Italia, la venisse spesso a trovare…”.
E un po’ di gossip?
“Mah, tutti quelli che ho intervistato mi hanno riferito che fosse l’amante di Galeazzo Ciano. Ma su questo non ho trovato alcun riscontro e quindi non posso confermarlo. Dalle carte che ho consultato emerge solo, nell’archivio della Prefettura, un fascicolo di indagine per arricchimento illecito che riguarda il genero di Mussolini”.
Alla fine, comunque, da tutto questo materiale è venuto fuori uno stupendo libro dal titolo “La baronessa volante”, con foto meravigliose. A proposito: perché volante?
“Perché qualcuno le affibbiò questo nomignolo, dal momento che si spostava sempre in aereo”.
Una figura di grande spessore. Peccato che per i viterbesi sia una perfetta sconosciuta…
“Beh, lei era sempre in giro per l’Italia. Quando stava a Viterbo era sempre all’interno della sua tenuta. E poi è morta giovane, a soli 58 anni. Però, a mio avviso, meriterebbe almeno l’intestazione di una via”.
Quanto è stato difficile scrivere questo libro?
“Tre anni di lavoro, con ricerche presso l’Archivio di Stato per controllare tutte le fonti. Ma a mio avviso è stato aperto un nuovo capitolo nella storia viterbese”.
E oggi quell’azienda agricola che fine ha fatto?
“Ci sono ancora gli edifici come erano prima. Gli essiccatoi del tabacco sono stati abbandonati. Ma la produzione agricola continua”.
Il nuovo libro di Silvio Cappelli, intitolato “La baronessa volante. Dal Teatro alla Scala di Milano alla necropoli di Castel d’Asso in Viterbo. L’opera di trasformazione fondiaria realizzata da Bianca Maria Hübner”, verrà presentato sabato 7 ottobre alle ore 17,30 nel foyer del Teatro Unione. Alla presentazione interverranno: Alfonso Antoniozzi vicesindaco e assessore alla Cultura del Comune di Viterbo, Luigi Pasqualetti presidente della Fondazione Carivit, Luciano Osbat presidente del Centro di ricerche per la storia dell’Alto Lazio e lo stesso autore.